Grandi mostre. 2
Il demone della modernità a Rovigo

enigma
e seduzione

Mentre si delineava il dramma del primo conflitto mondiale, l’Occidente tra fine Ottocento e primo Novecento avvertiva l’urgenza di rompere il legame con la tradizione.
Nell’arte, già attratta all’epoca da stimoli di stampo simbolista, l’occasione è proficua per abbandonare le certezze del dato sensibile e sondare le pieghe dell’inconscio. Con immagini – come ci racconta qui il curatore della mostra in corso a palazzo Roverella – intrise di gioia e dolore, incubo e sogno.

Giandomenico Romanelli

Tra fine Ottocento e primo Novecento sembrano affastellarsi attorno a temi e soggetti ricorrenti le fantasie di molti artisti attratti dalla necessità di assimilare compiutamente e, soprattutto, liberamente le suggestioni e gli stimoli che dominavano l’orizzonte dell’arte di matrice simbolista. Non era meno impellente il bisogno di radicali rotture con una tradizione di cui si erano oramai smarrite le ragioni e il senso e che rivelava apertamente i suoi limiti. 

Era però la cultura dell’Occidente che, nel suo insieme, era investita e sconquassata da un potente vento di crisi e di cambiamento. Era quella “tempesta” impigliata nelle ali dell’angelo della “modernità”, per usare l’immagine di Walter Benjamin a proposito dei celebri angeli di Klee, e che poteva essere denominata come progresso. 

La forza di questa tensione era incontenibile: la letteratura, la musica e, naturalmente, le arti figurative si abbeveravano a questa fonte ciascuna traendo energia e dinamismo nella sua azione. Sullo sfondo, però, si profilava l’immane disastro del conflitto mondiale, la tragedia spaventosa e insensata della Grande guerra. Era come un mostro, un oscuro presagio: la comparsa di una creatura trionfante come in un’apocalisse inevitabile e oscura, figlia della morte e generatrice di morte.


Gustave Moreau, Salomè danzante 1885-1890), Parigi, Musée Gustave Moreau.

La realtà è il pretesto per esplosioni dell’immaginario, per dar vita a linguaggi esotici e ospitare saperi esoterici


Gli artisti coglievano, nella sensibilità delle loro attitudini, i segni premonitori sia della libertà e delle potenzialità dei tempi nuovi, sia delle degenerazioni nate dalle trasgressioni e dalla violenza dei tempi, sia dai fantasmi di un inconscio che si rivelava nella molteplicità delle sue forme. La nostra mostra (Il demone della modernità. Pittori visionari all’alba del secolo breve, Rovigo, palazzo Roverella, fino al 14 giugno) si avventura a percorrere sentieri più o meno battuti ma certamente rivelatori di angosce e fantasmi che prendono corpo in forma di figure di angeli e demoni, di incubi e sogni: temi ben noti alla storiografia corrente.
In essi si sono cercate piuttosto le crepe, le discontinuità sulla compattezza, le tracce di crisi e di cedimenti invece che le certezze consolatorie. 

E ne è uscito un panorama inedito e sconvolgente, il diagramma di oscuri presentimenti, di epifanie gioiose e di melanconie poetiche e dolenti. 

Si parte, in mostra, dai grandi filoni del simbolismo franco-belga che traeva ispirazione dalle novelle di Poe, dalla poesia di Baudelaire, dagli scampoli reconditi del tardo romanticismo “nero” ripescati negli anfratti della memoria e dei sogni. Quindi ecco la fonte di molte tra queste fantasie-premonizioni: Gustave Moreau ci presta due figure centrali in un tale percorso: Edipo e la sfinge; e Salomè danzante. Due archetipi dell’immaginario classico e di quello giudeo-cristiano. Enigma e seduzione; tentazione e salvezza; angeli e demoni; Lucifero e Cristo. 

C’è una chiave che è parso valesse la pena di privilegiare per fornire letture inconsuete e per garantire il filo di Arianna dentro a un territorio di struttura labirintica e di grande eterogeneità, pur all’interno di filoni compattamente affiancati. 

Questa chiave è data dal carattere visionario che contraddistingue artisti e opere. Non vi è, infatti, preoccupazione naturalistica, bisogno di realismo, sete di aneddoti. La realtà è occasione e pretesto per accostamenti arditi, per divagazioni della fantasia, per esplosioni dell’immaginario, per dar vita a linguaggi esotici e ospitare saperi esoterici in un panorama di enigmi e di sferzanti ironie. 

Le “scoperte” presenti in mostra garantiscono la sorpresa e lo stupore più che l’agnizione e la consolante conferma. Divisa in sei capitoli, l’andamento dell’esposizione mette di fronte alle atmosfere cupe e luciferine con Stuck e Odilon Redon quindi ai due capi del linguaggio classico e di quello scabro dell’inconscio e della dannazione. Ma presenta in serie quasi rapsodiche le delizie e gli enigmi di Klinger. 

Le possibilità dell’illuminazione estatica o turbinosa fanno irruzione con Diefenbach: dalle sfingi alle grotte di Capri, dalle apparizioni ai faraglioni si susseguono le sue ossessioni di divino e il suo desiderio di purezza che lo fa vivere come un anacoreta straccione e umbratile nel cuore più trasgressivo dell’Europa fin de siècle. 

Un altro sipario si alza con il modernismo secessionista di alcuni artisti croati di grande nerbo: Mirko Rački, per esempio, trascorre dall’Acheronte ai turbini di Paolo e Francesca in letture nere dell’universo dantesco o spalancando l’inferno di pulsioni inconfessabili (come fa sistematicamente e genialmente anche il belga Félicien Rops nei recessi più impenetrabili dell’abiezione e della perdizione).


Gustave Moreau, Edipo e la sfinge (1889), Metz, Musée de La Cour d’Or - Metz Métropole.


Sascha Schneider, Trionfo delle tenebre (1896).


Franz von Stuck, Lucifero (1889-1890), Sofia, National Gallery for Foreign Art.

Nelle opere del lituano Čiurlionis grandi angeli alati si stagliano contro città silenziose e deserte: Babilonia, Babele? Metropoli postmoderne e capolinea della storia?


Massiccia, anche per quantità di opere, la presenza del lituano Čiurlionis. Grandi angeli alati si stagliano contro città silenziose e deserte: Babilonia, Babele? Metropoli postmoderne e capolinea della storia? Un incredibile diavolo oscuro con gigantesche ali di pipistrello prefigura visioni future: Batman, Fritz Lang, Wim Wenders? 

I dipinti astrusi e maledetti di Schneider e Zwintscher colpiscono per virtù premonitrici di allucinante ambiguità e originalità. Proprio quel destino di morte, quell’incombere di tragedie annunciate, quella diabolica sarcastica veglia di un Lucifero barbuto con gigantesche ali nere spiegate sul corpo di Cristo deposto è una delle più angoscianti e feroci lotte tra il bene assoluto e il male altrettanto totale. L’esito dello scontro è incerto.


Mirko Rački, Attraversamento dell’Acheronte (1910), Zagabria, Moderna Galerija.


Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, Preludio dell’angelo (1909), Kaunas (Lituania), M. K. Čiurlionis National Museum of Art.

Alberto Martini sente anch’egli queste sollecitazioni, reagisce con un personalissimo e indiretto impegno contro la follia della guerra in “cartoline” che avrebbero dovuto essere di propaganda anti-Triplice e sono una beffa del militarismo. Poi insegue i suoi sogni e le sue visioni: la Lotta per l’amore, in più di sessanta penne acquerellate quasi tutte inedite, scopre i recessi del suo inconscio, la violenza di una guerra tra i sessi e tra i caratteri; più tardi si acquatta nella dimensione dell’allegoria e offre spunti pungenti alla poetica surrealista. 

La metropoli (evocata, mitizzata, detestata, cercata e fuggita, idealizzata e demonizzata) lega in un filo continuo i diversi temi della mostra: dalla Parigi di Baudelaire e Redon (“passages” e luci, prostitute e brume, palazzi e periferie) alla New York del cinema espressionista tedesco e, poi, americano, alle strips degli album illustrati. 

Ed ecco il finale a sorpresa: i disegni e le grandi tele di una New York notturna e inattesa, tentacolare, verticale e affascinante come Gotham City, macchinistica come Metropolis, fosforescente e misteriosa come in un film di Murnau, sfuggita al suo creatore come il Golem delle leggende mitteleuropee: è la città che Gennaro Favai si trova davanti alla prua del piroscafo giungendo nel 1930 a Manhattan. Lui la ritrae come in un sogno di futuro concreto e ineludibile: «Aria rosso fangoso intorno ai grattacieli», annota nel suo taccuino, «nell’alto violetto fangoso - poco diversa tutti i colori solo per più o meno scura. Luci rossastre, luci gialle, luci sospese. Luci sospese nell’aria verdi - la base delle case si confonde col cielo».


Gennaro Favai, New York (1930).

Il demone della modernità. Pittori visionari all’alba del secolo breve

a cura di Giandomenico Romanelli
Rovigo, palazzo Roverella
via Giuseppe Laurenti 8/10
telefono 0425-460093
orario 9-19, sabato e festivi 9-20
chiuso lunedì non festivo
fino al 14 giugno
catalogo Marsilio
www.palazzoroverella.com

ART E DOSSIER N. 320
ART E DOSSIER N. 320
APRILE 2015
In questo numero: LE FACCE DEL BRONZO Originali, falsi e repliche: bronzi e bronzetti dai greci a Giambologna, a Pomodoro. IN MOSTRA: Bronzi ellenistici, Durand-Ruel, Il demone della modernità, Matisse.Direttore: Philippe Daverio