UNA TENDENZA E DUE ANIME,
CLASSICISTI E VERISTI

Con l’icastica efficacia dell’espressione grafica, due disegni riescono a sintetizzare bene la Nuova oggettività (Neue Sachlichkeit).

Uno è di Thomas Theodor Heine, geniale e cinico disegnatore della rivista satirica monacense “Simplicissimus”, che quando la tendenza è emersa sulla scena artistica tedesca ha immaginato, facendone proprio lo stile, un architetto in preda al demone della Sachlichkeit portare alle estreme conseguenze tutto quanto il modernismo aveva insegnato sull’inutilità dell’ornamento. Nel suo nuovo concetto di architettura e di mondo, ogni cosa doveva essere rettilinea, funzionale, razionale, senza alcun inutile orpello: così, non contento di aver eliminato dalle forme di casa sua ogni elemento di vana decorazione, di deviazione dal geometrico puro, eccolo in azione su familiari e domestici, replicando la furia del terribile “sartore” dello Struwwelpeter, il nostro Pierino Porcospino, nel tagliare con il piacere dell’implacabile purificatore visionario la parte più barocca, talvolta addirittura e inutilmente rococò, del nostro corpo, con tutti i suoi anfratti, rotondità e ridicole circonvoluzioni. «Nella lotta coerente contro l’ornamento, un architetto moderno ha tagliato le orecchie a se stesso e a tutta la sua famiglia», recita il sottotitolo del disegno.

Intorno al corpo ruota anche il secondo disegno, che mette a fuoco aspetti altrettanto centrali della tendenza. È intitolato L’invenzione della Nuova oggettività, ovvero carne e ferro e ne è autore Franz Danksin, che con uno stile, all’opposto, analiticamente ridondante e grottescamente realistico, monta un bizzarro teatrino dove le pulsioni profonde della carne, rappresentate da un intrico di scene erotiche sado-maso, si trovano a fare i conti con inedite meccanizzazioni umane, entro un nuovo universo dove le macchine - il “ferro” - trasmettono a tutti e a tutto i loro caratteri, anche formali, le loro durezze e il loro ritmo.


Copertina del libro di El Lisickij e Hans Arp Die Kunstismen/ Les ismes de l’art/ The isms of art (1925).

Thomas Theodor Heine, Sachlichkeit. Nella lotta coerente contro l’ornamento, un architetto moderno ha tagliato le orecchie a se stesso e a tutta la sua famiglia (1925 circa).


Franz Danksin, L’invenzione della Nuova oggettività ovvero carne e ferro (1926 circa).

Questi due disegni gettano una prima luce su senso e intenzioni della Nuova oggettività come fenomeno di stile - e non soltanto - che ha segnato almeno un decennio della vicenda artistica del XX secolo: con una forte caratterizzazione tedesca, tanto che l’espressione corrente per definirlo è Neue Sachlichkeit, ma con analoghe manifestazioni in tutta Europa e oltre. Dopo tali prime suggestioni di acute invenzioni grafiche, tanto più significative in quanto coeve all’affermarsi della tendenza, è opportuno ritornare alla vera storia della Nuova oggettività, cominciando con il vedere che cosa succedeva nella Germania della metà degli anni Venti.

L’espressione “nuova oggettività” viene generalmente collegata a uno stile pittorico un po’ accademico dalla forte componente imitativa, talvolta quasi fotografica. Nel periodo della sua affermazione, era stato pubblicato il volume Die Kunstismen, gli “ismi” dell’arte. In quella che può considerarsi un’opera d’arte in sé, autentico capolavoro della modernità in tipografia, gli autori El Lisickij e Hans Arp - figure di primo piano delle avanguardie storiche - passano in rassegna le diverse articolazioni della ricerca artistica tra 1914 e 1924: film, costruttivismo, verismo, Proun, compressionismo, Merz, neoplasticismo, purismo, dadaismo, simultaneismo, suprematismo, Metafisica, astrattismo, cubismo, futurismo, espressionismo. 


Mario Sironi, Paesaggio urbano con fabbrica e cavalcavia (1921 circa).


Alexander Kanoldt, Olevano (1924); Winterthur, Kunstmuseum. Della cittadina laziale di Olevano, di antica fondazione romana e arroccata sul Monte Celeste, Kanoldt ha eseguito diverse versioni: in tutte, le semplificazioni di derivazione cézanniana sono filtrate dal suo tipico purismo classicista.

Si può osservare come tale elenco sia per certi aspetti eterogeneo, pur cogliendo alla perfezione i principali elementi che allora concorrevano a delineare un quadro estremamente complesso, vivace e pieno di contrasti: nel senso che il termine film non riguarda uno stile ma una tecnica, pur impiegata da diversi artisti d’avanguardia; che il termine futurismo fu programmaticamente scelto da un gruppo di artisti per indicare una ricerca volta ad applicare principi teorici predeterminati; che i termini espressionismo e cubismo, invece, vennero introdotti a posteriori dalla critica a proposito del lavoro, da tempo in corso, di certi pittori tedeschi e francesi, che non costituivano gruppi quanto piuttosto tendenze di stile; che il termine Merz è riferibile all'opera di un unico artista, Kurt Schwitters... Ancora diversa è l'origine dell'espressione "nuova oggettività" che tra i Kunstismen manca, anche se ne possono essere considerati essenziali elementi costitutivi, almeno, Metafisica e verismo.

"Nuova oggettività" manca semplicemente perché quando Kunstismen venne elaborato era una tendenza ancora in fieri, pur avendo già occupato la scena artistica degli anni Venti con tanti artisti che da tempo lavoravano in sintonia con quanto essa avrebbe rappresentato. Rispetto ad altri "ismi", la particolarità della Nuova oggettività è di avere una data di nascita precisa, con giorno, mese e anno: quelli dell'inaugurazione della mostra così intitolata - in originale Die Neue Sachlichkeit. Deutsche Malerei seit dem Expressionismus - che ebbe luogo nella Kunsthalle di Mannheim il 14 giugno 1925, lo stesso anno dei Kunstismen, suscitando grande interesse anche nelle tappe successive del suo tour tedesco (Dresda, Chemnitz, Erfurt, Dessau, Halle e Jena), poiché offriva una nuova prospettiva della pittura contemporanea.

Il sottotitolo - Pittura tedesca dopo l’espressionismo - aiuta a delimitare i confini della tendenza, specificatamente tedesca e da considerarsi cronologicamente successiva, ma non necessariamente in contrasto, rispetto all’espressionismo. Il manifesto della mostra ci offre qualche altra utile chiave di lettura, con una curiosa ma significativa contraddittorietà. A dominare il campo vi è un elemento architettonico: una doppia arcata nitidamente delineata che subito ricorda la pittura metafisica di de Chirico - le arcate delle sue piazze - e più in generale la civiltà artistica classica, romana, mediterranea con quegli elementi costruttivi, funzionali e monumentali, che negli stessi anni erano diventati in Mario Sironi motivo iconografico ricorrente, dai viadotti e cavalcavia di talune periferie urbane agli acquedotti di più “mitici” successivi paesaggi. 

Ma l’impaginazione radicale del manifesto, con le forme elementari dei rettangoli con titolo e sottotitolo che si sovrappongono alla doppia arcata e la scritta «Stadtkunsthalle Mannheim» obliquamente orientata, non è lontana per stile dalla copertina di Kunstismen, applicando modelli di grafica maturati nel clima del Bauhaus, del costruttivismo e del neoplasticimo, di certo lontani dalla Metafisica dechirichiana e da suggestioni italianizzanti. Già il manifesto, dunque, ci dice di almeno due anime della Nuova oggettività: da una parte la classicista, attenta al passato e alla tradizione, dall’altra quella radicata nella modernità e impregnata dello “spirito del tempo”. Sono le due polarità intorno alle quali il direttore della Kunsthalle, Gustav Hartlaub, costruisce la mostra di Mannheim, spiegandone le ragioni nell’introduzione al catalogo delle opere esposte.

Già da alcuni anni si era andata delineando, in tutta Europa, una sorta di “nuovo naturalismo” al quale nel 1922 la rivista d’arte tedesca “Das Kunstblatt” dedica un’inchiesta; interviene anche Hartlaub, individuando i caratteri della tendenza emergente in Metafisica e verismo, per usare i termini dei Kunstismen di El Lisickij e Arp. Più precisamente, il direttore della Kunsthalle ricorre ai termini derivati dal linguaggio politico di ala destra e ala sinistra: la prima, «conservatrice fino al classicismo, affonda le radici in una dimensione fuori dal tempo e vuole nuovamente santificare, dopo tanta stravaganza e caos, il “sano”, la corporeità plastica nel disegno puro secondo natura, esasperando il “terreno”, il tutto tondo»; ne sono punti di riferimento storici Michelangelo, Ingres, e i Nazareni. La seconda non condivide - secondo Hartlaub - le stesse preoccupazioni di qualità artistica; per certi aspetti, anzi, nasce dalla negazione dell’arte, nutrendosi di formulazioni anche elementari, con l’obiettivo di portare alla luce il «vero volto del nostro tempo».


Alexander Kanoldt, Nudo a mezza figura II (1926); Monaco, Pinakothek der Moderne. Anche nella ritrattistica e nella figura prevalgono, in Kanoldt, chiarezza e senso dell’ordine, derivati da un sistematico esercizio su composizione e scomposizione di solidi geometrici. La rappresentazione “oggettiva” dei volumi rivela affinità con astrazioni musicali e rimanda alle sue esperienze monacensi degli anni Dieci, nella cerchia della Nuova associazione artistica di Kandinskij.

Tale fenomeno artistico viene descritto nel suo complesso anche da Franz Roh nel libro Nach-Expressionismus - Magischer Realismus. Probleme der neuesten europäischen Malerei (Postespressionismo - Realismo Magico. Problemi della nuova pittura europea), uscito nello stesso 1925. Con efficace sintesi, Roh ricorre ad alcune parole chiave riferite a stile e modalità compositive per distinguere e contrapporre espressionismo da un lato e, dall’altro, postespressionismo, vale a dire Nuova oggettività: estatico/prosaico; ritmico/descrittivo; commovente/riflessivo; dinamico/statico; sintetico/analitico; sonoro/silenzioso; caldo/freddo; colore materico/velature; ruvido come roccia/liscio come metallo; deformazione espressiva/purificazione armonica, e così via. Tra gli artisti che secondo Roh rappresentano questo sempre più diffuso, ancorché assai variegato, “nuovo naturalismo” ci sono molti tedeschi - Max Beckmann, Otto Dix, George Grosz, Alexander Kanoldt, Carlo Mense, Georg Scholz, Georg Schrimpf… - ma anche pittori italiani, francesi e dell’École de Paris: Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Achille Funi, Ubaldo Oppi, Gino Severini, André Derain, Tsugouharu Foujita, Auguste Herbin, Moïse Kisling, Jean Metzinger, Pablo Picasso, il “doganiere” Henri Rousseau e altri minori. Anche nella mostra di Mannheim, nelle intenzioni di Hartlaub, ci sarebbero dovuti essere artisti di tutta Europa, a cominciare dal Picasso “neoclassicista”.
Ma per ragioni contingenti, legate alle difficoltà del tempo, il progetto iniziale non si realizzò e così la mostra della Neue Sachlichkeit si aprì con artisti esclusivamente tedeschi, trentadue in tutto.

Quanto maggiormente colpisce è la loro diversità. Pittori come Kanoldt e Grosz - entrambi ampiamente rappresentati - sono quanto di più lontano si possa immaginare. Il primo svolgeva modelli cubisti del primo Novecento, riconducibili a Braque e Derain, in vedute quasi “metafisiche” di antichi siti italiani (San Gimignano, Olevano) rimasti sempre uguali a se stessi; il secondo dipingeva e disegnava vedute urbane contemporanee dove l’impianto futurista di partenza, intrecciato a deformazioni e accensioni cromatiche tipicamente espressioniste, si faceva teatro di tempi moderni frenetici, isterici, violenti. Ma qualcosa dovevano pur avere in comune, se Hartlaub aveva scelto anche loro quali esemplari interpreti di una fase successiva all’espressionismo che poteva essere sintetizzata nello slogan, molto fortunato, di una “nuova oggettività”. Si trattava in realtà di un denominatore comune davvero minimo e un po’ generico, consistente nel fatto di essere rimasti «fedeli alla realtà positiva e tangibile», per dirla con le parole di Hartlaub, cioè di non fare della pittura astratta. Kanoldt e Grosz esemplificano due componenti centrali della tendenza, classicismo e verismo, anche coincidenti con modi opposti di rapportarsi con il “tempo”: con i suoi paesaggi italiani - e le nature morte, e i nudi - il primo va educatamente alla ricerca dell’essenza delle cose fuori dal tempo e dalla storia, mettendo in campo una pittura estremamente curata; il secondo, invece, s’immerge brutalmente nella contemporaneità per misurarne la temperatura e condividerne il ritmo attraverso una forma di realismo decisamente “antigrazioso”, deformato, caricaturale.


George Grosz, Germania, una fiaba d’inverno (1918); opera perduta. Il titolo ripete quello di una famosa satira politica in versi pubblicata da Heinrich Heine nel 1848, anno delle Rivoluzioni. In Grosz si traduce in una critica senza sconti alla Germania del 1918 in chiave antimilitarista, anticlericale e antipatriottica. Ricorre la figura della prostituta, ma nel caos di una società in ebollizione il marinaio in divisa blu, rappresenta aspirazioni ed energie rivoluzionarie: sarebbero stati proprio i marinai di stanza a Kiel, nel novembre 1918, a sollevarsi e a fucilare i loro ufficiali.

NUOVA OGGETTIVITÀ
NUOVA OGGETTIVITÀ
Antonello Negri
La presente pubblicazione è dedicata al movimento della Nuova oggettività. In sommario: Una tendenza e due anime, classicisti e veristi; Germania e Italia; Tra Dada e antiformalismo; Protagonisti e comprimari; Generi, temi e soggetti ricorrenti. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.