A raccogliere la fiducia incondizionata dell’Urbinate arriva a Roma il Bolognese, dopo una formazione a seguito del maestro niellatore Francesco Francia, un breve soggiorno nella Serenissima e un passaggio da Firenze. È il concittadino Jacopo Ripanda, impegnato a Palazzo dei conservatori (Roma), a segnalargli la possibilità di ricevere commissioni prestigiose nella città che aveva già attratto a sé un altro bolognese, l’eccentrico Amico Aspertini che lavora in Campidoglio, gomito a gomito proprio con Ripanda. Arrivato a Roma, anche Raimondi non perde tempo e, dopo aver riprodotto a bulino un trionfo all’antica ispirato al ciclo di Ripanda, viene chiamato da Raffaello. Grazie alla maestria tecnica e al suo indiscusso talento artistico, i fogli del Sanzio vengono tradotti dando vita a un’operazione sistematica di diffusione di modelli iconografici.
Oggetto del nostro studio è la stampa Il sogno di Raffaello che la critica attribuisce agli anni vissuti da Marcantonio a Venezia e dunque a ridosso del soggiorno romano. Il sogno sarebbe “nato” da suggestioni lagunari, negli anni in cui Giovanni Bellini tenta di metter fine al Festino degli dei per il camerino di Isabella d’Este e Giorgione è sui ponteggi del Fondaco dei tedeschi aiutato nell’opera da un apprendista cadorino, tale Tiziano Vecellio. Di quest’ultima impresa rimane un saggio di inestimabile valore, nel lacerto di affresco conservato a Venezia, noto come La nuda delle Gallerie dell’Accademia, facente parte di un ciclo ormai perduto, terminato nel 1508 circa.
Il pittore di Castelfranco Veneto, in quegli anni, aveva messo su tela La ninfa dormiente (detta anche La nuda) di Dresda, ultimata da Tiziano tra il 1508 e il 1512, che ha legami strettissimi con la Nuda nel paesaggio incisa a puntinato da Giulio Campagnola, entrambi i pezzi molto vicini alla sensualità femminea delle donne addormentate del Raimondi.
La stampa di Marcantonio dunque si colloca a contatto con quest’ambiente e con un altro stimolante snodo artistico che si viene a creare nel primo decennio del Cinquecento tra Giorgione, negli anni della maturità, Dürer al tempo del suo secondo soggiorno veneziano, e Jacopo de’ Barbari, misterioso artista che si firma con il caduceo, simbolo mercuriale ed esoterico per eccellenza.