Grandi mostre. 1 
Matisse a Roma

sono fatto
di tutto ciò che ho visto

Quando la contaminazione di culture e linguaggi trova spazio in un artista curioso di sperimentare come Matisse il risultato non può che suscitare un fascino irresistibile.
È quello che emerge nel percorso espositivo ospitato alle Scuderie del Quirinale dove gli influssi extraeuropei – da quelli africani a quelli orientali – venano di esotismo la ricerca estetica di uno dei protagonisti dell’arte del XX secolo.

Zelda De Lillo

Già dalla seconda metà del XIX secolo, nell’ambiente parigino, il mito dell’esotismo, tra sogno e realtà, aveva ispirato un’intensa produzione artistica e letteraria. Un immaginario complesso, in cui il concetto stesso d’Oriente travalicava i confini geografici dell’Asia per abbracciare un più vasto territorio culturale. Un fenomeno che aveva favorito non soltanto la curiosità del grande pubblico - estasiato dinanzi alle fantasmagoriche installazioni d’arte orientale alle grandi esposizioni universali - ma anche una vera e propria “invasione” di opere orientali nei più importanti musei d’Europa. 

È in questo clima che Matisse inizia ad avvicinarsi ai linguaggi artistici di terre lontane ed esotiche. 

Già ai tempi in cui era ancora studente di Gustave Moreau, Matisse alternava alle visite al Louvre, per studiare l’arte dei “primitivi” e dei maestri del Rinascimento, le assidue frequentazioni del museo etnografico del vecchio Trocadéro e del Musée des Arts Décoratifs. All’apprendimento dei modi e delle tecniche dell’arte classica, si unisce l’intuizione di nuovi orizzonti. Continuare nel segno della tradizione in un’epoca di rivoluzioni formali e sintattiche diventa, infatti, per Matisse un esercizio sterile e poco stimolante.


Pervinche - Giardino marocchino (1912), New York, MoMA - Museum of Modern Art.

Matisse prendeva le distanze dalle sperimentazioni decostruttive del cubismo, ricercando nell’arte africana gli elementi di una nuova grammatica della linea


Con l’esperienza fauve, poi, Matisse conferma quello slancio ideale verso la ricerca di una modernità linguistica, opponendo ai concetti di spazialità, prospettiva e mimesi dell’arte occidentale l’idea di una superficie pura, fatta di campiture piatte, in cui colore e linea diventano elementi principali sia del valore costruttivo dell’opera che di quello espressivo. 

Spirava il vento rigenerante delle avanguardie, un richiamo collettivo a cercare oltre, e con gli amici cubisti Matisse sentiva di condividere la magia di un’epoca irripetibile, fatta di continue scoperte e nuove conquiste: «Non sentivamo l’esigenza di proteggerci dalle influenze straniere, perché queste non potevano che arricchirci e renderci più esigenti in rapporto ai nostri individuali mezzi d’espressione».

Tuttavia, il pensiero intellettuale di Matisse prendeva le distanze dalle sperimentazioni decostruttive del cubismo, ricercando, per esempio, nell’arte africana, non tanto l’indizio per una nuova visione fondata sulla scomposizione delle forme, quanto gli elementi di una nuova grammatica della linea. 

La visita all’esposizione d’arte maomettana a Monaco di Baviera nel 1910 - più di ottanta sale di tappeti, ricami, tessuti e oggetti - rappresenta un momento decisivo per Matisse, in cui si rafforza il suo interesse per la decorazione e l’ornamento, rivelando la possibilità di concepire nuove strutture compositive. Gli arabeschi della tradizione islamica si offrono così, agli occhi di Matisse, come esempi di un equilibrio perfetto: sintesi tra astrazione e sentimento decorativo, pur conservando della “natura” stessa quel sentimento d’incanto e meraviglia. 

Sono anni di esperienze intense: i viaggi di Matisse in Nord Africa, tra Algeria e Marocco, si moltiplicano; terre affascinanti, che lo conquistano sia per i colori vivi del paesaggio naturale infuocato dalla luce, sia per la preziosità dei decori di oggetti e tessuti.


Mademoiselle Yvonne Landsberg (1914), Filadelfia, Philadelphia Museum of Art.

Nudo in poltrona, pianta verde (1937), Nizza, Musée Matisse.


Paravento moresco (1921), Filadelfia, Philadelphia Museum of Art.


Pesci rossi (1911), Mosca, Museo Puškin.

Nel 1911 è poi la volta della Russia: Matisse scopre da vicino il magnetismo della pittura delle icone, un esempio d’arte simbolica nei cui codici figurativi il processo di semplificazione di spazio e forme prefigura l’astrazione. L’occasione era stata l’allestimento dei pannelli della Danza e della Musica in casa del collezionista Šcukin a Mosca. Opere in cui l’originalità della concezione decorativa di Matisse si perfeziona, dando vita a superfici piane che, paradossalmente, evocano dimensioni spaziali amplificate. 

Questo fitto intreccio di suggestioni e influssi è analizzato puntualmente dal percorso espositivo della mostra romana in corso. Matisse Arabesque (Roma, Scuderie del Quirinale, fino al 21 giugno) intende mostrare come l’Oriente e il sentimento decorativo siano all’origine di quel mondo unico e prezioso che caratterizza le opere di Matisse, in cui le esperienze visive, filtrate e decantate attraverso uno sguardo analitico e penetrante, conducono l’artista a cristallizzare i fondamenti di quello che diverrà uno stile inconfondibile, distante tanto dal vagheggiamento letterario della pittura simbolista quanto dal puro piacere estetico della partitura esornativa dell’arte orientale. 

«Il mio lavoro consiste nell’imbevermi delle cose. E poi è quello a tornar fuori […] Sono fatto di tutto ciò che ho visto», afferma Matisse ripensando al suo percorso artistico. 

Lo splendore del mondo matissiano rivive quindi, protagonista dell’esposizione romana. Occasione di una nuova riflessione sull’originalità dell’artista francese, attraverso un’ampia selezione di opere provenienti da prestigiosi musei e collezioni. Tra i capolavori: il ritratto di Yvonne Landsberg (Philadelphia Museum of Art), Zohra sulla terrazza (Mosca, Museo Puškin), il Marocchino in verde (San Pietroburgo, Ermitage), Pervinche - Giardino marocchino (New York, MoMA), Odalisca blu (Parigi, Musée de l’Orangerie), Paravento moresco (Philadelphia Museum of Art), fino ai bellissimi Pesci rossi (Mosca, Museo Puškin) che concludono l’itinerario della mostra. 

Oltre a tele e disegni, saranno esposti anche molti dei costumi che Matisse creò per il balletto Le Chant du rossignol, in cui la passione per i tessuti e le superfici decorate s’intreccia con i motivi profondi della sua indagine pittorica in una fusione armonica di colori, musica e danza. Il leitmotiv del progetto ruota attorno all’importanza che gli influssi delle culture extraeuropee, da quella africana alle diverse orientali del Mediterraneo e dell’Asia, hanno avuto come fondamentali punti di partenza per un’originale ricerca estetica, mirata a scardinare le convenzioni dell’arte occidentale e a ritrovare la purezza e l’incanto di una sensibilità primitiva attraverso una visione di grande modernità. La pluralità delle ispirazioni e dei richiami alle differenti culture è suggerita dalle atmosfere ricreate nelle singole sale, in cui, oltre alle opere di Matisse, è possibile ammirare splendidi oggetti, tra ceramiche, tessuti, maschere e altri manufatti, che testimoniano il fascino di espressioni artistiche e tradizioni millenarie.


Fruttiera ed edera in fiore (1941), Torino, Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli.

Matisse Arabesque

a cura di Ester Coen
Roma, Scuderie del Quirinale
via XXIV Maggio 16
telefono 06-39967500
orario 10-20, venerdì e sabato 10-22.30
fino al 21 giugno
catalogo Skira
www.scuderiequirinale.it

ART E DOSSIER N. 320
ART E DOSSIER N. 320
APRILE 2015
In questo numero: LE FACCE DEL BRONZO Originali, falsi e repliche: bronzi e bronzetti dai greci a Giambologna, a Pomodoro. IN MOSTRA: Bronzi ellenistici, Durand-Ruel, Il demone della modernità, Matisse.Direttore: Philippe Daverio