Camera con vista


IL posto
dI norman

di Luca Antoccia

In pochi casi cinema pittura e fotografia si scambiano di ruolo come avviene nell’opera di Norman Rockwell (1894-1978), di cui si è da poco chiusa un’importante antologica alla Fondazione Roma Museo - palazzo Sciarra. Basterebbe vedere i suoi quadri per capire che Rockwell era pittore vero, nella scia di Winslow Homer o Edward Hopper, ma con una differenza: l’orgogliosa consapevolezza di essere un illustratore, ovvero uno che racconta storie per immagini. Ed eccoci al cinema, il grande rivale e il grande alleato, e lo stessi dicasi per la fotografia, con la quale Rockwell ingaggia una gara che sembrerebbe destinata presto a una sconfitta e invece  no. Se il “Saturday Evening Post” gli affida la copertina dal 1916 al 1964 (stesso incarico ricevuto poi da “Look“) significa che le sue immagini hanno una qualità misteriosa che le fotografie non possono avere. Qualità che va cercata nel perfetto dominio espressivo ed emotivo del colore, della “luce colorata”, unita a un approfondimento psicologico di cui la fotografia si fa complice nell’indagare ma che poi solo l’immagine dipinta può restituire. Rockwell usa la fotografia a partire dagli anni Venti per ritrarre i suoi soggetti e carpirne dinamica, gesti, posture ed espressioni (prima di allora metteva i modelli in movimento sorretti da carrucole e argani!). Anche i suoi manifesti per il cinema, altro suo punto di contatto, rivelano un accostarsi consapevole a un mondo da cui riceve ma a cui dà molto. Emblematici sono i rapporti con Disney, di cui si professa devoto ammiratore, e con Frank Capra, i cui film, specialmente It’s a Wonderful Life, sono ampiamente debitori dell’immaginario e dell’iconografia rockwelliani. Altrettanto significativo è il suo legame con gran parte del cinema americano fino ad arrivare a Coppola, Lucas, Spielberg (del 2010-2011 la mostra al Smithsonian American Art Museum di Washington dei dipinti di Rockwell posseduti dai due ultimi cineasti) fino ai fratelli Cohen. Il sogno americano, di cui Rockwell è stato il grande ma non ingenuo cantore, al cinema non può non fare i conti con questo corpus ingente di tipi, situazioni, colori e umori. Roger Deakins, il grande direttore della fotografia dell’Uomo che non c’era e Fratello dove sei? ma anche di Revolutionary Road è forse il tramite più chiaro di questo solido innesto. Rockwell che, come Rembrandt, omaggiato in un celebre autoritratto insieme agli altri suoi maestri Van Gogh, Picasso e Dürer, si riempiva lo studio di cimeli e costumi per i suoi dipinti, è un altro prezioso tramite tra grande pittura e cinema, attraverso la fotografia.


Di Norman Rockwell: The Runaway (1958).


Di Norman Rockwell: Shuffeton’s Barbershop (1950);

ART E DOSSIER N. 319
ART E DOSSIER N. 319
MARZO 2015
In questo numero: EROS FUORI PORTA Il corpo e la campagna, seduzioni boschive nella pittura veneta, in Stanley Spencer, in Courbet, nel Romanticismo tedesco. VAN GOGH 125 ANNI DOPO Il nuovo museo e tutti gli eventi. IN MOSTRA: Jacob Lawrence, Morandi, Palma il Vecchio, Carpaccio.Direttore: Philippe Daverio