DA BARELY LEGALA BANKSY VS BRISTOL MUSEUM

Nel 2006 Banksy organizza una delle sue mostre più provocatorie, Barely Legal, tenutasi a Los Angeles per soli tre giorni, dal 15 al 17 settembre, in uno spazio mantenuto segreto fino al giorno dell’inaugurazione,

quando viene svelato sul sito dell’artista, per l’eccitazione dei suoi trentamila visitatori. Più che gli stencil e i dipinti modificati, a catturare la curiosità degli spettatori è la presenza in mostra di un’elefantessa indiana di trentotto anni, Tai, dipinta con un motivo damascato che ricorre ossessivamente anche sulle pareti delle sale. Il riferimento è all’espressione inglese “The elephant in the room”, ovvero un grosso problema su cui tutti sorvolano per imbarazzo. E quel problema, dichiara esplicitamente Banksy in un cartoncino consegnato all’ingresso nel corso dell’inaugurazione, sono le persone che non hanno accesso all’acqua potabile e che vivono sotto la soglia di povertà. Tra i visitatori di questa mostra estemporanea troviamo pure Jude Law, Keanu Reeves, Brad Pitt e Angelina Jolie, che in quell’occasione spese duecentomila sterline per tre opere; non l’unica occasione in cui star del jet set hanno fatto  follie per portarsi a casa un Banksy, se si pensa che due anni dopo George Michael offre all’artista due milioni di sterline per un intervento artistico nella propria dimora inglese. 

Alle occasioni mondane, sempre disertate, Banksy predilige tuttavia il brivido inappagabile dell’azione in strada. Non solo nel cuore della notte: in occasione del soggiorno californiano per Barely Legal, Banksy compie un’incursione a Disneyland, ove eludendo la sorveglianza riesce a entrare nell’area recintata dove passano le montagne russe. Qui colloca un pupazzo vestito con l’inconfondibile abito arancione dei detenuti di Guantanamo, la testa avvolta da un sacco nero e le mani ammanettate. Fantocci che riproducono le fattezze umane sono utilizzati anche da altri street artists, su tutti Mark Jenkins; tuttavia in Banksy tali espedienti cercano sempre di creare un cortocircuito con accenti di critica sociale: in questo caso, nel cuore del più famoso parco-divertimenti degli Stati Uniti, l’artista impone con irruenza una riflessione sulla tortura nel campo di prigionia americano a Cuba, tema affrontato anche in altre opere. 

Sempre nel 2006 Banksy compie un’altra delle sue memorabili imprese, questa volta ironizzando sull’inconsistenza di un personaggio mediatico - l’ereditiera Paris Hilton - che in quell’anno pubblica il suo primo (e unico) album, Paris. In modo rocambolesco Banksy produce cinquecento false copie del cd, riuscendo poi a farle entrare in commercio in quarantadue negozi inglesi di musica, un’azione che ricorda quella intrapresa in Italia nel 1977 dal situazionista Franco Ghisleni, quando mise in circolazione un falso testo di Berlinguer, Lettere agli eretici, graficamente presentato come fosse un volume della collana “Nuovo Politecnico” di Einaudi. Banksy remixa l’audio e soprattutto il booklet del cd, che presenta ritagli di giornale in stile punk con scritte del tipo «Every time someone asks me how I am I hesitate for a little bit too long».


Veduta della mostra Barely Legal, Los Angeles (2006).


Prigioniero di Guantanamo installato a Disneyland (2006).


il falso cd di Paris Hilton (2006).

Parallelamente, Banksy continua i suoi raid in strada, con opere che dal 2006 si fanno meno numerose, ma più elaborate, di grandi dimensioni e ricche di dettagli. Oltre all’installazione urbana Vandalised Phone Box, consistente in una tipica cabina telefonica inglese “uccisa” a picconate (opera poi recuperata dall’artista, e successivamente venduta a un’asta di beneficenza per oltre seicentomila dollari), ricordiamo stencil come Well Hug Lover a Bristol, opera salvata dalla cittadinanza in seguito a un sondaggio pubblico, e Sweep It under the Carpet (Maid) a Londra, la cui versione su tela (Keep It Spotless), realizzata l’anno successivo a quattro mani con Damien Hirst, venne battuta nel febbraio del 2008 a New York da Sotheby’s per 1,8 milioni di dollari, costituendo per molti anni il record d’asta dell’artista. Al mercato luccicante delle aste internazionali Banksy preferisce però quello ruvido del suo Santa’s Ghetto, che in occasione della quinta edizione viene organizzato a Betlemme. L’artista ritorna così in Palestina assieme a un gruppo di altri street artists, tra i quali gli italiani Ericailcane e Blu, con i quali dipinge nuovamente sul muro di separazione israeliano, nell’intento di sensibilizzare la popolazione mondiale su quella martoriata terra. A Betlemme Banksy realizza anche quattro nuovi stencil, tra cui l’iconica Girl Frisking Soldier.


Vandalised Phone Box (2006); Londra.


Well Hug Lover (2006); Bristol.

Sweep It under the Carpet (Maid) (2006); Londra.


Girl Frisking Soldier (2007); Betlemme.

Un altro, raffigurante un poliziotto isra eliano che controlla i documenti a un asino, viene successivamente distaccato per essere venduto, vicenda raccontata nel documentario The Man Who Stole Banksy (2018) di Marco Proserpio. 

Quello palestinese non è l’unico evento collettivo promosso in questi anni da Banksy. Dal 3 al 5 maggio 2008 organizza a Londra il Cans Festival, al quale partecipano una quarantina di stencil artists internazionali. L’evento, al quale collabora pure il critico Tristan Manco, si tiene a Leake Street, un tunnel in disuso per treni Eurostar, dove Banksy fa collocare, a mo’ di arredo, delle carcasse d’auto, alcune capovolte, altre bruciate, e un furgoncino dei gelati semidistrutto. Nel pieghevole che accompagna la stravagante manifestazione, assieme a pubblicità alterate (per esempio dell’IKEA) l’artista pubblica un testo, One Nation Under Guard, che è un atto d’accusa contro la società del controllo, che evidenzia in particolar modo lo smisurato aumento di telecamere a circuito chiuso, già da diversi anni bersaglio di alcune opere. 

A ottobre Banksy tiene la sua prima mostra a New York, The Village Pet Store and Charcoal Grill, bizzarro mix tra un negozio di animali e un fast food. L’esposizione stimola provocatoriamente una riflessione sulla società dei consumi in relazione al nostro ambiguo rapporto con gli animali, al contempo compagni di vita e merce destinata al rapido consumo all’interno dei fast food.


Graffiti Remover (Whitewashing Lascaux), Londra, Cans Festival (2008).


“Animatronic” [nuggets di pollo che mangiano la salsa da una ciotola] nella mostra The Village Pet Store and Charcoal Grill a New York (2008).

Le opere esposte sono costituite perlopiù da “animatronic”, pupazzi meccanici animati realisticamente da tecnologie utilizzate in ambito cinematografico. Tra i tanti: dei nuggets di pollo in stile McDonald’s che si nutrono di una salsa da una vaschetta; una coppia di bastoncini di pesce che nuota in un acquario; una telecameramadre che sorveglia attentamente i suoi cuccioli (due piccole telecamere pigolanti) dentro un nido; una scimmia che in solitudine, nella sua stanza, guarda un video di scimpanzé che si accoppiano; un grosso salame, parzialmente affettato, che si muove come fosse una lumaca. Nel corso del suo soggiorno newyorkese Banksy realizza anche una grande opera raffigurante un topo incravattato con una borsa piena di dollari, Let Them Eat Crack, caustico riferimento al ruolo delle banche nella crisi finanziaria che in quell’anno spalanca le porte alla recessione. 

Sempre nel 2008 Banksy è a New Orleans, per il terzo anniversario dell’uragano Katrina: qui realizza undici stencil, oltre a uno eseguito in una stazione di servizio dell’Alabama, raffigurante un incappucciato del Ku Klux Klan. Altri stencil vengono dipinti in questi anni pure nella capitale inglese: nel 2007 ritorna anche su un suo pezzo del 2005, uno sportello per il prelievo automatico dal quale fuoriuscivano false banconote della “Banksy of England” raffiguranti Lady D in luogo della regina. Essendo queste ultime sparite nel giro di poco tempo, Banksy modifica l’opera aggiungendo allo sportello ATM un braccio meccanico che rapisce una bambina, a simboleggiare la violenza insita nel denaro e, in generale, nel capitalismo. Al 2008 risalgono altre due opere londinesi che hanno come soggetti bambini e che vanno a interagire in maniera site specific con elementi urbani: Bubble Slide Girl ritrae la silhouette di una bambina che fa delle bolle di sapone scivolando da una (vera) grondaia, mentre in Very Little Helps un altoparlante diventa l’asta della bandiera della Tesco - la nota catena di supermarket inglesi al centro di varie opere di Banksy - alla quale tre giovanissimi, mano sul petto, paiono prestare giuramento di fedeltà. Un’altra multinazionale, IKEA (qui riformulata in IEAK), viene toccata in un’opera del 2009: in questo caso ad essere ridicolizzato è un punk che ha acquistato il kit Large Graffiti Slogan e, istruzioni alla mano, è in difficoltà nel comporre slogan anarchici con le lettere contenute nel pacco. Allo stesso anno risale una semplice quanto incendiaria opera a difesa dell’ambiente, dipinta lungo un canale londinese: la scritta I Don’t Believe in Global Warming, in cui è visibile solo la parte superiore delle lettere, come se lo slogan fosse stato parzialmente sommerso dall’acqua.


I Don’t Believe in Global Warming (2009); Londra.


Let Them Eat Crack (2008); New York.
«Esistono senza permesso. Sono odiati, cacciati e perseguitati. Vivono in una silenziosa disperazione tra la sporcizia. Eppure sono capaci di mettere in ginocchio intere civiltà. Se sei sporco, insignificante e non amato, i topi non possono che essere il tuo modello» (Banksy, da Wall and Piece, 2005).


Very Little Helps (2008); Londra.

Nel 2009 Banksy è anche protagonista di un leggendario duello murale con uno storico writer di Londra appartenente all’“old school”, King Robbo. Quest’ultimo aveva dipinto un suo pezzo nel 1985 lungo le sponde del Regent’s Canal, graffito che negli anni si era fortemente deteriorato. Banksy, violando una delle leggi implicite del Graffiti Writing da lui mai condivise, interviene sull’opera dipingendoci sopra un attacchino, trasformandola così in una sorta di manifesto in corso d’affissione. In poco tempo il writer e il suo team rimarcano il territorio, e quell’attacchino diviene un vandalo che sta scrivendo a caratteri cubitali «KING ROBBO». Ma, colpo di genio di Banksy, con l’aggiunta di sole tre lettere nello stesso stile la scritta si trasforma in «FUCKING ROBBO». Il duello si protrae fino al 2011 - coinvolgendo anche la scritta sul cambiamento climatico ricordata poco fa - quando a seguito di un incidente Robbo entra in coma e Banksy, in solidarietà con l’avversario, lo omaggia rifacendo il graffito del 1985.

Fuc/King Robbo (2009); Londra.


Ingresso della mostra Banksy vs Bristol Museum, Bristol (2009).
Interamente finanziata da Banksy nel museo cittadino della sua città natale, Bristol, Banksy vs Bristol Museum fu visitata in media da quattromila persone al giorno, complessivamente circa trecentomila, portando un indotto nell’economia cittadina di oltre dieci milioni di sterline.

Sempre nel 2009 un’altra e più difficile sfida attende Banksy: la più grande mostra a oggi realizzata, nella sua città natale, ospitata ufficialmente nel museo cittadino. Banksy vs Bristol Museum fu una vera impresa, perché da una parte Banksy costrinse i vertici del museo al più stretto riserbo sull’operazione e alla promessa di massima libertà d’azione; dall’altra si sobbarcò interamente i costi della mostra, altrimenti inaffrontabili per il museo. Tra opere e interventi site specific vengono presentati un centinaio di lavori, a partire dall’atrio d’ingresso che ospita un camioncino dei gelati vandalizzato a mo’ di reception e un’installazione con una guardia antisommossa che, manganello in mano e casco in volto, dondola allegra su un cavallino a gettoni. 

Statue classiche vengono reinventate, ora con l’aggiunta di perizomi, ora con barattoli di vernice rosa in testa, mentre al piano superiore Banksy stravolge le sale storiche inserendovi gli animatronic già testati a New York e numerose nuove opere, come una versione delle Spigolatrici di Millet nella quale una delle lavoratrici fuoriesce fisicamente dalla tela per fumare una sigaretta. Il percorso, visitato in due mesi e mezzo da circa trecentomila persone, presenta anche una ricostruzione dello studio dell’artista e divertenti interferenze con le tradizionali sale espositive, come una pipa per fumare marijuana mimetizzata nella sala delle ceramiche.


Jean-François Millet, Le spigolatrici (1857); Parigi, Musée d’Orsay.


Agency Job (The Gleaners), opera esposta alla mostra Banksy vs Bristol Museum, Bristol (2009).

BANKSY
BANKSY
Duccio Dogheria
Lo scopo della Street Art è quello di trasformare un angolo di città in un terreno di confronto e riflessione su temi sociali ed esistenziali. In questo senso si può affermare che il più noto, efficace, controverso e dibattuto protagonista del genere è Banksy (Bristol 1974). Come per Elena Ferrante, fama e incertezza sull’identità anagrafica possono felicemente coesistere. La vera identità di Banksy, al di là delle molte illazioni, non è nota. Resta la sua capacità di far parlare di sé attraverso le proprie opere. Graffiti eseguiti con lo stencil sparsi in mezzo mondo – dal muro che separa Cisgiordania e Israele a Venezia, a New York – diffondono le sue immagini che, in modo chiaro e leggibile a chiunque, parlano di violenza urbana, ingiustizie sociali, guerre, libertà violate, consumismo. Sempre con una vena di ironia e con una particolare capacità di adattare il messaggio al supporto, facendolo diventare parte dell’opera stessa.