la guerra igiene
del mondO

Le spinte interventiste erano il risultato di quella riflessione sull’idea di nazione che nasceva dal secolo precedente. Infatti, il 26 aprile del1915, l’Italia - che fino ad allora era rimasta neutrale

sebbene l’accordo della Triplice alleanza prevedesse un patto di reciprocità in virtù del quale sarebbe dovuta intervenire a fianco della Germania e dell’impero austroungarico - ottenne, con il patto segreto di Londra, l’impegno da parte della Triplice intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia) alla concessione, in caso di vittoria, di quei territori che il regno d’Italia rivendicava. Fu questo il motivo per il quale, poco meno di un mese più tardi, il 23 maggio 1915, l’ambasciatore italiano a Vienna, il duca D’Avarna, consegnò al ministro degli Esteri dell’impero austro-ungarico la dichiarazione di guerra nella quale, per altro, s’imputava all’Austria il mancato rispetto della Triplice alleanza(16). Per capire quanto fosse sentita l’idea che la guerra avrebbe portato a risolvere l’annoso problema di Trento e Trieste basterà riflettere al fatto che perfino un giornale come “L’Asino”, d’indubitabile fede socialista, non poté resistere alla tentazione di trasformarsi in interventista. Fondato nel 1892 da Guido Podrecca, allora ventisettenne, e da Gabriele Galantara, che di anni ne aveva venticinque, questo settimanale ebbe una vita lunga (fino al 1925), ma tormentata: aderente alle stagioni e alle passioni della politica italiana( 17). L’anima socialista dipendeva dalle convinzioni dei loro ideatori, ma soprattutto da Podrecca che era molto vicino a Filippo Turati e ad Andrea Costa, fondatori del Partito socialista italiano, in quello stesso anno in cui aprì i battenti la redazione del giornale satirico. Fortemente anticlericale, “L’Asino”, da interventista, si scoprì fascista a sostegno della marcia del 1921, salvo poi trovarsi su nuove posizioni anti-mussoliniane che ne determinarono la chiusura(18). Insomma, il giornale rifletteva davvero il sentire della gente, ma non perché seguisse sondaggi o diagrammi demoscopici, che allora non esistevano; al contrario solo e soltanto perché tanto Galantara (che si firmava «Rantalaga») quanto Podrecca (il cui pseudonimo era «Goliardo») finivano per pensare quel che tutti avevano in testa, ma non sapevano o non osavano dire. Non per nulla, il sottotitolo della testata spiegava chi fosse “l’asino”: «È il popolo: utile, paziente e bastonato». Per questo una breve analisi delle vignette e dei testi di quegli anni si può considerare quanto di più fedele al sentire popolare dell’epoca. Naturalmente, la conquista del credo interventista fu graduale. Un editoriale, pubblicato il 25 gennaio 1914, a firma «L’Asino» (ovvero della redazione), intitolato Il nuovo dio, subito spiegava chi o cosa si dovesse intendere con questo idolo: «È la nazione! E par che l’uomo debba sempre averne uno - questa volta di sesso femminile - al quale sacrificare se stesso […] Viva dunque la guerra! - grideremo con Francesco Coppola, il quale ha bandito - dalla Tribuna e dal sinedrio nazionalista - il nuovo dovere: dare attività, beni, vita alla dea Nazione»(19). Non è allora difficile cogliere, già da queste frasi, l’amara ironia del testo, visto il riferimento a Coppola, il giornalista che fu fra i fondatori dell’Associazione nazionalista italiana e fra gli artefici dell’incrocio del fascismo col nazionalismo. La conclusione del testo, infatti, è che dopo aver trovato nella Storia, ogni volta, un “dio” diverso a cui sacrificarsi «sarebbe ora che l’individuo cominciasse ad esprimere la ferma volontà, non di morire, ma di vivere, e vivere quanto più lietamente possibile»(20). Quando però, a guerra iniziata, si cominciarono a contare i morti e patrioti della grandezza morale di Cesare Battisti, deputato al parlamento di Vienna, irredentista, sacrificò la sua vita per l’Italia, il 12 luglio 1916, quando fu impiccato, “L’Asino” levò alto il proprio grido di dolore: «Cesare Battisti è stato impiccato a Trento. Prigioniero di guerra, l’Austria non l’ha rispettato trascinandolo al capestro come un volgare malfattore!». Allo stesso modo, non poté trattenere la propria gioia, quando Gorizia fu liberata dagli austriaci il 9 agosto di quello stesso anno: «Socialisti Italiani, esultate anche voi per la vittoria che restituisce Gorizia alla madre Patria e prepara altre vittorie ed altre restituzioni»(21). Gli argini erano ormai rotti e anche i socialisti partecipavano alla frenesia patriottica, ma la retorica non era quella futurista della guerra «igiene del mondo», al contrario, il linguaggio era quello della graffiante ironia della grafica di Galantara. Lo dimostrano, per esempio, le grandi tavole a colori che fungevano da elzeviro visivo, come la caricatura dell’imperatore tedesco Guglielmo, da «Rantalaga» raffigurato in quattro «atti» che ne rappresentavano la progressiva decadenza già nel 1914; mentre l’anno successivo un mastodontico cancelliere, con il suo peso gravato dalle spese belliche finiva per spezzare la «kultur » tedesca rovinando sul proprio paese e, nel 1916, una vignetta con la scritta «finis » mostrava un soldato austriaco ormai scheletro, trafitto da una baionetta: chiaro auspicio su quale dovesse essere l’esito della guerra(22).


Copertina di “L’Asino”, 31 gennaio 1915.

“Le Figaro”, 20 febbraio 1909, con il Manifesto del futurismo. I segni di matita blu, che evidenziano il testo, sono di Filippo Tommaso Marinetti.

Giulio Aristide Sartorio, La quadriga dell’Italia (1908-1912), particolare; Roma, palazzo Montecitorio. È il particolare del tratto centrale dell’enorme fregio dipinto che gira lungo le pareti dell’aula parlamentare di Montecitorio. La scena si trova infatti al di sopra dello scranno su cui siede il Presidente della Camera. L’intero ciclo s’ispira alla straordinaria storia d’Italia restituita in forma allegorica. L’Italia in persona si erge a al centro di una quadriga i cui cavalli sono governati dai Dioscuri, simbolo del Nord e del Sud del paese.


Camillo Innocenti, La sultana (1913); Roma, Galleria d’arte moderna di Roma capitale.


Motoscafo armato silurante o motoscafo anti sommergibile noto come MAS, prodotto nei cantieri Orlando di Livorno nel 1917; Venezia, Museo storico navale.

In realtà, però, proprio l’interventismo si era alimentato di quella retorica futurista che, a volte, tale non era se si pensa, per esempio, a Boccioni che si arruolò per seguire i propri ideali e che a essi finì per sacrificare la vita, giacché morì nel corso di un’esercitazione militare il 17 agosto 1916, cadendo dal cavallo, imbizzarrito alla vista di un convoglio militare(23). Non si può negare - infatti - che i cantori di quel momento storico fossero proprio i futuristi i quali, meglio degli altri, interpretavano quella temperie storica allora divisa fra la modernità nascente e quella classicità che si tingeva di decadentismo, come ben rappresentano le opere di Giulio Aristide Sartorio o quelle di Adolfo De Carolis. Il panorama artistico, infatti, era articolato e a esso concorrevano il sentimento bucolico, interpretato alla luce dell’ormai acquisita esperienza impressionista (come emerge dai paesaggi di Prencipe, soffusi di una luce brumosa), oppure le grafiche sinuose di Giuseppe Cellini o di Alberto Martini, ancora legate al linguaggio art nouveau. Emblema di questo momento storico è stato, com’è noto, Gabriele D’Annunzio, personaggio trasversale: esteta ed edonista da una parte, attratto dalle atmosfere lascive come quelle evocate da La sultana dipinta nel 1913 da Camillo Innocenti fu, dall’altra, capace d’imprese come quella della Beffa di Buccari del 10 febbraio 1918, quando con Rizzo e con Ciano, lasciò messaggi beffardi nella baia nemica di Buccari, sulle coste istriane ancora sotto gli artigli dell’aquila austriaca(24). L’impiego di un natante moderno come il MAS (Motoscafo armato silurante) da parte di D’Annunzio mostra bene come la sua personalità fosse sensibile alla terribile bellezza delle armi più moderne da utilizzare sull’onda di un eroismo romantico adesso trasformato nel dirompente ideale futurista che vedeva nella guerra l’«igiene del mondo». Infatti, sebbene gli studi recenti abbiano evidenziato come nel futurismo ci fosse anche una componente esoterica e quanto un personaggio come Giacomo Balla, soprattutto dalla fine del 1920, fosse legato al generale Carlo Ballatore, fondatore della Società teosofica italiana, non si può negare che buona parte delle idee che alimentarono le scelte interventiste degli anni della guerra derivarono dal pensiero e dagli slogan futuristi apparsi per la prima volta alla ribalta della Storia il 20 febbraio 1909 su “Le Figaro”. Di questi, il più noto, scritto al punto 9, è: «Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore», ma poi conclude, senza ragione, con questa grave affermazione: «E il disprezzo della donna»(25).

Giacomo Balla, Lampada ad arco (1909); New York, MoMa - Museum of Modern Art. La novità di quest’opera, concepita nello stesso anno in cui Marinetti pubblicò il celebre Manifesto del futurismo su “Le Figaro”, decretando la nascita del movimento, non sta nella tecnica, ma nel soggetto. Nel 1909 infatti, il pittore torinese ha ancora un forte debito nei confronti dello stile divisionista. La scelta, però, di rappresentare una lampada elettrica voleva dire elevare a soggetto artistico un oggetto tipico della modernità e dedicare le proprie attenzioni, non più alla luce naturale del sole, ma a quella artificiale. Due componenti che saranno tipiche del futurismo, teso verso il nuovo e verso la tecnologia nascente, dalle automobili agli aerei.


Carlo Carrà, I funerali dell’anarchico Galli (1911); New York, MoMa - Museum of Modern Art.


Umberto Boccioni, Stati d’animo. Gli addii (1911); New York, MoMa - Museum of Modern Art.

Tuttavia, a parte quest’ultima frase infelice, le altre appartengono di diritto all’immaginario della società civile italiana negli anni a ridosso dello scoppio della guerra, come del resto s’è potuto percepire dal ricordato editoriale apparso su “L’Asino” che ne fece volutamente un uso ironico. L’idea dell’azione è insita nel futurismo e la ritroviamo bene espressa non solo negli studi sul movimento sperimentati da Boccioni e Balla, ma anche in opere dal chiaro tema politico, come I funerali dell’anarchico Galli dipinto nel 1911 da Carlo Carrà che, dal canto suo, evolve in termini più geometrici i presupposti divisionisti presenti in celeberrime opere di Boccioni, realizzate fra il 1910 e il 1911, come La città che sale oppure Rissa in galleria(26). La sperimentazione di Boccioni sfociò nella celebre serie degli Stati d’animo che non affrontano direttamente il tema della guerra. Tuttavia, un capolavoro come Gli addii della seconda serie, pur non citando esplicitamente il tema, per l’ambientazione scelta, ossia la stazione e il convoglio che parte, evocato dalla caldaia della locomotiva stilizzata e dal numero che rimanda alla matricola dei treni, fa sospettare che le due figure abbracciate in primo piano, con quel grigio-verde dominante, alludano al saluto frettoloso a un soldato che parte. Per quanto semplificato, il personaggio a destra in basso, con tanto di cappello e di gambali, sembra proprio un militare. Del resto, il fatto non deve stupire perché, in un’Europa come quella del 1911, l’anno d’inizio della guerra coloniale dell’Italia contro la Libia, la scena dei soldati che, in stazione, salutano o abbracciano fidanzate e familiari, doveva sembrare l’immagine dell’addio per antonomasia(27). Quando deflagrò il conflitto in tutta Europa e coinvolse l’Italia, però, il tema bellico irruppe all’interno della pittura futurista. Infatti, da ideale programmatico, la guerra divenne azione concreta ed è per questo che Gino Severini, nel 1915, dipinse la sua Synthèse plastique de l’idée “Guerre”. L’opera prende le mosse dall’ingresso in guerra della Francia e sintetizza in un’unica visione plastica la presenza dell’aeronautica (ala di un aeroplano), della marina (l’ancora di una nave) e della fanteria (la ruota di un treno e quella di un cannone), mentre agli angoli si possono leggere una frase come «ordre de mobilisation générale» e «1914», la data dell’anno fatidico(28).


Umberto Boccioni, Rissa in galleria (1910); Milano, Pinacoteca di Brera.

Gino Severini, Treno blindato in azione (1915), New York, MoMA - Museum of Modern Art.


Gino Severini, Synthèse plastique de l’idée “Guerre” (1915); Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlung.

Ben diversa era la soluzione che aveva proposto Boccioni con la sua Carica dei lanceri che, sia pure con uno stile chiaramente futurista, lascia in fondo scorgere quell’eroismo di stampo romantico già caro a D’Annunzio. Un soggetto che aveva ripreso pure Gino Severini nel 1915, accentuandone la dimensione militare ben evidente nell’uso del grigio-verde(29). Del resto, l’artista cortonese, quell’anno, si dedicò più volte al soggetto bellico, con altre opere che, tuttavia, non prendevano in considerazione solo l’aspetto eroico, come con Treno blindato in azione, ma anche quello più umanitario e, per certi versi, intimista di un’opera come Il treno dei feriti, sebbene trasfigurato dalla stilizzazione futurista, per nulla dissimile da quella utilizzata nella Synthèse de l’idée: “Guerre(30). Il quadro per ricostruire l’ambiente culturale che produsse gli esiti artistici nel periodo della prima guerra mondiale, però, non sarebbe completo se non si ricordasse che il passaggio fra interventismo e futurismo si deve al ruolo svolto da una rivista come “Lacerba”. Nata il 1° gennaio 1913 per una divergenza fra Prezzolini, direttore di “La Voce” e suo fondatore, con Papini, aveva in Ardengo Soffici l’altro pilastro del nuovo periodico, allineato su posizioni interventiste. Così “Lacerba”, il cui titolo rimanda a un’opera di Cecco d’Ascoli della quale compariva nel sottotitolo il verso «Qui non si canta al modo delle rane», invitava il lettore ad agire e a non parlare a vanvera. Aderendo al futurismo, come era inevitabile per la presenza di Soffici, il settimanale divenne, di fatto, lo strumento che “travasò” le idee del movimento artistico in quelle più strettamente politiche dell’interventismo(31). Del resto un primo importante risultato si ebbe quando, sul numero del 15 settembre 1913, fu pubblicato il Programma politico futurista che recava la firma di Filippo Tommaso Marinetti e che, nel 1918, sfociò in un organismo politico vero e proprio divenendo il Partito politico futurista, nel cui programma, al secondo punto, si poteva leggere: «L’Italia, unico sovrano.
Nazionalismo rivoluzionario per la libertà, il benessere, il miglioramento fisico e intellettuale, la forza, il progresso, la grandezza e l’orgoglio di tutto il popolo italiano»(32). Il che, naturalmente, era sostenuto dai fatti perché a quella data, il febbraio del 1918, l’Italia avrebbe vinto dopo qualche mese la prima guerra mondiale.

Gino Severini, Treno dei feriti (1915); Amsterdam, Stedelijk Museum.


Copertina del primo numero di “Lacerba”, 1° gennaio 1913.

(16) Questo è il testo della dichiarazione di guerra del 23 maggio 1915: «Secondo le istruzioni ricevute da S.M. il re suo augusto sovrano, il sottoscritto [duca D’Avarna, ambasciatore italiano a Vienna] ha l’onore di partecipare a S.E. il Ministro degli Esteri d’Austria-Ungheria la seguente dichiarazione: Già il 4 del mese di maggio vennero comunicati al Governo Imperiale e Reale i motivi per i quali l’Italia, fiduciosa del suo buon diritto ha considerato decaduto il trattato d’Alleanza con l’Austria-Ungheria, che fu violato dal Governo Imperiale e Reale, lo ha dichiarato per l’avvenire nullo e senza effetto ed ha ripreso la sua libertà d’azione. Il Governo del Re, fermamente deciso di assicurare con tutti i mezzi a sua disposizione la difesa dei diritti e degli interessi italiani, non trascurerà il suo dovere di prendere contro qualunque minaccia presente e futura quelle misure che vengano imposte dagli avvenimenti per realizzare le aspirazioni nazionali. S.M. il Re dichiara che l’Italia si considera in istato di guerra con l’Austria-Ungheria da domani. Il sottoscritto ha l’onore di comunicare nello stesso tempo a S.E. il Ministro degli Esteri Austro-Ungarico che i passaporti vengano oggi consegnati all’Ambasciatore Imperiale e Reale a Roma. Sarà grato se vorrà provvedere a fargli consegnare i suoi». Il testo è riportato, anche, in un libro scritto da un testimone d’eccezione, il presidente del Consiglio dei ministri dal 21 marzo 1914 al 18 maggio 1916: A. Salandra, L’intervento, [1915]: ricordi e pensieri, Milano 1930. (17) G. Candeloro, I temi, le battaglie e gli smarrimenti di una rivista popolare, in L’Asino è il popolo: utile, paziente e bastonato di Podrecca e Galantara (1892/1925), a cura di G. Candeloro, E. Vallini, Milano 1970, pp. VII-XXIII.
(18) Ibidem. 

(19) Ivi, p. 290.
(20) Ibidem. 

(21) L’Asino è il popolo…, cit., p. 345. L’articolo sulla morte di Cesare Battisti uscì il 23 luglio 1916; mentre quello su Gorizia liberata il 20 agosto di quell’anno. (22) Ivi, p. 344. Per le altre illustrazioni citate, si veda alle pp. 317 e 337.
(23) Si veda: G. Di Milia, Boccioni, fascicolo monografico allegato ad “Art e Dossier”, n. 133, aprile 1998. (24) Su D’Annunzio e l’ambiente romano: C. Virno, Il giovane D’Annunzio e l’arte. I primi anni romani, in Legami e corrispondenze. Immagini e parole attraverso il ’900 romano, catalogo della mostra (Roma, Galleria d’arte moderna di Roma capitale, 28 febbraio-29 settembre 2013), a cura di F. Pirani, G. Raimondi, Roma 2013, pp. 21-81. Sulla Beffa di Buccari: F. Favre, La Marina nella Grande Guerra, Udine 2008, pp. 271-272.
(25) Su Balla esoterico: F. Benzi, Balla. Genio futurista, Milano 2008, pp. 121- 124, 132, 143. Per il testo del Manifesto futurista, si veda: Futurismo & Futurismi, catalogo della mostra (Venezia, palazzo Grassi, maggio-settembre 1986), a cura di P. Hulten, Milano 1986, p. 512. Va notato che un’anteprima del Manifesto apparve sul “Giornale dell’Emilia” di Bologna, in data 5 febbraio 1909.
(26) Su Boccioni: M. Calvesi, s.v. Boccioni, Umberto, in Futurismo & Futurismi, cit., pp. 428-430.
(27) Sulla serie Gli addii di Boccioni: E. Coen, Futurismo, fascicolo monografico allegato ad “Art e Dossier”, n. 2, maggio 1986, pp. 35-38. 

(28) Sulle ricordate opere di Gino Severini: F. Benzi, Il Futurismo, Milano 2008, pp. 207-215.
(29) Sui Lanceri di Boccioni e di Severini, interessante: U. M. Milizia, Due cariche di cavalleria. L’arte futurista e la guerra, in “Ars militaris. Società di cultura e storia militare”, www.arsmilitaris.org. 

(30) Su Severini: F. Benzi, Il Futurismo, cit., pp. 109-122. (31) Sulla funzione della rivista “Lacerba”: ivi, pp. 146-159. (32) Il testo del programma del Partito politico futurista è pubblicato in G. D. Bonino, Manifesti futuristi, Milano 2009, p. 68.

L'ARTE E LA PRIMA GUERRA MONDIALE
L'ARTE E LA PRIMA GUERRA MONDIALE
MARCO BUSSAGLI
La presente pubblicazione è dedicata alla Prima Guerra Mondiale nell'arte. In sommario: I ''mal di pancia'' della storia; La guerra igiene del mondo; Artisti al fronte; L'arte dei vincitori; La rappresentazione della guerra fuori dei confini italiani. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.