ritratti con l’animatra i guanti

Nel De Anima, Aristotele – seguito all’inizio del Cinquecento dagli intellettuali e da chi frequenta l’Università di Padova in quegli anni - dice che le mani sono paragonabili all’anima(10).

In questa accezione i vari ritratti del XVI secolo con personaggi che sfilano i guanti o li tengono in una mano potrebbero avere un raffinato riferimento allo svelamento della propria anima. Per il Ripa, invece, «si dimostra col guanto, il cui uso è di difendere la mano dal freddo, dal Sole, e somiglianti cose, che al senso del tatto fanno alterazione»(11). Tra alludere semplicemente al tatto e intendere un disvelamento dell’anima vi sono altre interpretazioni che mutano a seconda del contesto. Nel Ritratto d’uomo con mantello di pelliccia (1516 circa) il soggetto è colto leggermente di spalle, mentre volta di scatto la testa in direzione dello spettatore, tenendo una ciroteca(12) nella mano destra. La maggior parte della critica pensa che quest’uomo sia il pittore bergamasco, seguendo la descrizione che Vasari fa nel 1550 a proposito di un “Autoritratto” di Palma: «Ma certo che tutte l’opere sue, come che molte siano, non vagliono nulla appresso una testa, che se ritrasse nella spera con alcune pelli di camello attorno con certi zuffi di capegli, la quale quasi ogni anno nella mostra della Ascensa in quella città si vede.


Ritratto virile (o Ariosto) (1520-1525 circa); Londra, National Gallery.


Ritratto d’uomo con mantello di pelliccia (1516 circa); Monaco, Alte Pinakothek.

(10) Cfr. M. Kirigin, La mano divina nell’iconografia cristiana, Città del Vaticano 1976, p. 15; E. M. Dal Pozzolo, Colori d’amore, Treviso 2008, p. 147.
(11) Della più che novissima iconologia di Cesare Ripa, parte III, Padova 1630, p. 61.
(12) Nel Cinquecento il guanto viene definito con questo termine.

Poté lo spirito del Palma solo, in questa cosa salire tanto alto: che quella fece miracolosissima e fuor di modo bella. E per ciò merita d’esser celebrato per il più mirabile di disegno, d’artificio, di colorito, & di perfetto sapere: che Viniziano, che fino al tempo suo abbia lavorato. Et nel vero vi si vede dentro un girar d’occhi: che Lionardo da Vinci, & Michele Agnolo, non avrebbero altrimenti operato»(13). Nell’autoritratto di Monaco, il trentaseienne Palma non indossa però una pelliccia di cammello, anche perché nel primo Cinquecento non ne esistono in commercio, bensì una cappa di volpe rossa europea(14). La resa acuta dello sguardo, l’attenzione fisiognomica nel moto del capo e il dettaglio “aristotelico” della mano che tiene il guanto inducono a interpretare il quadro secondo un’ottica che sonda la psiche. Il personaggio melanconico del Ritratto virile (1520-1525), il cosiddetto Ariosto, è descritto con l’indice della mano sinistra nuda che pone l’attenzione sull’immagine del guanto chiaro, mentre tiene un grande rosario tra il polso e il pugno della stessa mano. Alle sue spalle verdeggia una pianta d’alloro, forse per alludere alla fama del poeta. Palma parrebbe rappresentare un sentimento melanconico, derivato da una sofferenza amorosa, l’anima messa a nudo, spogliata della sua guaina protettiva, come se il poeta meditasse sul sentimento frustrato di Apollo, il dio delle arti, quando Dafne per sfuggirgli è tramutata in pianta d’alloro. 

La pianta sullo sfondo potrebbe essere intesa anche come un rimando alla virtù della fedeltà coniugale(15). In questa accezione il rametto di lauro è presente nelle mani destre dei due ritratti virili dipinti da Dosso Dossi, uno alla Galleria Doria Pamphilj di Roma e uno alla Wichita Art Association, e tenuto da Eros sul collo degli sposi nel Ritratto di Marsilio e Faustina Cassotti (1523) di Lotto, ora al Prado. Nel Ritratto di gentiluomo con cappa d’ermellino (1525-1528 circa), il soggetto dall’espressione pensierosa è colto mentre con l’indice della mano sinistra tocca il guanto tenuto stretto nella destra. Tenere nella mano destra(16) un guanto è anche una sottoscrizione solenne di un accordo, un sigillo fideiussorio, testificazione di un impegno, attestazione di lealtà, come testimonierebbe il Ritratto a Galeazzo Maria Sforza eseguito nel 1471 da Piero Pollaiolo, su commissione di Lorenzo il Magnifico, in occasione della permanenza a Firenze del duca milanese(17).


Ritratto di gentiluomo con cappa d’ermellino (1525-1528 circa); Berlino, Gemäldegalerie.

(13) G. Vasari, op. cit., II, pp. 853-854.
(14) Cfr. Ph. Rylands, op. cit., scheda n. 32, p. 210.
(15) E. M. Dal Pozzolo, op. cit., pp. 38-41 e 140-141.
(16) Le fonti esegetiche antiche concordano nello stabilire che nella Bibbia la mano destra garantisce la fede. Cfr. G. Bonifacio, L’arte de’ cenni […], Vicenza 1616, p. 293; M. Kirigin, op. cit., p. 15.
(17) Cfr. F. Poletti, Antonio e Piero Pollaiolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 196-200.

Ritratto di Francesco Querini (1525-1528); Venezia, Fondazione Querini Stampalia, Pinacoteca. Uno degli ultimi ritratti di Palma, incompiuto in alcune parti, testimonia come il pittore bergamasco abbia assorbito la lezione di Lotto (ritornato a Venezia nel 1525), nella resa della penetrazione psicologica, nel rapporto tra colore e luce, nella qualità poetica dei dettagli. La mano sinistra, descritta mentre sfiora il davanzale con i polpastrelli e indugia tra la luce e il triangolo d’ombra, e i bottoncini neri, che risaltano sul bianco della camicia, a breve distanza dalle asole del farsetto mezzo sbottonato, sembrano sottili correlativi oggettivi di uno stato d’animo.

Ritratto d’uomo coi guanti (1517-1518); San Pietroburgo, Ermitage.

Tra Quattrocento e Cinquecento è consuetudine donare un guanto nel momento delle formalizzazioni matrimoniali. Ed è per questa usanza che in molti ritratti sponsali del Rinascimento, sia in Italia sia in area nordica, l’uomo è ritratto mentre regge uno o due guanti(18). Un esempio è il Ritratto di Francesco Querini (1525-1528) che si accompagna col ritratto della moglie Paola Priuli, entrambe le opere conservate alla Pinacoteca Querini Stampalia di Venezia(19). Il Ritratto d’uomo coi guanti (1517-1518) dell’Ermitage è raffigurato con la ciroteca mezza sfilata dalla mano destra, che tiene in pugno l’altro guanto già tolto. La mano sinistra nuda accarezza o tiene il collo di pelliccia grigia che orna la mantella nera. Il personaggio è colto in una posa giorgionesca, con la testa dritta e gli occhi che guardano di lato cercando la complicità del riguardante. In un dipinto di ubicazione ignota datato 1542, forse di Andrea Schiavone, si vede un uomo che impugna il guanto sinistro nella mano destra guantata, portandolo accanto a una clessidra dotata di piccole ali, per ricordare il celebre motto: “Tempus fugit”. L’iconografia ha corrispondenze col Ritratto di Tiziano a Copenaghen e con gli Ambasciatori di Holbein il Giovane alla National Gallery di Londra. Nei due quadri citati il raccordo tra i guanti e il teschio è direttamente associato al tema del “memento mori”. Un guanto appena sfilato sulla mano manca è visibile anche nel Ritratto di tre donne (1518-1520), dove Palma svolge un’ulteriore declinazione allegorica associandolo forse all’azione compiuta dalla ragazza a destra, che tiene o scioglie una treccia della donna posta al centro. Le tre ragazze sembrano molto intime, somiglianti tra loro in un’accezione ideale, senza che vi sia una caratterizzazione dei tipi, colte in un paesaggio naturalistico con la veduta in profondità di montagne e di insediamenti alpini. L’atto di toccare le chiome bionde(20) o sciogliere la treccia aprono ad altri rimandi simbolici, che prenderemo in esame più avanti in riferimento ad altri ritratti muliebri di Palma. Che vi sia un collegamento erotico o amoroso tra il guanto sfilato non completamente sulla mano e i capelli sembra confermato anche nei cosiddetti Sette ritratti Albani (1519) di Cariani. Qui un gentiluomo accarezza i capelli della donna vestita in bianco, descritta mentre regge un piccolo specchio tra il grembo e la mano destra parzialmente guantata. Nel Ritratto di donna, detta La schiava (1525- 1528) degli Uffizi la mano che indossa un guanto compie il gesto delle corna. Secondo Bonifacio, il gesto ingiurioso delle corna deriva da implicazioni sessuali: «Il raccogliere, e co’l dito pollice premer il medio, e l’anellare, spiegando l’indice, e l’auricolare contra alcuno, è gesto d’ingiuria; accennando che egli sia una bestia cornuta, et un becco, ciò è che, come il becco, comporti che la sua femina da un’altra bestia sia montata, et in somma, che egli habbia il cimier di Cornovaglia, come disse una volta l’Ariosto»(21). Il gesto delle corna rivela qualcosa che proviene da tempi primordiali, da segni rituali ereditati dal mondo greco, riconducibili a Pan, il dio cornuto, metà uomo e metà becco, che esprime l’origine dell’istinto e le manifestazioni grezze della natura. Le opere dove sono raffigurati satiri e ninfe di solito celano una meditazione sulla passione sessuale, intesa come conflitto tra pulsione e proiezione d’amore. Il segno delle corna compiuto da una giovane donna potrebbe ricondurre alla stessa tematica in forma più simbolica, ovvero alla tensione tra castità e passione sensuale, o tra tensione platonica e piacere.


Ritratto di tre donne (1518-1520); Dresda, Gemäldegalerie.


Giovanni Cariani, Sette ritratti Albani (1519).

(18) Cfr. A. Dülberg, Privatporträts. Geschichte und Ikonologie einer Gattung im 15. und 16. Jahrhundert, Berlino 1990, pp. 183-262.
(19) Cfr. Ph. Rylands, op. cit., pp. 245-246; M. Dazzi, E. Merkel, Catalogo della Pinacoteca della Fondazione Scientifica Querini Stampalia, Vicenza 1979, pp. 39-40.
(20) Nel XVI secolo i letterati ripropongono ancora l’immagine della bellezza femminile e il topos della chioma bionda paragonata ai raggi del sole, presenti nel Canzoniere di Petrarca.
(21) G. Bonifacio, op. cit., parte I, cap. VIII.

Ritratto di donna (o La schiava) (1525-1528); Firenze, Uffizi.


Ritratto di donna (o La cortigiana) (1524-1526); Milano, Museo Poldi Pezzoli. Camuffando sottilmente il confine con la prostituzione, le cortigiane veneziane di alto rango del XVI secolo, abili anche a sostenere le loro idee negli incontri culturali con artisti, filosofi ed eruditi, divengono spesso amanti fisse di principi, accompagnandoli persino nelle funzioni sociali, sostituendo le loro legittime consorti.

Dalla metà del secondo decennio del Cinquecento, Palma realizza una serie di ritratti femminili ispirati a modelli dell’immaginario tizianesco, figure a mezzo busto che incarnano un ideale di bellezza classica, con un’accezione sensuale ed erotica, pensati per eccitare il desiderio. I ritratti sono richiesti dal collezionismo privato veneziano, quello nobiliare, quando Tiziano è occupato ad accontentare le committenze nelle importanti corti dell’Italia settentrionale. Molte giovani donne sono raffigurate discinte, con le chiome sciolte, con intenti allegorici. Alcune si accarezzano i capelli, scompongono trecce o mettono oli profumati. Altre compiono gesti simbolici di appartenenza. Plinio nella Storia naturale e Ovidio nei Fasti attestano che in molti popoli l’usanza di sciogliere i capelli nei momenti della gravidanza e del parto è un gesto apotropaico. Nell’antica Grecia le donne offrono ad Artemide o a Eileìthya il nastro che lega i capelli, con l’intento di liberare le energie per farle fluire in tutte le loro potenzialità(22). In questa accezione si può interpretare il gesto, reiterato in molti ritratti del primo Cinquecento, di liberare le chiome da una treccia e di lisciare i capelli con la mano, come a imitare anche il gesto tratto molto probabilmente da una statua antica raffigurante Venere Anadiomene(23). Vi sono molti quadri del XVI secolo in cui giovani donne sono colte dai pittori lombardo-veneti nell’atto di sciogliere le trecce. Anche Palma realizza alcune versioni.


Ritratto di donna bionda dal seno scoperto (1524-1526); Berlino, Gemäldegalerie.

(22) Cfr. M. Bettini, Nascere. Storie di donne, donnole, madri ed eroi, Torino 1998, pp. 107-109.
(23) A proposito dell’atto di sciogliere le chiome si vedano il bassorilievo di Antonio Lombardo, raffigurante Venere Anadiomene, ora al Victoria and Albert Museum Londra, e la Venere Anadiomene dipinta da Tiziano, ora conservata alla National Gallery of Scotland di Edimburgo. Un’altra associazione di significati annessi ai capelli pettinati e al simbolo delle corna lunari è testimoniata nell’incisione Pan e Siringa, di Marco Dente.

La Donna che scompone la treccia (1525 circa), opera ritrovata nel bunker di Hitler nel 1945 e ora di ubicazione ignota, ha una gestualità ripresa dal quadro di Tiziano dallo stesso soggetto, conservata al Louvre. Nella cosiddetta Bella di Madrid, Palma mostra il nesso simbolico tra i capelli sciolti e i nastrini che servono per comporre le trecce, forse un dettaglio che potrebbe collegare l’effigiata alle adepte di Diana, le quali, riprendendo un’antica usanza greca, donavano i loro nastri dei capelli alla dea che sovrintende i flussi sublunari (maree, mestrui, linfe dei vegetali). I “lacci d’amore”, presenti anche nelle poesie di Petrarca e Ariosto(24), nel Cinquecento vengono chiamati “favori”, perché la donna li dona al proprio innamorato, che se li lega poi al polso o al braccio(25). Nella Bella e nelle Tre donne di Palma i soggetti pongono l’attenzione sulle chiome. Che il gesto di tenere (o di lisciare) una coda di capelli con una mano possa essere connesso con le Amazzoni o con le ninfe di Diana pare essere suggerito anche dal Ritratto femminile realizzato da Paris Bordon, ora nella Galleria Canesso di Parigi. La giovane donna è raffigurata con un seno nudo, tipico attributo delle Amazzoni nella statuaria greco-romana. Esporre una sola mammella poteva essere un richiamo al mito delle vergini guerriere dedite al culto di Artemide, che secondo un’antica leggenda accettavano di congiungersi agli uomini solo per fini riproduttivi e non per meri desideri sessuali. Esporre un seno significa anche sottolineare l’offerta d’amore con un simbolo legato alla fecondità, e tenere l’altro coperto rappresenta l’armonia tra sensualità esposta ed erotismo vissuto, ovvero la sintesi felice che si realizza attraverso l’incontro di due innamorati che scelgono di congiungersi nel matrimonio. 

Nel Cinquecento mostrare un seno non è considerato disdicevole: un’immagine del genere, dal vero o sulla tela, è accolta senza ipocriti moralismi(26). Un seno nudo riguarda anche le vestali, le allegorie della castità o nuziali, donne in scene amorose, e la figura di Giuditta. 

Tornando al significato dei lacci d’amore, delle chiome, e della bellezza muliebre, il Ritratto di donna, detta La bella (1518 circa) appartiene alla famiglia di quei ritratti rinascimentali che sottintendono un significato allegorico di stampo intellettuale. Ella con l’indice sinistro pone l’attenzione sul monile d’oro che fuoriesce dal cofanetto colmo di gioielli e di nastrini, mentre la mano destra, tenendo la treccia dei capelli, allo stesso tempo alza l’indice per rivolgerlo in direzione del collo nudo e forse più oltre verso il bassorilievo posto nell’angolo alto a destra del quadro. Il bassorilievo antico, raffigurante un cavallo che pare combattere contro un uomo nudo, testimonia la moda dell’epoca rinascimentale incline a un gusto di stampo greco-romano(27)

Sul muretto compaiono cinque lettere (A M B / N D) che fungono da sollecitatrici allusive, creando una sorta di messaggio in codice: associate ai gesti indicanti della donna, aprono la porta per introdurre nell’intelletto della persona colta rinascimentale un creativo gioco interpretativo tanto caro agli umanisti veneziani del primo Cinquecento, già abituati a cimentarsi con le “imprese”(28)

A prescindere dalla corretta risoluzione del messaggio cifrato, l’osservazione del quadro avrebbe indotto il fruitore a una meditazione sui temi della bellezza, della “vanitas”, del senso dell’Eterno, della virtù e dell’arte come testimonianze durevoli del pensiero umano. 

Considerando come soggetti visivi i gioielli, la bellezza della donna e la testimonianza artistica del Passato, le cinque lettere (intese come iniziali di parole formanti una frase, un motto, o un’“impresa”) dovevano solleticare la fantasia per indurla a risolvere l’enigma o il rebus. 

Ma se la bellezza della donna non è associata alla virtù insita nei gioielli interiori del suo intelletto non è considerata nel Rinascimento vera bellezza: negli ambienti intellettuali veneziani, infatti, la bellezza celeste della virtù viene fortemente contrapposta filosoficamente alla bellezza mondana della sensualità.


Ritratto di donna (recto) (1515 circa); Firenze, Uffizi.


Autoritratto (verso) (1515 circa); Firenze, Uffizi.

(24) L. Ariosto, Le Rime, a cura di C. Segre, in Opere minori, sonetto XXVII, p. 144.
(25) Cfr. G. Corazzol, L. Corrà, Esperimenti d’amore. Fatti di giovani nel Veneto del Cinquecento, Vicenza 1981, p. 101. I favori sono presenti anche in Venere e Cupido (1540 circa) di Lotto, ora al Metropolitan di New York.
(26) I critici e gli storici dell’arte ottocenteschi interpretano le immagini delle giovani donne con uno o due seni nudi come segno di lussuria, e identificano queste rappresentazioni, molto in voga nella Venezia del XVI secolo, come immagini di cortigiane.
(27) Un bassorilievo antico con un analogo soggetto compare anche nel Ritratto di ragazza in veste di sant’Agata e nella Schiavona di Giovanni Cariani.
(28) Cfr. M. Zanchi, Lotto. I simboli, monografia allegata ad “Art e Dossier”, n. 275, Firenze, marzo 2011, pp. 6-9.

Donna che scompone la treccia (1525 circa). La foto – scattata dal reporter William Vandivert nel bunker di Hitler alcuni giorni dopo la caduta del regime nazista nel 1945 – testimonia la particolare affezione del dittatore per questo ritratto di giovane donna di Palma il Vecchio.

Ritratto di donna, detta La bella (1518 circa); Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.

PALMA IL VECCHIO
PALMA IL VECCHIO
Mauro Zanchi
Un dossier dedicato a Palma il Vecchio (Bergamo, 1480 - Venezia, 1528). In sommario: ''Dimestici'' amici; Ritratti con l'anima tra i guanti; Ritorno alla natura. Idilli rurali; Conversazioni silenziose. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.CartaceoeBook