“dimestici”Amici

Con biografie scarne e brevi, Vasari accorpa in un solo capitolo le vite dei due “compagni e amici” Jacopo Negretti, detto Palma il Vecchio, e Lorenzo Lotto(1).

Una relazione particolare la loro, quasi uno scambio di esistenze a distanza, visto che Lorenzo, dal 1513 al 1525, soggiorna e lavora nelle terre bergamasche, mentre Jacopo costruisce la sua carriera artistica a Venezia, dal 1510 fino all’anno della sua morte prematura, avvenuta nel 1528, all’età di quarantotto anni. Pur vivendo nella capitale della Serenissima, Jacopo tiene contatti con la sua terra d’origine, dipingendo pale d’altare per le chiese delle valli orobiche, recandosi ogni tanto a Serina per trovare i suoi parenti e per appuntarsi le atmosfere montane da inserire negli sfondi dei suoi quadri arcadici. Nei documenti è rimasta traccia di solo uno dei suoi viaggi nel paese natale: nel maggio e giugno del 1524 si trova a Serina per questioni testamentarie, a causa della morte del fratello Bartolomeo. Lotto invece decide di tornare a Venezia nel dicembre del 1525, sentendosi maturo artisticamente per conquistare un posto d’onore nella sua città natale. Ma questo non avverrà, inducendo l’irrequieto e deluso Lorenzo a cercare fortuna, dal 1532, di nuovo a Treviso e nelle Marche.


Polittico di santa Barbara (1523-1524); Venezia, Santa Maria Formosa.


Ritratto d’uomo (presunto autoritratto) (1523-1525).

(1) G. Vasari, Le Vite de’ più celebri architetti, pittori et scultori…, Firenze 1550, II, p. 854: «Fu compagno e amico del Palma Lorenzo Lotto pittore viniziano, il quale avendo imitato un tempo la maniera de’ Bellini, s’appigliò poi a quella di Giorgione, come ne dimostrano molti quadri e ritratti che in Vinezia sono per le case de’ gentiluomini».

La testimonianza vasariana conferma un rapporto tra i due pittori che si può appurare comunque anche confrontando alcuni loro dipinti. A differenza delle opere di Lotto, più ricche di enigmi e disseminate di dissonanze dell’insorgenza anticlassica, i quadri del valbrembano testimoniano la sua aderenza più “regolare” all’alto Rinascimento veneziano, con molte tracce del suo interesse (e di quello dei suoi committenti) riguardo ai significati di derivazione pagana(2). Palma intesse una serie di rimandi ai culti matriarcali, soprattutto nei ritratti muliebri e nei nudi di ninfe nel paesaggio idilliaco, creando un genere di bellezza idealizzata, seducente, e non dichiaratamente esoterica. In questo progetto è stato più influenzato da Tiziano che dal fraterno Lorenzo, facendosi portavoce con lui di molte «adepte di Diana»(3) e di guaritrici «herbarie», che vivevano nei luoghi rurali dell’entroterra e delle zone montane nei territori della Serenissima.


Martirio di san Pietro da Verona (1526-1528); Alzano Lombardo (Bergamo), museo della chiesa di San Martino. Berenson, seguendo un’antica tradizione locale che attribuiva questo dipinto a Lotto, ha ipotizzato una fase palmesca del pittore veneziano. Cavalcaselle, Longhi, Venturi e la critica più recente hanno invece ricollocato la tavola controversa tra le opere di Palma. Di sapore lottesco sono alcuni dettagli, tra i quali spicca la corona, ironicamente fuori scala per la testa del domenicano, e la presenza dei boscaioli intenti ad abbattere alberi, come nella Sacra conversazione, ora alla National Gallery di Edimburgo, realizzata da Lotto attorno al 1505.


Adamo ed Eva (1520-1522 circa); Braunschweig (Germania), Herzog Anton Ulrich-Museum.

(2) Da intendere anche nell’accezione negativa, almeno secondo la visione della Chiesa cattolica del Cinquecento, che attraverso l’Inquisizione farà in modo di contrastare ogni adesione “eretica”.
(3) Si vedano: M. Zanchi, Sotto il segno di Diana. Il gesto a V rovesciata nell’arte del Cinquecento, in “Art e Dossier”, n. 315, Firenze, novembre 2014, pp. 72-77; C. Ginzburg, Storia notturna, Torino 1989, pp. 70-73; Id., I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Torino 1972 e 1996, pp. 45-47, 61-62.

Ha testimoniato in pittura anche messaggi “protofemministi” attraverso ritratti di emancipate cortigiane colte, che si riunivano nelle cerchie neoplatoniche femminili e nei ginecei legati alle dee Diana e Flora(4). Esemplari sono la Ninfa in un paesaggio (1518-1520), la Giovane bionda, detta Flora (1522-1524) e il Bagno di Diana e delle sue ninfe (o Ninfe al bagno) (1519-1520). Sulla scia di voler rappresentare il tipo di dea madre-vergine o di incarnazione dello spirito femminino, Palma eccelle nella produzione di ritratti muliebri dalle scollature generose, opere di carattere privato e mondano, di nudi a figura intera, principalmente di ninfe o personaggi della mitologia greco-romana ambientati in paesaggi arcadici. A Venezia, però, Palma si specializza principalmente su un genere pittorico che declina tre tipi di soggetti: sacre conversazioni, pale d’altare e ritratti. In ogni categoria sviluppa parallelamente il modo di trattare la forma e la composizione, riuscendo a creare un suo «stile profondamente personale che non può essere confuso con quello di qualunque altro pittore noto»(5). Oltre che dalla inconfondibile tipologia dei suoi modelli femminili, la riconoscibilità del suo stile è un risultato che deriva dal paziente lavoro sul colore, dalla sapiente imitazione della natura, dall’atmosfera ideale in cui inserisce i suoi soggetti, con il loro portato psicologico e allegorico. Secondo Vasari, Palma «fu molto più nei colori unito, sfumato, e paziente, che gagliardo nel disegno, e quelli maneggiò con grazia e pulitezza grandissima, come si vede in Vinegia in molti quadri e ritratti che fece a diversi gentiluomini»(6). In realtà la questione è più articolata: Palma prende le mosse dal “classicismo cromatico” di Bellini e dalla pittura atmosferica di Giorgione, guarda attentamente come Tiziano conferisce nuova vitalità all’accordo luminoso del tono veneto e come fonde armonicamente umanità e natura, inserisce le novità raffaellite e michelangiolesche viste di seconda mano - rilevando da un contesto provinciale i grandi mutamenti dell’arte italiana espressi nella Scuola di Atene e nella volta della Cappella sistina -, sbircia dalla breccia aperta nell’universo classicista dall’inquieto vagabondo Lotto, sta come un bilingue tra conformismo e sperimentazione. Inoltre osserva da lontano l’insorgenza anticlassica proveniente dalla cultura d’oltralpe e vede scorrergli accanto il fallimento dei sogni universalistici quattrocenteschi e le fiammate contestatrici attizzate dai giovani manieristi dell’Italia del Nord.


I santi Marco, Giorgio e Nicola liberano Venezia dai demoni (o Burrasca infernale) (1527-1528 circa); Venezia, Gallerie dell’Accademia.


Lorenzo Lotto, Giona (1525); Bergamo, Santa Maria Maggiore, coro.

(4) Nel XVI secolo Flora impersona due figure mitologiche: Flora-Primavera, la dea dei fiori e dei giardini, e Flora-Meretrice, derivata dal De claris mulieribus di Boccaccio, ovvero una cortigiana dell’antica Roma che viene riabilitata per mezzo della deificazione. Nel Quattrocento, nelle illustrazioni di Boccaccio, Flora è intesa come patrona delle prostitute, pur non essendo una meretrice. Tiziano, Francesco Melzi, Palma e Bartolomeo Veneto rappresentano Flora con un seno nudo, mentre tiene in una mano fiori, intesi anche in un’accezione erotica e che rimandano alla concessione dei favori sessuali.
(5) C. Gould, National Gallery Catalogues. The Sixteenth- Century Venetian School, Londra 1959, p. 59.
(6) G. Vasari, op. cit., II, p. 854.

Ma procediamo cronologicamente. Nel suo apprendistato a Venezia, dal 1510 al 1511 Palma frequenta il conterraneo Andrea Previtali(7), allievo di Bellini: apprende una tavolozza dai riflessi dorati tipica della scuola bergamasca, la consistenza di smalto costruita con molte velature meticolosamente rifinite, lo stile del drappeggio con rotture spigolose, e fodera in marrone l’interno del manto blu della Vergine, come si può appurare osservando le Sacre conversazioni di Rovigo e di Madrid. Appena giunto a Venezia dalla terraferma, guarda con interesse le opere di Carpaccio. Dal 1512 è continuativamente aggiornato sulle progressioni formali e pittoriche di Giorgione e Tiziano, soprattutto sui ritratti muliebri (sul nuovo tipo di bionda prosperosa e riccamente abbigliata) e sulle Sacre conversazioni del cadorino. Per esempio, le Sacre conversazioni di Dresda, di Padova e di Madrid sono debitrici nei confronti della Sacra famiglia con san Giovanni Battista e della Sacra conversazione con un committente di Tiziano. E così pure molti ritratti di donne sono mutuati dai tipi del Vecellio. L’esercizio costante dell’osservazione diretta dei quadri di Tiziano, lo studio sui volumi muscolari maschili e sulla resa dei drappeggi rigonfi, l’attenzione al linguaggio fisiognomico fanno sì che Palma apprenda una efficace espressività delle pose, così che nelle sue opere compaiano via via nuovi elementi e soluzioni. A partire dal 1525 risaltano colori armoniosamente splendenti e schemi compositivi moderni ed equilibrati, con personaggi e forme sinuose rese con grazia lineare, che riescono a trasmettere varietà e leggiadria, delineando le caratteristiche specifiche dell’arte veneziana che tanto piacerà alla committenza lagunare. Ovviamente i motivi e le suggestioni che provengono dai maestri di riferimento o dai colleghi più innovativi sono citati, modificati e ricombinati continuamente, per cercare inedite soluzioni formali e concettuali, anche con l’aiuto di una sapiente disposizione dei dettagli simbolici e delle allusioni iconografiche. Emblematico è il rimontaggio effettuato nel Bagno di Diana e delle sue ninfe (o Ninfe al bagno) di Vienna. Palma, forse anche per dare il suo contributo alla diatriba sul primato artistico tra pittura e scultura, dispone le ninfe nude in prossimità di una fonte sorgiva, mostrandole sotto molte angolature e pose. Egli attinge a varie fonti, dalla scultura antica, che vede nelle collezioni dei suoi committenti, a figure presenti nelle opere di altri artisti(8). Ancora un influsso non veneziano è visibile nel Martirio di san Pietro da Verona (1526- 1528) di Alzano Lombardo, dove si sente il dinamismo del Pordenone.


Lorenzo Lotto, Ritratto di giovane con libro (1525-1526); Milano, Castello sforzesco.


Giovane donna di spalle (1520-1525); Vienna, Kunsthistorisches Museum. Volgendo il capo di fianco, a presentire l’avvicinarsi di qualcuno, la giovane sogguarda in tono severo. Pare indicare con la mano sinistra qualcosa che il pittore non ha voluto mostrare direttamente allo spettatore. All’interno della nicchia si scorgono una massa informe e numerosi segni di pennello, con un sapore enigmatico di non finito, come fossero onde di campi magnetici, che dinamizzano la cavità dello sfondo.

(7) Le prime opere di Palma dovrebbero risalire al 1511, anno in cui Previtali lascia Venezia per ritornare a Bergamo.
(8) Sono state riconosciute somiglianze con figure presenti nelle opere di Dürer, Michelangelo, Raffaello, Giulio Romano, Rosso Fiorentino e Domenico Campagnola. Cfr. Ph. Rylands, Palma il Vecchio, Milano 1988, p. 246.

Adamo ed Eva (1520-1522 circa) di Braunschweig ci mostra come Palma sovrapponga le origini figurative ellenistiche tratte da un’incisione di Dürer e l’atmosfera da scultura classica ripresa dai progenitori scolpiti da Tullio Lombardo attorno al 1490 per la tomba di Andrea Vendramin nella chiesa veneziana di Santa Maria dei Servi (attualmente nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo). Nella decade di apprendistato e di affinamento stilistico, ovvero dal 1510 al 1520, Palma sviluppa sempre più una narrazione dinamica nelle Sacre conversazioni e nelle pale d’altare, soprattutto quando inserisce nelle sue opere, pervase dalle atmosfere dei maestri veneti, le innovazioni figurative dell’Italia centrale. In una mescolanza dei tipi di Tiziano, Raffaello e Michelangelo - a volte le citazioni sono addirittura quasi letterali - il risultato è originale, dinamico, e brilla della pienezza e della vivacità coloristica alto rinascimentale. Un esempio eloquente è la figura di Cristo infante, nella Sacra conversazione della Pinacoteca Carrara di Bergamo, descritta come quel putto che compare in primo piano nella Galatea di Raffaello nella villa Farnesina a Roma: col suo movimento unisce le figure dei santi e della Madonna in una nuova maniera, che riesce a superare in efficacia i prototipi belliniani. 

E infine ritorniamo di nuovo all’amicizia fra Palma e Lotto evidenziata da Vasari. C’è una parentela iconografica tra I santi Marco, Giorgio e Nicola liberano Venezia dai demoni, detta Burrasca infernale (1527-1528 circa) e la tarsia Giona (il cartone è stato ideato da Lotto nel 1525 e tradotto dall’ebanista Giovan Francesco Capoferri entro il 1527) del coro della basilica di Santa Maria Maggiore in Bergamo(9). Compare un analogo veliero nel mare in tempesta, ripreso dall’identico punto di vista, con la stessa inclinazione verso destra, con la vela gonfiata dal vento. È simile anche il contrasto tra il mare calmo sullo sfondo soleggiato a sinistra e l’atmosfera oscurata nella parte destra in burrasca. Dal 1525 Lotto abita a Venezia e molto probabilmente mostra i suoi cartoni a Palma, acconsentendo che l’amico utilizzi la sua “invenzione” come modello per dipingere la Burrasca infernale, enorme per dimensioni, erroneamente attribuita a Giorgione per l’originalità della composizione, e ultimata da Paris Bordon. È proprio Vasari, nelle Vite del 1568, a rilevare sia la giusta attribuzione sia l’importanza della Burrasca di Palma, considerata una notevole conquista formale nell’ambito della pittura narrativa veneziana. E dal 1525 Jacopo guarda anche la maniera di realizzare ritratti secondo lo sguardo di Lorenzo, con una sonda psicologica e sottilmente allusiva, come nel Ritratto d’uomo coi guanti (1517-1518 circa) dell’Ermitage, o con rimandi esoterici come nel Ritratto di donna, detta La schiava (1525-1528 circa), dove il soggetto fa il gesto delle corna verso il basso. Una corresponsione d’intenti è testimoniata anche dal simile scatto della testa verso lo spettatore, come se il personaggio ritratto si fosse accorto dell’arrivo di un fruitore, visibile nella Giovane donna di spalle, realizzata da Palma tra il 1520 e il 1525, e nel Ritratto di giovane con libro del Castello sforzesco, dipinto da Lotto attorno al 1525- 1526. Palma aveva già realizzato attorno al 1516 il suo presunto Autoritratto, mostrandosi al riguardante con il volgere del capo. Un omaggio dichiarato di Lorenzo a Jacopo, probabilmente realizzato dopo la morte dell’artista bergamasco avvenuta il 30 luglio del 1528, è la Madonna col Bambino tra i santi Caterina d’Alessandria e Tommaso, ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Pur rifacendosi alle Sacre conversazioni di Palma, l’opera presenta figure più dinamiche e inquiete, che formano un misterioso insieme di linee diagonali immaginarie, con guizzi luminosi improvvisi tipici del pittore veneziano, che provengono contemporaneamente da fonti diverse e vanno a creare un sottile corto circuito entro quell’apparente placido sentimento elegiaco. Un omaggio soprattutto al linguaggio silente e “telepatico” dei santi, per cercare di rendere visibile l’energia invisibile del pensiero che scorre tra le anime. E quella di Jacopo se n’era appena andata da un’altra parte.


Lorenzo Lotto, Madonna col Bambino tra i santi Caterina d’Alessandria e Tommaso (1528 circa); Vienna, Kunsthistorisches Museum.

(9) Cfr. Id., op. cit., p. 152; M. Zanchi, La Bibbia secondo Lorenzo Lotto. Il coro ligneo della basilica di Bergamo intarsiato da Capoferri, Bergamo 2003, pp. 134-136.

PALMA IL VECCHIO
PALMA IL VECCHIO
Mauro Zanchi
Un dossier dedicato a Palma il Vecchio (Bergamo, 1480 - Venezia, 1528). In sommario: ''Dimestici'' amici; Ritratti con l'anima tra i guanti; Ritorno alla natura. Idilli rurali; Conversazioni silenziose. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.CartaceoeBook