gli anni
parigini

Il 26 giugno 1889 Medardo lasciò Milano per partecipare all’Esposizione universale di Parigi con cinque suoi bronzi, presumibilmente il Birichino (o Gavroche), opera con la quale vinse la medaglia d’onore, Aetas aurea (o Maternità), Carne altrui, “El locch”, Portinaia.

La critica francese lodò il naturalismo delle sue opere, mentre il corrispondente da Parigi del “Corriere della Sera” definì lo scultore come un «geniale impressionista».

Attraverso Cameroni, Rosso conosce Emile Zola, padre della corrente naturalista francese, che gli acquista la Portinaia. Rosso incontrò numerosi italiani residenti a Parigi, tra cui lo scrittore Gualdo, il conte Armand Doria, che sarà uno dei suoi primi mecenati, l’industriale e collezionista Cernuschi. Nella cerchia dei letterati francesi, Rosso frequentò i fratelli De Goncourt, romanzieri e storici autorevoli, e soprattutto Paul Alexis, amico degli artisti e critico d’arte. Invitato a casa di quest’ultimo, Rosso conobbe la moglie e la figlia infante: questo incontro lo indusse a concepire Bambino al seno: il motivo impressionistico in questa scultura è rimarcato dal modellato mosso e dal largo gesto; permane il problema, postosi durante il periodo milanese, della traduzione dell’immagine visiva in presenza fisica, attraverso la continuità visiva tra il soggetto e la sua atmosfera. In un secondo momento (probabilmente prima del 1895), attraverso anche lo studio da fotografie, Rosso eliminò la testa della madre, e la scultura venne rinominata Bambino tra le braccia della madre.


Bambino al seno (1889), gesso patinato; Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.


Bambino al seno (1910-1914) [1889], bronzo; Barzio (Lecco), Museo Medardo Rosso.

Stabilitosi all’hotel Enghien, nel quartiere “bohémien” di Montmartre, durante il primo periodo della sua permanenza parigina, Rosso condusse un’esistenza precaria, con scarsi mezzi a disposizione e alla ricerca di una galleria. Espose in boulevard des Malherbes presso la Galerie George Thomas, mercante di Van Gogh, che mostrò in vetrina un Birichino (o Gavroche): l’opera venne notata dall’industriale Henri Rouart, collezionista di opere impressioniste e amico di numerosi artisti e letterati tra i quali Edgar Degas. Questo episodio segnò l’inizio di un’amicizia tra i due, ma soprattutto di un fruttuoso rapporto lavorativo grazie al quale Rosso vendette diverse sue opere e poté lavorare in uno studio fornitogli da Rouart. È in Degas che Rosso vede il suo referente più importante, soprattutto nella rottura della divisione tra figura e spazio, che elimina il problema della prospettiva in pittura e del tutto tondo in scultura. È necessario però puntualizzare come l’idea di Rosso “puro impressionista” sia assai deviante, in quanto per Rosso il termine “impressione” si avvale degli apporti del naturalismo da lui sviluppato in epoca milanese, e che implica una forte caratterizzazione umana e sentimentale. Quello di Medardo è un ricco substrato che vede anche la presenza delle idee della contemporanea corrente del simbolismo, la corrente dei Nabis, costituita, tra gli altri, dai pittori Vuillard, Roussel, Bonnard. Tanto Rosso quanto i simbolisti ricercano l’unione tra l’importanza della percezione di derivazione impressionista e il carico dell’emozione, il valore dello stato d’animo, così come l’unione tra scienze naturali e metafisica, come ebbe a dire Charles Morice. Vi è quindi un rifiuto della pura visione propria dell’impressionismo e si ricerca l’immediatezza della visione primitiva, come quella dello sguardo curioso del bambino: si sviluppa l’idea di un’arte contro la tradizione, una pittura semplice, in cui si celebra il contatto con la natura, il cui effetto luminoso viene reso grazie alla stesura di un colore piatto (“à plat”). Elementi rintracciabili in Gauguin, padre putativo del movimento, che espose proprio a partire dal 1889 opere significative come Il Cristo giallo e Il Calvario.


Paul Gauguin, Il Cristo giallo (1888-1889); Buffalo, Albright-Knox Art Gallery. Il Cristo giallo è una delle opere chiave della corrente simbolista che, insieme ad altri movimenti contemporanei, influenza l’arte di Rosso.


Henri Rouart (1913) [1890], cera nera su gesso; Milano, GAM - Galleria d’arte moderna.


Bambina che ride (dopo il 1928) [1890], cera su gesso; Milano, GAM - Galleria d’arte moderna. «Ho finito quasi il ritratto di una ragazzina per l’economo dell’ospedale», scrive Rosso a Cameroni nel 1889. Parte della donazione alla Galleria d’arte moderna di Milano, promossa da Baroni nel 1953, questa versione di Bambina che ride è una fusione postuma realizzata dal figlio Francesco Rosso.

Nell’ottobre dello stesso anno, Medardo viene ricoverato all’ospedale Lariboisière dove riesce comunque a lavorare ed eseguire Malato all’ospedale. Il soggetto - un vecchio in camice d’ospedale, su una poltrona, a capo chino - è un’immagine di forte impatto emotivo, per il senso di abbandono evocato dal capo reclinato e le braccia lasciate cadere sulla poltrona, formalmente rafforzato dal cuneo dello schienale, formando una diagonale che spezza l’unità materiale dell’opera.

Allo stesso periodo risale anche Bambina che ride, che presenta dal punto di vista formale una grande distanza dal Malato; questo lavoro può essere considerato come capostipite di quel filone (che segue con la serie delle Petites rieuses, le “Piccole ridenti”) di opere che segnano un parziale allontanamento dall’impressionismo di Rosso, alla ricerca di uno stile indirizzato ai più. Viene abbandonata la fattura mossa delle altre sculture per tornare, in un certo senso, a una scultura più vicina alle fonti italiane: Bambina che ride ricorda infatti formalmente certe opere del primo Rinascimento italiano come il Putto ridente di Desiderio da Settignano (opera peraltro inizialmente attribuita a Donatello), e vi si avverte una forte influenza del realismo di matrice lombarda, anticipatore dell’indagine psicologica che sarà al centro delle serie delle Rieuses.

Uscito dall’ospedale, Medardo si rimise a lavorare continuando a intrattenere direttamente rapporti con gallerie e collezionisti, che acquistarono diverse opere e ne commissionarono altre: vendette a Goupil diversi bronzi, alla Galerie Petit il Malato, e il pittore Munkácsy acquistò una copia del “Locch”. Ma la commissione più importante venne da Rouart, che ordinò a Rosso il proprio ritratto, terminato nel gennaio del 1890. Inizialmente il lavoro non piacque perché poco “impressionista”. L’opera, nonostante la forte caratterizzazione che la rende più un ritratto “costruito” che il frutto di un’impressione visiva, segna un passo importante nella sua ricerca verso una scultura che dialoghi non solo con l’impressionismo, ma anche con i grandi artisti del passato.


Rieuse (1902) [1890], cera su gesso; Venezia, Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna.

La successiva serie, quella delle Rieuses, si deve alla conoscenza della cantante- attrice di teatro e di caffè concerto Bianca di Toledo, nome d’arte di Bianca Garavaglia, sicuramente incontrata in uno dei locali che Rosso, vivendo a Montmartre, frequentava. Il termine “rieuse” veniva usato nel teatro francese per indicare una donna dal riso facile, utilizzata in sala per riscaldare il pubblico prima di uno spettacolo oppure per interpretare ruoli comici; il riso è una delle espressioni preferite da Rosso, a partire dal Birichino (o Gavroche) fino alla Bambina che ride, simbolo della gioia che lo scultore stesso, secondo le testimonianze degli amici, era tanto solito evocare.

Risale al 1890-1891 la realizzazione di una serie di teste femminili, motivo che ha ripetutamente interessato Rosso, che ebbero a modello la stessa Bianca, la Petite e la Grande rieuse. Della prima eseguirà varie repliche per oltre vent’anni, tanto che è possibile suddividere la serie in tre parti: le prime due con il capo a tutto tondo - di queste la seconda conserva alla base del collo l’impianto per la formatura -, e la terza senza collo. La fattura delicata richiama il naturalismo degli anni milanesi per il suo intento di catturare una verità psicologica particolarmente articolata. La serie Grande rieuse differisce molto formalmente. Iniziata a partire dal 1891 (con repliche fino al 1900), ripropone un’opera dal modellato marcatamente impressionista, che evoca la grande immediatezza e sensualità del soggetto. A partire dal 1891-1892 Rosso eseguì una serie di ritratti di bambini: Bambino al sole, Bambino ebreo, Bambino malato, Bambino alle cucine economiche (o Bambino presso l’asilo del Boccone di pane). La luce torna come elemento cardine in queste opere: Bambino al sole (1891-1892) ha una luminosità segnata da morbidi passaggi chiaroscurali, mentre Bambino ebreo (1893) rappresenta un ritratto, data la sua particolarizzazione fisionomica. Al limite dell’evanescenza, Bambino malato (1895) ricorda quasi un esempio di arte egizia o etrusca per la linearità e l’allungamento del volto; la superficie liscia e quasi diafana suggerisce la fragilità del fanciullo.


Bambino al sole (1908) [1891-1892], cera su gesso; Otterlo, Kröller-Müller Museum.

Bambino ebreo (1895-1902) [1893], cera su gesso; Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. Di questo soggetto si conoscono più versioni, diciotto eseguite fra il 1893 e il 1925. Donato da Etha Fles alla galleria romana nel 1913 insieme a un gruppo di altre opere, Bambino ebreo è un ritratto di un fanciullo dall’identità ancora incerta. L’opera assume un carattere universale, cosi come avviene in Bambino alle cucine economiche (o Bambino presso l’asilo del Boccone di pane) e Bambino al sole.


Bambino malato (1895-1897) [1895], cera su gesso; Dresda, Staatliche Kunstsammlungen Dresden.


Bambino malato (1903-1904) [1895], bronzo; Milano, GAM - Galleria d’arte moderna.

Medardo Rosso allargò presto l’ambito delle proprie conoscenze a Montmartre: incontrò critici, scrittori e giornalisti che gravitavano intorno all’ambiente di avanguardia artistica dell’epoca, come André Ibels, Jehan Rictus, Camille de Sainte- Croix e Georges Maurevert, che fin da subito divennero suoi grandi amici, e saranno proprio loro più avanti a prendere le difese dello scultore nel celebre dibattito sull’“impressionismo in scultura”. In rue Saint-Lazare venivano organizzati pomeriggi alla Bodinière, nome dato dalla cantante Yvette Guilbert al Théâtre d’Application, teatro d’arte sperimentale che Charles Bodinier aveva fondato nel 1887. La Bodinière costituiva il ritrovo per i pittori della corrente dei Nabis (tra cui Pierre Bonnard, Edouard Vuillard e Henri-Gabriel Ibels, fratello di André), per i quali Charles Morice teneva regolari conferenze: fu probabilmente Ibels a invitare Rosso all’esposizione che vi si tenne nel dicembre 1893. Rosso partecipò con diverse opere, tra cui Portinaia, Birichino (o Gavroche), Bambino malato, Aetas aurea (o Maternità), “El locch”. Fu in questa occasione che ebbe modo di conoscere il già celebre scultore Auguste Rodin: nacque subito una grande simpatia tra i due, tanto che arrivarono presto a scambiarsi le proprie sculture, con Rodin che diede a Rosso il suo Torso, mentre Rosso regalò una delle sue Petite rieuse. Un mese dopo, nel gennaio 1894, Rosso ricevette un invito a pranzo da parte di Rodin, dichiarandosi addirittura «folle de admiration» per lui. Tale espressione non doveva essere usuale per Rodin che rimase particolarmente colpito dal lavoro di Rosso, nonostante la produzione dello scultore francese costituisse di fatto l’antitesi di ciò che Rosso tentava di ottenere.

Come Rosso ebbe a ripetere in molte occasioni, Rodin era per lui il «campione della classicità» in scultura: il ricorso all’enfasi e alla solidità monumentale, l’utilizzo dei modelli rinascimentali, del nudo anatomico, di tecniche di modellazione “classiche” e una concezione di ritratto inteso come ricostruzione della realtà, non potevano che essere le idee più distanti, come abbiamo visto, da quelle di Rosso. Stimolato dal fertile humus artistico parigino, si spinse ancora oltre nella sua concezione di scultura, indagando su problemi del tutto nuovi quali la questione della prospettiva, della rappresentazione dell’immagine intera attraverso insoliti punti di vista, della forma del soggetto in relazione a un fondo aperto: le sculture che seguirono possono considerarsi come l’avvio della sua maturità.

Il Bookmaker e l’Uomo che legge furono le prime opere dove vennero applicati questi nuovi principi: le figure sono poste come se viste dall’alto, da sinistra verso destra, creando scorci drastici che contribuiscono alla riduzione della profondità e della definizione dell’immagine; la materia assume un ruolo di primo piano, attraverso il radicamento della figura nella sua base. Nel Bookmaker (1894) per esempio, l’unica massa frastagliata che costituisce il suolo e la base della figura, assieme al taglio diagonale di quest’ultima, conferisce all’opera un senso di instabilità. Uomo che legge, dello stesso anno, presenta una prospettiva ancora più ardita, e un punto di vista più alto, che potrebbe essere quello della visione dalla finestra di un uomo che legge il giornale. Il modellato veloce, approssimato, quasi confonde l’occhio, unisce luci e ombre tra la figura e il suo ambiente; se vista con un’illuminazione appropriata, la figura sembra staccarsi dal suolo dov’è ancorata. Rosso, come poi avrebbe fatto Brancusi, utilizzava in molti casi la fotografia per evidenziare l’esatto punto di vista e la giusta angolazione della luce che avrebbe permesso la corretta visione dell’opera.


Bambino alle cucine economiche (o Bambino presso l’asilo del Boccone di pane) (1897), cera su gesso; Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. Come afferma Paola Mola in un importante catalogo ragionato sulla scultura di Rosso: «Un bambino avvolto in uno scialle nelle braccia della madre, tra i tavoli di una mensa per poveri, la gente che si muove e ciarla, i vapori di minestra, il rumore dei piatti: tutto questo fa parte del titolo». Rosso, appassionato di fotografia, volle immortalare con uno scatto la propria opera accanto alle Bagnanti di Cézanne, in occasione del Salon d’Automne nel 1904.

Bookmaker (1914-1923) [1894], cera su gesso; Rovereto (Trento), MART - Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.


Bookmaker (1914-1923) [1894], cera su gesso; Barzio (Lecco), Museo Medardo Rosso.


Bookmaker (1902-1903) [1894], bronzo; Milano, GAM - Galleria d’arte moderna.

A partire da Bambino malato e fino alla Conversazione (1899) si sviluppa in Rosso un nuovo interesse per la “tranche de vie moderne”: ne sono esempi il Bookmaker e l’Uomo che legge, e successivi ritratti femminili, tipiche figure di donne della Parigi di quegli anni. Tematicamente vicine alle opere contemporanee di Toulouse-Lautrec, di Degas e dei Nabis, sono le opere Donna con la veletta e Yvette Guilbert, che si pongono a cavallo tra le Rieuses e Madame X per l’unione della caratterizzazione psicologica tipica delle prime con la sintesi figurativa propria dell’ultima.

Lo stesso Rosso definì Donna con la veletta (1895) come l’immagine di un’impressione colta “en plein air” (il titolo completo è difatti Impressione di boulevard: donna con la veletta), «monumento ad un istante»(11). L’osmosi tra figura e ambiente è resa attraverso la raffigurazione dello sfondo, la prima dal viso non anatomicamente rappresentato, il secondo mosso e frastagliato. L’opera viene accomunata al successivo ritratto di Yvette Guilbert, cantante di cabaret molto conosciuta a Parigi: cantava le canzoni del vecchio repertorio francese in molti locali, tra cui le Folies Bergère, il Moulin Rouge e la Bodinière, dove Rosso, come si è detto, aveva esposto un paio di anni prima; Yvette è anche uno dei soggetti preferiti di Toulouse-Lautrec. Le interpretazioni della Guilbert, dal forte tono psicologico, vengono tradotte nell’opera grazie all’espressività del volto, capace a un tempo di rendere una presenza fortemente fisica e psichica: come scrisse Camille de Sainte-Croix «inclinata di tre quarti, il collo teso, rigido, rappresentata nella sua mossa teatrale, davanti al suo pubblico, ma come separata da esso, isolantesi, ripiegantesi. Contenta in se stessa di quello che canta per se stessa, preziosa, leziosa e violenta, puntigliosa e melensa, pepata, insolente, squisita di affettazione spirituale»(12). L’essenzialità plastica di questa scultura anticipa quelli che saranno gli esiti della sua scultura successiva, Madame X.


Uomo che legge (1926) [1894], cera su gesso; Milano, GAM - Galleria d’arte moderna.

Madame X, del 1896, è indubbiamente il lavoro più astratto di Rosso: il volto presenta delle linee dalla purezza d’immagine universale, una forte capacità di sintesi che la porrebbe vicina ai contemporanei esiti simbolisti. Secondo la testimonianza di Scolari, l’opera sarebbe rimasta a lungo in uno stato di bozza, e fu Etha Fles a convincere Rosso a ultimarla alla «luce del XX secolo», riallacciandosi formalmente all’espressionismo tedesco e a Modigliani di cui lei era una fervente ammiratrice. Data la sua proiezione verso una modernità inedita in Rosso, Madame X costituisce l’anticipo dei futuri sviluppi della sua scultura.

È invece ben riconoscibile il soggetto nel Ritratto di Madame Noblet (1897), moglie del suo medico e collezionista Louis Noblet. Quest’opera presenta una libertà inedita, per la scioltezza del modellato e una capacità di sintesi dei tratti fisiognomici del tutto sorprendente. La massa della materia è modellata a lunghi colpi di spatola, ma la caratterizzazione del volto è ridotta a piccoli piani: la purezza e l’essenzialità della parte anteriore contrasta fortemente con la matericità di quella posteriore.


La conversazione (1899), gesso; Barzio (Lecco), Museo Medardo Rosso.

Donna con la veletta (1901-1923) [1895], cera su gesso; Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen.


Madame X (1896), cera su gesso; Venezia, Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna.


Yvette Guilbert (1895), gesso; Venezia, Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna.

Nel giardino della loro villa a Jessains-sur-Aube, i Noblet avevano installato la scultura Impressione di boulevard, la sera (o Parigi di notte, 1896- 1897), distrutta durante la prima guerra mondiale e di cui abbiamo conoscenza attraverso una fotografia. L’opera era un gruppo in gesso a grandezza naturale, la rappresentazione dell’apparizione fugace di una “tranche de vie moderne en plein air”, dove l’effetto di movimento viene accentuato dal modellato rapido, e dalle diverse inclinazioni dei personaggi. L’opera viene scelta dal critico d’arte Edmond Claris per la copertina di L’Impressionnisme en sculpture, da lui pubblicato nel 1901 e ampliato l’anno successivo con gli interventi di diverse personalità del mondo dell’arte, tra cui Monet, Pissarro, Geffroy, De Sainte-Croix, Rouart. Questo testo rappresenta l’apice di un percorso che prende inizio nel 1898, con la presentazione della scultura del Balzac da parte di Rodin, evento che segna l’avvio del dibattito sulla scultura cosiddetta “impressionista”, un’idea di scultura che Rosso già andava analizzando da quindici anni, e che Rodin con il Balzac intendeva porre come carattere precipuo della sua “nuova” scultura.

Il 30 aprile 1898, dopo lunghi anni di attesa, il Balzac di Rodin viene finalmente esposto nella sede della Société Nationale des Beaux-Arts di Parigi. Secondo molti, è evidente il debito che il Balzac nutre nei confronti della scultura di Rosso: la sua amica e compagna di vita Etha Fles sostiene che Rodin doveva aver guardato al Malato all’ospedale, per il tono emotivo che la scultura di Rodin evoca, il suo modellato rapido, l’attaccamento della figura al suolo e la veste del Balzac che, come quella del vecchio, ricorda un camice; per Scolari invece, Rodin deve aver guardato piuttosto alla Conversazione, e soprattutto al Bookmaker e all’Uomo che legge, per il forte attaccamento al suolo della figura, che emerge diagonalmente, come un tronco d’albero, e quindi in modo estremamente dinamico. Questo episodio segna l’incrinarsi dei rapporti tra Rosso e Rodin e il progressivo eclissamento di Rosso operato dalla critica a favore dell’artista francese.

Madame Noblet (1897), gesso; Roma, GNAM - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.


Madame Noblet (1897), bronzo; Milano, GAM - Galleria d’arte moderna.

La grande distanza tra Rodin e Rosso emerge chiaramente dalla differenza del loro metodo di lavoro. Il primo vicino all’accezione rinascimentale di bottega, nell’utilizzo di modelli in posa, della collaborazione di diversi aiutanti, nel suo ricorso a parti anatomiche prese da diversi modelli e poi assemblate, nell’ausilio dei panni in gesso per ottenere l’effetto delle pieghe. In Rosso invece si intravede un metodo di lavoro del tutto opposto: con l’ausilio di un aiutante al massimo, quando scolpiva lasciava libero il modello di vagare per lo studio al fine di coglierne l’“élan vital”, il momento veramente vitale. Permane in Rosso un’idea ancora del tutto artigianale di lavoro, tradotta nella volontà di eseguire lui stesso il processo di fusione dell’opera, processo a cui invitava ad assistere i suoi amici, costituendo in tal modo una sorta di performance anche per il carattere teatrale che il “vigoroso” Rosso spesso v’imprimeva. Un’idea di scultura in grado di rappresentare quell’unico attimo di vita transitorio che ha colpito l’animo dell’artista, e di riportarne l’emozione per intero; dove tutto ciò che vediamo, le figure, l’atmosfera, è un unico insieme, dominato da una sola tonalità, e di cui percepiamo un effetto alla volta («niente è materiale nello spazio [...] noi siamo degli scherzi di luce»). Si tratta insomma di una scultura nella quale, per la prima volta nella storia di quest’arte, a essere rappresentata non è l’immagine quale pura e semplice trasposizione di un particolare oggetto, quanto piuttosto la rappresentazione di una percezione, e del suo impatto sulla coscienza dell’artista.

Nel 1900 Rosso partecipa, tramite il mercante d’arte Alberto Grubicy, all’Esposizione universale di Parigi dove espone cinque sue opere (Madame X, Rieuse, Bambino malato, Bambino al sole-Impressione di bambino, Impressione di boulevard: donna con la veletta) accanto a quelle di Segantini. 


Grande rieuse. Testa (1903-1904), cera su gesso; Milano, GAM - Galleria d’arte moderna. è un’opera unica nel suo genere che richiama la Grand Rieuse del 1890.

Il fratello di Alberto Grubicy, Vittore, vissuto in Olanda negli anni Novanta, fu probabilmente motivo dell’incontro tra Rosso ed Etha Fles che faceva parte della commissione olandese dell’esposizione. Questo incontro sarà determinante per Rosso tanto dal punto di vista personale quanto da quello professionale, e sarà l’inizio di un legame profondo e duraturo. La Fles gli offrirà per diversi anni un sostegno finanziario, creativo ma soprattutto critico, ed è a lei che si devono molte acquisizioni delle opere di Rosso da parte di musei italiani (Roma, Torino e Venezia) e la pubblicazione di svariati cataloghi a lui dedicati. Fles, attratta dall’idealismo di Rosso, vedeva in lui «l’incarnazione dell’uomo naturale non contaminato dalla società, capace di riversare nella propria arte quanto vi era di più puro e trascendentale nello spirito umano»(13). Nel 1901 si tenne ad Amsterdam l’Esposizione di dipinti di scuola francese e sculture di Medardo Rosso, organizzata dalla stessa Fles sotto l’egida della Società degli amici dell’arte: la mostra, che comprendeva opere di importanti pittori impressionisti (tra cui Sisley, Pissarro, Monet, Renoir) e cinque opere di Rosso, si tenne in seguito anche a Utrecht, L’Aja e Rotterdam.
Gli anni seguenti videro Rosso esporre in Germania, Austria, Francia e Inghilterra: nel 1902 si tennero due esposizioni in Germania, prima al Reiner Kunstsalon di Berlino, e poi al Museo di arti decorative di Lipsia; nello stesso anno l’Albertinum Museum di Dresda gli acquistò La conversazione. Il 1903 fu l’anno dell’importante mostra organizzata a Vienna dalla Secessione viennese, il cui tema era l’impressionismo in pittura e scultura: l’esposizione presentò opere di Rodin, Sisley, Monet, Degas, Bourdelle. Rosso partecipò con una cera e tre bronzi. Quando tornò a Parigi nell’estate dello stesso anno, coinvolto dal cenacolo degli artisti e intellettuali di Montmartre, partecipò all’organizzazione del Salon d’Automne, esposizione che si sarebbe svolta l’anno successivo come manifestazione contestataria all’imperante dominio della Société de Beaux-Arts, incaricata dell’organizzazione dei Salon ufficiali. Tale esposizione fu la più importante della sua carriera fino a quel momento. La vera novità risiedeva nell’allestimento: alcune opere furono poste di fianco a copie dall’antico da lui stesso realizzate (per esempio il Malato all’ospedale e la Madonna Medici di Michelangelo). 

L’allestimento era inoltre completato da una serie di fotografie delle sculture eseguite da Rosso, stampe ritoccate, ritagliate e ingrandite come un dettaglio dell’Impressione d’omnibus; c’era poi anche una foto del Balzac di Rodin, ma tagliato sotto la vita, e ancora un altro scatto di una testa antica.

Tali soluzioni allestitive, oltre a rispondere a specifiche esigenze di “mise-enscène” che trovano origine nel particolare concetto di scultura di Rosso, avevano come fine ultimo di creare un serio confronto tra le sue opere e quelle di artisti antichi e contemporanei, dimostrando come il lavoro di certi fosse veramente radicato nei canoni dell’arte antica, che egli repelleva in quanto «le opere della seconda Grecia, sua succursale, del Rinascimento, sottosuccursale di questa (senza parlare della sotto-sottosuccursale di queste catalogata giustamente come “Impero”, completamente fermacarte del signor Antonio Canova) sono tra le epoche più chiuse nell’oggettivismo. È a queste epoche che il sig. Rodin appartiene e resterà uno dei suoi più grandi rappresentanti»(14).

Fin dai tempi della mostra a Vienna, la Kunsthaus Artaria era in trattative con Rosso per una mostra personale a lui dedicata, che si tenne nel 1905. Era risaputo che Rosso, nel mostrare i suoi lavori ai clienti, li trascinava letteralmente davanti all’opera, posizionandoli secondo la giusta angolazione e luce per visionare la scultura così come lui voleva che fosse vista. Inoltre Rosso poneva una forte enfasi su basi e vetrine (da lui chiamate «gabbie») dove collocare le opere. I piedistalli dovevano avere altezze differenti in funzione degli angoli di visione studiati dallo stesso Rosso, ma generalmente non dovevano essere troppo alti, dai 50 ai 100 cm, affinché si potesse osservare l’opera dall’alto verso il basso, seguendo il percorso dell’illuminazione, e alla giusta distanza. 


Ecce puer (1906), cera su gesso; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. L’ ultimo soggetto originale di Rosso. Immagine sfuggente di un fanciullo uscito fuori da una zona d’ombra, il volto ricoperto da un fascio di luce. Per questo ritratto, come per altri, il committente non rimase soddisfatto, lamentando la scarsa somiglianza con il modello.

Utilizzate già nel Salon d’Automne del 1904, le vetrine avevano uno scopo tanto protettivo quanto funzionale alla sua particolare concezione artistica: limitavano la visione dell’opera agli aspetti da lui ritenuti fondamentali, permettendo inoltre la distanza necessaria per l’osservazione, e riducevano il senso di profondità dell’opera in favore della sua smaterializzazione e dell’enfasi sugli aspetti propriamente visivi(15). Medesima importanza assumeva l’illuminazione, generalmente ottenuta tramite lampade a gas e luce diurna. La mostra di Vienna presentò, per la prima volta al mondo, una sperimentale illuminazione elettrica. Rosso espose diciassette sculture collocate nelle teche di vetro, due fotografie e, come pezzi comparativi, sette copie dall’antico da lui stesso eseguite (David del Verrocchio, testa del Vitellio, Pietà di Michelangelo, Figura egiziana, Figura gotica tra queste) e il Torso che Rodin gli aveva donato. L’intento comparativo è ancora una volta chiaro; la mostra riscosse un tale successo che la rivista “Kunst und Kunsthandwerk” pubblicò ben dodici sue fotografie e un fotomontaggio, manifestando un precoce e forte interesse per il meno conosciuto lavoro fotografico dello scultore.
Rosso ebbe positivi riscontri anche in Inghilterra: nel 1906 venne invitato a Londra per la mostra presso l’International Society alla New Gallery, e per una personale alla Galleria Eugene Cremetti. Le recensioni furono ottime, ponendo Rosso al livello di Rodin se non addirittura superiore: «M. Rosso ha scoperto una nuova forma di verità nell’arte, una bellezza più intima e commovente di quanto fosse mai stato tradotto in scultura sino ad allora»(16). Il successo di queste esposizioni fu probabilmente la causa dell’invito fatto a Rosso, tra la fine del 1905 e l’inizio del 1906, da parte dell’industriale inglese Emil Mond per commissionargli il ritratto del figlio Alfred. Per giorni lo scultore si sforzò di fare un ritratto del bambino che lo soddisfacesse, senza successo. Etha Fles ci riporta le parole di Medardo: «Io dovevo fare il ritratto di un bambino. Esso venne in camera mia; un pensiero mi disse: voilà la vision de pureté dans un monde banal, e non potevo far altro che dare l’idea della purezza. I genitori dissero poi che non era somigliante!»(17).

Ecce puer: questa è la sua ultima opera originale, dopodiché Rosso si dedicherà unicamente alla produzione di diverse varianti delle sue sculture e alla ripresa e manipolazione fotografica, iniziando un vero e proprio trattamento critico del suo lavoro. L’opera costituisce indubbiamente uno dei punti di arrivo nella formazione culturale complessa di Rosso: naturalista, impressionista, simbolista. Ma l’utilizzo del tutto inedito di questi caratteri è teso a creare una scultura capace di trascenderli, ponendola a base di quella rivoluzione artistica che vedrà i natali nel XX secolo: l’opera di Rosso infatti «costituisce un cominciamento e non una continuazione. Rosso è il primo che rompe e interrompe quella tradizione millenaria che va dagli statuari egizi fino ai veristi dell’Ottocento: il primo che fa della scultura un’arte che a qualcuno non sembra più scultura perché travarca quelli che sembrano i caratteri naturali e immutabili della scultura»(18).


Ecce puer (1914-1917) [1906], cera su gesso.

(11) Da un articolo di T. Beaugeard dal titolo M. M. Rodin and Medardo Rosso Interview, apparso sul “The Daily News” il 23 febbraio 1906, in Medardo Rosso. Catalogo ragionato della scultura, a cura di P. Mola e F. Vittucci, Milano 2009, p. 164.

(12) C. de Sainte-Croix nella Cronaca del “Mercure de France”, 1906, in M. Borghi, op. cit., p. 30.

(13) M. Scolari Barr, op. cit., p. 55: «The incarnation of the natural man unspoiled by society, who could pour into his art all that was purest and most trascendental in the human spirit».

(14) Lettera al direttore del “Veneto”, in G. Lista, op. cit., p. 405.

(15) N. Schallenberg, Mise-en-scène as Sculptural Method, in Brancusi, Rosso, Man Ray - Framing Sculpture, catalogo della mostra (Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen, 8 febbraio - 25 maggio 2014), Rotterdam 2014, p. 25.

(16) Lady Colin Campbell da “The World”, 27 febbraio 1906, in Medardo Rosso. Impressions, catalogo della mostra (Londra, Eugene Cremetti Gallery, 1906), Londra 1906: «M. Rosso has discovered a new form of truth in art, a beauty more intimate and emotional that has even be translated in sculpture before».

(17) E. Fles, Medardo Rosso. Der Mensch und der Künstler, Friburgo 1922, p. 36, passo riportato in M. Fagioli, Medardo Rosso. Catalogo delle sculture, a cura di M. Fagioli e L. Minunno, Firenze 1993, p. 118.

(18) G. Papini, Medardo Rosso (1940), Milano 1945, introduzione.

MEDARDO ROSSO
MEDARDO ROSSO
Francesco Stocchi
Un dossier dedicato a Medardo Rosso (Torino, 1858 - Milano, 1928). In sommario: La gioventù e gli anni milanesi; Gli anni parigini; Gli ultimi anni: le repliche, la fotografia e la fortuna critica. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.CartaceoeBook