QUANDO RAFFAELLO
DIVENTÒ UN’“ICONA”

NNon di rado le vite di certi uomini (celebri e ignoti), per le coincidenze e i ricorsi che le caratterizzano, sembrano le trame di un romanzo. Quella del Sanzio non fa eccezione; lo dimostra il fatto che come l’affacciarsi alla vita e alla carriera del grande urbinate fu segnato, sullo sfondo, dalla presenza della marchesa Isabella d’Este, così accadde pure per la sua conclusione perché la celebre lettera che inviò Pandolfo Pico della Mirandola alla nobildonna fu senz’altro un tassello importante nella costruzione del mito di Raffaello. Vale allora la pena di rileggerla per intero, cogliendo poi i punti salienti che portarono il personaggio Raffaello a diventare quel che oggi chiameremmo un’“icona”. Così scrive il conte che era pure precettore di Ferrante Gonzaga: «Anchor che in questi giorni santi ad altro non s’attendi ch’a confessione, et a cose devote, non ho perhò voluto restare de far reverentia ala Ex.tia V., la quale per hora non sarà advisata d’altra cosa che de la morte de Raphaello d’Urbino, quale morite la notte passata che fu quella del Venere Santo, lasciando questa corte in grandissima et universale mestitia per la perdita de la speranza de grandissime cose che se expettavano da lui, quale haverebono honorato questa etade. Et in vero per quello se dice ogni gran cosa se pottea permettere da lui, per le cose sue che già se vegono fatte e per li principii ch’havea datto a magiore imprese. De questa morte li cieli hanno voluto mostrare uno de li signi che mostrorno nela morte de Christo quando lapides scisi sunt; così il palazzo del Papa s’è aperto de sorte che ‘l minaza ruina, e Sua Santità per paura è fugito dale sue stantie et è andato a stare in quelle che feze fare Papa Innocentio.

Qua d’altro non se parla che de la morte de quest’homo da bene, quale nel fine deli soi 33 anni ha finito la vita sua prima; ma la seconda, ch’è quella de la Fama, la quale non è subietta a Tempo, né a Morte, sera perpetua, sì per le opere sue quanto per le fatiche de li dotti che scriverano in laude sua, ali quali non gli mancharà subietto. […]. In bona gratia de V. Ex.tia me rac.do e basogli la mano. Rome, aprillis VII M D xx De V. Ill.ma et Ex.ma Signoria Detto Raphaello honoratissimamente è stato sepulto a la Rottunda ove lui ha ordinato che ‘l se glie fazi a sua memoria una sepultura de milli ducati, et altri tanti ha lassato per dottare la capella ove serà detta sepultura. Ha datto anchor 300 ducati a ciaschun suo servitore. Heri venni nova da Fiorenze che Michele Angelo stasea male. Fideliss. mo Servitore Pandolphi de Pici de la Mirandola»(48).


Jean-Auguste- Dominique Ingres, Raffaello e la Fornarina (1848); Cambridge (Massachusetts), Fogg Art Museum.


Jean-Auguste- Dominique Ingres, Raffaello e la Fornarina (1848); Columbus (Ohio), Columbus Museum of Art.


Autoritratto con un amico (1518-1520); Parigi, Musée du Louvre.

Al di là della notizia di un Michelangelo sofferente, quel che interessa è l’allusione tutt’altro che velata alla morte di Cristo e, implicitamente, alla natura divina e straordinaria dell’arte di Raffaello che giustifica la ribellione della natura rispetto a una morte prematura e crudele(49). In certo senso, infatti, la lettera del conte di Mirandola anticipa il celebre epitaffio attribuito a Pietro Bembo, riportato da Vasari, che insiste sul rapporto privilegiato fra l’arte del Sanzio e la Natura, suggellando così quel precetto del «contrafare bene el naturale » che tanto piaceva a Isabella d’Este e dal quale siamo partiti. L’enorme risonanza che ebbe la notizia della morte di Raffaello e l’impressione che fece sui contemporanei si alimentò, tuttavia, anche dell’aspetto del grande artista, le cui fattezze contribuirono a costruirne il mito.

A parte il ricordato Autoritratto degli Uffizi e quelli che compaiono tanto negli affreschi della Biblioteca Piccolomini a Siena, quanto nella Stanza della Segnatura in Vaticano, sarà bene ricordare quello conservato a Cracovia (Czartoryski Museum, inv. V-239). In realtà l’opera è, spesso e volentieri, considerata genericamente come un Ritratto di giovane uomo, per quanto la vicinanza alla fisionomia dell’allora giovane maestro sia facile da verificare. L’esistenza di una copia nella collezione dell’Accademia Carrara di Bergamo, poi, potrebbe deporre a favore dell’importanza della tavola e di chi vi è rappresentato(50). Il capolavoro noto come Autoritratto con un amico, databile fra il 1518 e il 1520, poi, presenta una immagine matura di Raffaello che, con la barba, in qualche modo finì per avallare quel velato riferimento a nostro Signore che abbiamo letto nella lettera di Pandolfo Pico della Mirandola. Di recente, si è avanzata l’idea che il personaggio in primo piano, individuato come un ipotetico maestro di scherma, sia invece Sebastiano da Sangallo, detto Aristotele. La vicinanza con la fisionomia dei ritratti noti - inclusi quelli delle Stanze vaticane dove compare tanto nelle vesti dello Stagirita, quanto nei suoi panni, con i nastri fra i capelli, dietro il ritratto di Bramante alla balaustra nella Disputa del Sacramento - sembra convincente(51).


Pasquale Romanelli, Raffaello e la Fornarina (1860-1870); San Pietroburgo, Ermitage

Al di là del grande influsso sulla pittura dei secoli a venire, fu sulla base di questi elementi iconografici che, soprattutto nell’Ottocento, gli esponenti della pittura di storia dipinsero scene relative alla vita dell’artista, privilegiando la vicenda d’amore con la Fornarina. È il caso di due quadri di Ingres come il Raffaello e la Fornarina del 1848, conservato nel Fogg Art Museum di Cambridge (Stati Uniti), e l’altro dipinto nello stesso anno, con il medesimo soggetto, appartenente alla collezione del Columbus Museum of Art, nell’Ohio. Fu questo un tema che ebbe fortuna, se già Giuseppe Sogni vi si era dedicato prima del 1826, con una tela oggi all’Accademia di Brera di Milano, e Pasquale Romanelli ne scolpirà, fra il 1860 e il 1870, una versione plastica oggi all’Ermitage di San Pietroburgo. Il pittore bergamasco Dionigi Faconti immaginò che l’artista fosse ispirato dalla bellezza di una contadinella per uno dei suoi capolavori e, così, dipinse nel 1849 Raffaello, rapito da una bellissima donna con due bimbi, immagina il quadro della Madonna della seggiola, nella Galleria d’arte moderna di Torino.

Non furono, però, solo lieti eventi ad arricchire il mito dell’artista. Mi riferisco a opere tese a suscitare pietà e rimpianto per una giovane vita e una carriera irripetibile immaturamente spezzate e, proprio per questo, oggetto di ammirazione e rammarico.


Raffaello, rapito da una bellissima donna con due bimbi, immagina il quadro della Madonna della seggiola (1849); Torino, GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea.

Si moltiplicano così i quadri con Raffaello morente, con il pontefice che gli rende omaggio sul letto di morte, fino alla monumentale tela di Pietro Vanni con I funerali di Raffaello che apre la mostra per il cinquecentenario della scomparsa del maestro(52).

Nonostante i cambiamenti di gusto, di stile e i nuovi linguaggi artistici che determinarono in qualche caso una distanza rispetto al mito e al fascino che si era sin lì alimentato, neppure il Novecento riuscì a fare a meno del grande urbinate. Basti dire che un artista della levatura di Pablo Picasso, la cui vita e genialità ebbero punti in comune con quella dell’Urbinate, ma che dal punto di vista stilistico sembrerebbe agli antipodi rispetto all’arte di Raffaello, s’interessò di nuovo ai suoi amori realizzando una serie di stampe intitolate Suite 347, nel corso del 1968, con tono volutamente grottesco(53). Del resto, è noto come la grande arte del Sanzio fosse per il pittore spagnolo un parametro da cui partire, come sintetizza la celebre frase, peraltro veritiera: «A dodici anni dipingevo come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino». Tuttavia, quello di Picasso non è un caso isolato e se la relazione fra i due grandi si basa su un comune sentire che, poi, il pittore andaluso vorrà negare per il resto della vita, per altri grandi si assiste alla citazione letterale dell’opera del grande urbinate.



Luigi Ontani, Autoritratto come Raffaello (1972); Rivoli (Torino), Castello di Rivoli - Museo d’arte contemporanea.

Infine, altri due riferimenti: l’Autoritratto come Raffaello di Luigi Ontani e, diciamo così, il suo più recente aggiornamento che è il Self-Portrait as a Self-Portrait (after Raffaello Sanzio) di Francesco Vezzoli. Quest’ultima opera va inserita nel filone di ricerca dell’identità italiana attraverso la memoria televisiva della Rai, più volte evocata nelle mostre dell’artista bresciano.

Il recupero della figura di Raffaello nella sua accezione mediatica, infatti, emerse quando la Rai lanciò un personaggio destinato a grande successo come Raffaella Carrà. Così, infatti, la soubrette spiegò la nascita della sua immagine televisiva: «Il mio nome d’arte fu un’idea del regista Dante Guardamagna, appassionato d’arte, che associò il mio vero nome, Raffaella, che ricorda il pittore, Raffaello Sanzio, al cognome dell’artista Carlo Carrà ». Una conferma in questo senso è l’autoritratto di Vezzoli appena ricordato, arricchito con la seguente chiosa: «Raffaello Carrà, due miti in un caschetto»(54). Infatti, l’acconciatura della soubrette - che, come ricordò lei stessa, fu voluta da Gianni Boncompagni e inventata dal parrucchiere Jill Vergottini - era ispirata ai capelli del grande pittore urbinate, ormai divenuto un’icona anche del XX secolo e pronto a esserlo di quello successivo, anche se segnato dalla pandemia.


Francesco Vezzoli, Self-Portrait as a Self-Portrait (after Raffaello Sanzio) (2013).

(48) Mantova, Archivio di Stato, Archivio Gonzaga 864, c. 551r-v. Per il testo trascritto: J. Shearman, Raphael in Early Modern Sources, New Haven- Londra-Roma 2003, pp. 575-578.

(49) Si può leggere sulla tomba del Sanzio: «ILLE HIC EST RAPHAEL, TIMUIT QUO SOSPITE VINCI RERUM MAGNA PARENS, ET MORIENTE MORI» Ossia: «Qui giace quel Raffaello dal quale, lui vivente, la Gran madre di tutte le cose temette di esser vinta, e ora che è morto, di morire lei stessa ». Il testo sta anche in: G. Vasari, op. cit., p. 640. Per gli aspetti filologici: S. Pagliaroli, L’epitaffio di Pietro Bembo per Raffaello, in Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento, catalogo della mostra (Padova, Palazzo del Monte di pietà, 2 febbraio-19 maggio 2013), a cura di G. Beltrami, D. Gasparotto, A. Tura, Padova 2013, pp. 292-300. Pagliaroli contrasta l’ipotesi, nota fin dal 1911 e proposta da Domenico Gnoli, che l’epitaffio sia stato composto da Antonio Tebaldeo. Sul tema dei funerali e della sepoltura: M. Lafranconi, Ille hic est Raphael. La morte di Raffaello nelle parole dei contemporanei, in Raffaello 1520-1483, catalogo della mostra, cit., pp. 43-53.

(50) Sul Ritratto di giovane di Cracovia è Meyer zur Capellen (The Paintings. The Roman Portraits. 1508-1520, cit., III, pp. 94-99) che avanza questa convincente identificazione come autoritratto.

(51) Fra le varie ipotesi c’erano quelle che identificavano l’uomo con la spada con Francesco Penni, con Giulio Romano, oppure con Giovan Battista Branconio. L’identificazione con Sebastiano da Sangallo è nata nell’ambito del proficuo scambio di opinioni fra Pietro Di Loreto, Claudio Strinati e chi scrive che ha accolto con entusiasmo l’ipotesi. Un sintetico, ma preciso stato degli studi, incluse le possibili identificazioni è in: E. Parlato, Scheda I. 9, in Raffaello 1520-1483, catalogo della mostra, cit., pp. 66-67.

(52) Sul rapporto fra Ingres e Raffaello: M. F. Apolloni, Ingres, fascicolo monografico allegato ad “Art e Dossier”, n. 86, gennaio 1994, pp. 6-7, 24- 27, 32-33. Su I funerali di Raffaello dipinti da Vanni: M. Forti, Scheda I. 7, in Raffaello 1520-1483, catalogo della mostra, cit., pp. 65-66.

(53) Sulla serie di Picasso: Suite 347, catalogo della mostra (Cremona, Museo civico Ala Ponzone, 5 aprile - 28 giugno 2009), a cura di I. Iotta, D. Migliore, Cinisello Balsamo 2009.

(54) https://www.lofficielitalia.com/arteitalia-francesco-vezzoli-intervista.

RAFFAELLO. I RITRATTI
RAFFAELLO. I RITRATTI
Marco Bussagli
Pittore e architetto, fu uno dei più famosi artisti del suo tempo, mitizzato già in vita, oggi ritenuto tra i massimi artefici del Rinascimento. In questo dossier affrontiamo la sua attività di ritrattista, genere nel quale eccelleva e che contribuì fortemente al suo successo. Potenza, monumentalità, eleganza, aderenza alla fisionomia del soggetto erano le caratteristiche che contraddistinguevano i ritratti di Raffaello da quelli di altri artisti del suo tempo, quasi una garanzia di “eternità”.