La realtà è il pretesto per esplosioni dell’immaginario, per dar vita a linguaggi esotici e ospitare saperi esoterici
Gli artisti coglievano, nella sensibilità delle loro attitudini, i segni premonitori sia della libertà e delle potenzialità dei tempi nuovi, sia delle degenerazioni nate dalle trasgressioni e dalla violenza dei tempi, sia dai fantasmi di un inconscio che si rivelava nella molteplicità delle sue forme. La nostra mostra (Il demone della modernità. Pittori visionari all’alba del secolo breve, Rovigo, palazzo Roverella, fino al 14 giugno) si avventura a percorrere sentieri più o meno battuti ma certamente rivelatori di angosce e fantasmi che prendono corpo in forma di figure di angeli e demoni, di incubi e sogni: temi ben noti alla storiografia corrente.
In essi si sono cercate piuttosto le crepe, le discontinuità sulla compattezza, le tracce di crisi e di cedimenti invece che le certezze consolatorie.
E ne è uscito un panorama inedito e sconvolgente, il diagramma di oscuri presentimenti, di epifanie gioiose e di melanconie poetiche e dolenti.
Si parte, in mostra, dai grandi filoni del simbolismo franco-belga che traeva ispirazione dalle novelle di Poe, dalla poesia di Baudelaire, dagli scampoli reconditi del tardo romanticismo “nero” ripescati negli anfratti della memoria e dei sogni. Quindi ecco la fonte di molte tra queste fantasie-premonizioni: Gustave Moreau ci presta due figure centrali in un tale percorso: Edipo e la sfinge; e Salomè danzante. Due archetipi dell’immaginario classico e di quello giudeo-cristiano. Enigma e seduzione; tentazione e salvezza; angeli e demoni; Lucifero e Cristo.
C’è una chiave che è parso valesse la pena di privilegiare per fornire letture inconsuete e per garantire il filo di Arianna dentro a un territorio di struttura labirintica e di grande eterogeneità, pur all’interno di filoni compattamente affiancati.
Questa chiave è data dal carattere visionario che contraddistingue artisti e opere. Non vi è, infatti, preoccupazione naturalistica, bisogno di realismo, sete di aneddoti. La realtà è occasione e pretesto per accostamenti arditi, per divagazioni della fantasia, per esplosioni dell’immaginario, per dar vita a linguaggi esotici e ospitare saperi esoterici in un panorama di enigmi e di sferzanti ironie.
Le “scoperte” presenti in mostra garantiscono la sorpresa e lo stupore più che l’agnizione e la consolante conferma. Divisa in sei capitoli, l’andamento dell’esposizione mette di fronte alle atmosfere cupe e luciferine con Stuck e Odilon Redon quindi ai due capi del linguaggio classico e di quello scabro dell’inconscio e della dannazione. Ma presenta in serie quasi rapsodiche le delizie e gli enigmi di Klinger.
Le possibilità dell’illuminazione estatica o turbinosa fanno irruzione con Diefenbach: dalle sfingi alle grotte di Capri, dalle apparizioni ai faraglioni si susseguono le sue ossessioni di divino e il suo desiderio di purezza che lo fa vivere come un anacoreta straccione e umbratile nel cuore più trasgressivo dell’Europa fin de siècle.
Un altro sipario si alza con il modernismo secessionista di alcuni artisti croati di grande nerbo: Mirko Rački, per esempio, trascorre dall’Acheronte ai turbini di Paolo e Francesca in letture nere dell’universo dantesco o spalancando l’inferno di pulsioni inconfessabili (come fa sistematicamente e genialmente anche il belga Félicien Rops nei recessi più impenetrabili dell’abiezione e della perdizione).