biennale dell’avana

Cristina Baldacci

1989: con il crollo del Muro di Berlino l’Europa dell’Est fu la prima area geografica a uscire dall’isolamento culturale prodotto dal comunismo e dalla guerra fredda. In quello stesso anno due grandi mostre allargarono i confini dell’arte includendo esperienze al di fuori dell’asse occidentale europeo-americano. Il sistema contemporaneo cominciò da allora a espandersi su scala globale. Una di queste due mostre fu Magiciens de la terre al Pompidou di Parigi, l’altra la terza edizione della Biennale dell’Avana, che accanto ad artisti latinoamericani e caraibici, presentò artisti africani, asiatici e mediorientali.

Nata con l’appoggio del governo cubano e del Centro de Arte Contemporáneo Wifredo Lam - voluto da Fidel Castro in ricordo del più famoso tra i pittori nazionali -, la Biennale dell’Avana è stata la prima grande mostra a cadenza periodica di un paese socialista. Il suo modello aperto e corale, allora ancora unico, si definì già a partire dalla seconda edizione nel 1986, quando la partecipazione venne estesa a tutti gli artisti del cosiddetto Terzo mondo; il filo conduttore, non più legato a questioni locali, abbracciò tematiche di più ampio respiro; e la mostra si diffuse nel contesto urbano mettendo in relazione l’arte con la vita di tutti i giorni. Giunta alla dodicesima edizione, la Biennale di quest’anno - dal 22 maggio al 22 giugno - riconsidera la sua storia e il suo modello “tra teoria e pratica” (Between Idea and Practice), come rivela il titolo scelto. Un modello i cui punti di forza sono stati il rapporto dialettico tra tradizione autoctona e influenze internazionali, tra periferia e centro, tra individuo e collettività.

La lista degli artisti invitati rimane cosmopolita e incentrata su quei paesi fino a poco tempo fa considerati “ai margini”, oggi rappresentati da nomi di fama internazionale. Solo per citare qualche esempio: l’Albania è presente con Anri Sala (1974), i cui video raccontano la difficile storia di un popolo e della sua terra tra passato e presente; l’Argentina con Adrián Villar Rojas (1980), autore di installazioni scultoree che si collocano tra la rovina antica, l’archeologia industriale e la visione futuribile; il Brasile con Eduardo Kac (1962), che unisce arte e scienza servendosi di processi biologici, ingegneria genetica e tecnologie digitali (suo il coniglio transgenico color verde fluorescente nato nel 2000); il Guatemala con Regina José Galindo (1974), che usa il proprio corpo come arma di critica politica e sociale e come tramite per riportare alla memoria un passato traumatico (individuale e collettivo); il Messico con Carlos Amorales (1970), che nei suoi lavori ambientali e performativi mescola linguaggi e media diversi tra impegno politico e immaginario surreale. In mostra anche alcuni progetti nati dalla collaborazione tra più artisti, come Montañas con esquina rota (Montagne dalla cima rotta), curato dal cubano Wilfredo Prieto, con la partecipazione di colleghi altrettanto conosciuti e attivi o interessati ai risvolti socio-politici della contemporaneità, come Abraham Cruzvillegas, Ryan Gander, Hans Haacke e Pierre Huyghe.

ART E DOSSIER N. 321
ART E DOSSIER N. 321
MAGGIO 2015
In questo numero: L'INVASIONE DELLE ULTRAMOSTRE Expo, Biennale e le altre, in Italia e in Europa: da Leonardo a Gauguin, da Altdorfer alla Nuova oggettività, dal barocco romano a Diebenkorn. PAGINA NERA La Palermo dell'abbandono.Direttore: Philippe Daverio