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nel deserto
dell’indifferenza

di Leonardo Piccinini

Complesse vicende costruttive, frammenti di storia della museologia, guerre mondiali, disimpegno dello Stato, enormi superfici da mantenere: questi, in sintesi, gli elementi caratterizzanti una delle più bizzarre e ancora poco studiate realtà monumentali italiane, il castello del Catajo. A venti chilometri da Padova, visibile anche dall’autostrada ma forse sconosciuto ai più, questo edificio, dall’aspetto “arcigno”, venne fatto costruire per rendere omaggio alle glorie della famiglia Obizzi - una famiglia di condottieri - da uno dei suoi esponenti più illustri, Pio Enea I degli Obizzi, nella seconda metà del Cinquecento. Il castello, divenuto nel corso dei secoli villa, palazzo ducale e dimora imperiale, presenta internamente gli affreschi realizzati dal prolifico artista rinascimentale veneziano Giovanni Battista Zelotti, esternamente fastose e stravaganti fontane barocche. L’ultimo degli Obizzi, che vi allestì un ricchissimo museo di collezioni archeologiche, d’armi e strumenti musicali, tra i primi aperti al pubblico nel Veneto, morì lasciando l’intero complesso nel 1803 agli Estensi, duchi di Modena. Francesco IV e Francesco V, ultimi a regnare nella città emiliana, austriaci per discendenza e sensibilità, rivoluzionarono l’edificio - usato sia per la villeggiatura sia per ricevere sovrani e parenti - costruendo una nuova ala e ridisegnando il parco all’inglese che tanto piaceva allora. Il Catajo arrivò ad avere più di trecento ambienti, vasti annessi con scuderie, terreni agricoli e una grande collina alle spalle. L’esilio di Francesco V, che si concluse a Vienna, non fu che l’inizio della dispersione per l’antica collezione Obizzi; l’erede Francesco Ferdinando (destinato, come sappiamo, a morire a Sarajevo) fece poi trasferire la straordinaria raccolta di armi e armature nel suo castello di Konopištĕ, vicino a Praga, servendosi di un binario appositamente realizzato che dal castello si innestava sulla linea ferroviaria per Venezia (e da lì per Vienna).

L’Austria restituì il Catajo all’Italia dopo la Prima guerra mondiale come riparazione ai danni causati dal confitto; lo Stato lo vendette nel 1929 alla famiglia Dalla Francesca. Ma non è certo facile per un privato riuscire a gestire un complesso di tali dimensioni: e infatti il degrado dell’ala ottocentesca, così come dei fabbricati di servizio, risulta evidente anche all’occhio più distratto. Il Catajo è stato più volte messo all’asta, in una serie di sessioni andate sempre deserte. Il valore iniziale, fissato dal tribunale di Padova, era di 11 milioni e mezzo di euro, poi drammaticamente sceso a poco più di tre milioni nell’asta prevista il prossimo 13 maggio. Viene da “sorridere” al pensiero che la Regione e il Ministero non riescano a occuparsi di un bene storico e monumentale di questa importanza. Forse manca la volontà!

ART E DOSSIER N. 321
ART E DOSSIER N. 321
MAGGIO 2015
In questo numero: L'INVASIONE DELLE ULTRAMOSTRE Expo, Biennale e le altre, in Italia e in Europa: da Leonardo a Gauguin, da Altdorfer alla Nuova oggettività, dal barocco romano a Diebenkorn. PAGINA NERA La Palermo dell'abbandono.Direttore: Philippe Daverio