Protagonisti
e comPrimari

Ma ritorniamo alle opere e agli artisti della mostra di Mannheim. Si è visto come, sorprendentemente dalla prospettiva di oggi, uno dei pittori più ampiamente rappresentati fosse Grosz, con una tipologia di opere stilisticamente lontana dall’idea corrente di Nuova oggettività, cui parrebbero meglio convenire, per esempio, Christian Schad e Carl Grossberg.

Le loro opere, infatti, esemplificano alla perfezione - con uno stile freddamente fotografico - i caratteri più tipici della tendenza, sintetizzati dai disegni di Heine e di Danksin nel contrasto, e al tempo stesso attrazione, tra la carne e le sue pulsioni, anche profonde, e il ferro come emblema della modernità e delle sue durezze, reali e metaforiche.

La carne è un leitmotiv della pittura di Schad, che rappresenta corpi nudi o appena velati (Autoritratto del 1927), sfrontatamente svelati nell’autoerotismo (Deux filles, 1928), deformi (Agosta l’uomo pollo e Rasha la colomba nera, 1929), meravigliosamente istoriati (Ritratto di Egon Erwin Kisch, 1928), aperti dai ferri di chirurghi (Operazione, 1929); mentre il ferro governa la produzione grafica e pittorica di Grossberg, un artista le cui opere ruotano quasi esclusivamente intorno alla nuova bellezza evocata dalle lisce metallicità delle architetture industriali e razionali e delle macchine in esse contenute. Schad e Grossberg - che non parteciparono, però, alla storica mostra di Mannheim - si concentrano ciascuno su un aspetto di quei leitmotiv che ebbero una loro prima efficace espressione in un quadro di Georg Scholz intitolato, appunto, Carne e ferro, dove compaiono due nudi femminili, d’impronta vagamente rinascimentale, che in uno strano interno industriale dialogano con una grande turbina.

Può risultare incongrua la contaminazione di un’atmosfera di modernità spinta con una maniera pittorica che esplicitamente dichiara la propria matrice rinascimentale tedesca. È tuttavia quanto si avverte, tra gli altri, in un ancora più influente pittore dell’ala sinistra della Nuova oggettività quale era Dix. 

Christian Schad, Agosta l’uomo pollo e Rasha la colomba nera (1929).


Christian Schad, Ritratto di Egon Erwin Kisch (1928); Amburgo, Kunsthalle.


Christian Schad, Operazione (1929); Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus.

Nella mostra del 1925, oltre ai già citati, esponeva pezzi recenti come La vedova e il Ritratto della mercante d’arte Johanna Ey che se, da un lato, restituivano il lato meno aspro della sua pittura del tempo - nessun orrore della guerra, nessuna laida prostituta, nessuna scena di omicidio sessuale - evidenziavano dall’altro il gusto di un ritrovato stile dei maestri antichi, anticipando un capolavoro di qualche anno dopo: quel Trittico della metropoli dove con mestiere da perfetto pittore rinascimentale Dix racconta piaceri, miserie e contraddizioni della vita contemporanea - l’esistenza sotterranea di miserabili, mutilati, prostitute e travestiti in contrasto con la sfrenata sfrontatezza dei divertimenti notturni dei ricchi - facendo saltar fuori da un jazz band moderno una tromba del giudizio ispirata dal ricordo di un barocco angelo musicante di Dresda. Una sorta di “memento mori“, dunque, che nell’ala sinistra della Nuova oggettività si avverte anche, per esempio, in quelle formicolanti folle urbane di Grosz che hanno qualcosa di analogo alle figure fantastiche e mostruose di certe composizioni di Hyeronimus Bosch, con le quali condividono un moralismo di fondo; a prescindere, naturalmente, dai “veristici“ riferimenti grosziani alla storia e alla cronaca contemporanee.

Altrettanto decisivo è il rapporto con il passato artistico tedesco nella pittura di Max Beckmann, che riesce a risolvere in un linguaggio inedito la contaminazione del suo espressionismo cubofuturista di partenza con elementi della tradizione rinascimentale e gotica del Nord. È lui - in primo luogo secondo Hartlaub, che nella mostra del 1925 gli dedica un grande spazio, rappresentandolo con quattordici dipinti eseguiti tra 1917 e 1924 - l’autentico protagonista della Nuova oggettività. La pittura di Beckmann, lontana dagli arcaismi dei classicisti così come dall’analiticità descrittiva dei veristi, capovolge l’espressionismo - del suo stile comunque componente importante - in un linguaggio che, per penetrare a fondo lo spirito del tempo, si raffredda e si concentra sull’essenziale, sulla cosa, la “Sache“. In un scritto del 1918, che vale come programma artistico, Beckmann afferma di non sopportare il sentimentalismo e di «amare tanto la pittura perché costringe a essere oggettivi».


Carl Grossberg, Serbatoi bianchi (1933).

Georg Scholz, Carne e ferro (1920 circa).


Otto Dix, Ritratto della mercante d’arte Johanna Ey (1924); Düsseldorf, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen.

Otto Dix, Trittico della metropoli (1928); Stoccarda, Kunstmuseum.


Max Beckmann, Ritratto di famiglia (1920); New York, Museum of Modern Art.

Secondo lui, ci sono cose della vita che non si possono dire ma soltanto rappresentare attraverso immagini: e maggiore è l’emozione che suscitano, «tanto più fredda diventa la mia volontà di afferrare questo mostro che sussulta orrendamente e di imprigionarlo, schiacciarlo, strangolarlo in linee e superfici aspre e trasparenti», dietro le quali, cioè, si possa cogliere il senso profondo di quanto si vede. In sintonia con analoghi “ritorni“’ italiani - si pensi al famoso articolo di Giorgio de Chirico Il ritorno al mestiere, pubblicato nel 1919 in “Valori Plastici” (n. 11-12) - Beckmann ha un profondo senso del mestiere, del concreto lavoro del pittore e della sua manualità. Per dire cose che non possono essere espresse con parole, bisogna avere un perfetto controllo della tecnica e delle sue specificità: essere in grado di orchestrare come si deve le forme, arrivando alla messa in scena della cosa - del «mostro che sussulta orrendamente» - facendo interagire linee e superfici colorate, il diritto con il curvo, il dettaglio con l’insieme, conferendo alla bidimensionalità della tela il senso di una profondità rappresentativa anche mentale. Come per i veristi, per Beckmann è centrale la tematica urbana - «la grande orchestra umana è la città», scrive - nel quadro di un complessivo progetto di amara restituzione visiva del destino degli uomini. Se il punto di partenza è un’osservazione ossessiva delle cose, del mondo reale, il risultato è la sintesi di una dimensione pittorica quasi “mitica”, rappresentata nel modo più forte ed efficace da un capolavoro come il cupo “intérieur” del Ritratto di famiglia, del 1920. Senza esplicite allusioni alle vicende storiche di quegli anni, Beckmann vi mette a nudo magistralmente un clima, un intrico di emozioni, desideri e passioni senza tempo a partire da un contesto storico ben determinato e specifico com’era quello della Germania del dopoguerra. Esemplificano la sua capacità di muoversi tra i diversi registri dei generi artistici tradizionali, pure aggiornati a una sensibilità pittorica del tutto nuova, altri pezzi esposti alla mostra della Nuova oggettività: la composizione di soggetto biblico (Cristo e l’adultera), pur d’impianto decisamente poco ortodosso, il ritratto (Ritratto di Fridel Battenberg), il paesaggio (Paesaggio presso Francoforte), la scena di vita contemporanea (Ballo a Baden-Baden), senza contare un paio di nature morte cariche di simboli.


Max Beckmann, Ritratto di Fridel Battenberg (1920); Hannover, Sprengel Museum.

Max Beckmann, Cristo e l’adultera (1917); Saint Louis, City Art Museum.


Max Beckmann, Ballo a Baden-Baden (1923); Monaco, Pinakothek der Moderne.


Max Beckmann, Paesaggio presso Francoforte (1922); Waltham (Massachusetts), Brandeis University, Rose Art Museum.

NUOVA OGGETTIVITÀ
NUOVA OGGETTIVITÀ
Antonello Negri
La presente pubblicazione è dedicata al movimento della Nuova oggettività. In sommario: Una tendenza e due anime, classicisti e veristi; Germania e Italia; Tra Dada e antiformalismo; Protagonisti e comprimari; Generi, temi e soggetti ricorrenti. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.