L’ULTIMA STAGIONE

L’idea di un ritratto contestualizzato, come quelli dei grandi affreschi che abbiamo esaminato, la ritroviamo pure in due grandi opere che sono altrettanti capolavori: la Madonna di Foligno e la Madonna sistina.

Non si tratta solo dell’impiego della modella per la Vergine, da ricondurre, come si è detto, alle fattezze della Velata, ma della collocazione nella scena del committente che risulta spettatore, se non comprimario della scena rappresentata. Naturalmente, la novità non è la presenza del committente nel dipinto, perché i committenti compaiono fin dal Medioevo in quadri e polittici, ma si tratta del modo con il quale vengono inseriti nel contesto dell’opera. Sarà appena il caso di ricordare che i due grandi affreschi della Stanza della Segnatura trovano la loro radice nella successione dei personaggi-modelli morali che comparivano negli studioli come quello di Federico da Montefeltro nel Palazzo ducale di Urbino e in quello di Gubbio. A prima vista è praticamente impossibile individuare questo legame che, però, è sostanziale. La vera differenza sta nella soluzione adottata: è come se gli uomini dipinti sulle tavole che concludevano la decorazione degli studioli federiciani si fossero animati sulle pareti della prima stanza vaticana. Bene, la medesima sorte subiscono i committenti presenti nelle due grandi opere che abbiamo ricordato qualche riga più sopra. Nella Madonna di Foligno c’è un personaggio sicuramente tale: è quello che Vasari chiama il «cameriere di papa Giulio», ma che era, in realtà, il suo “scriptor apostolicus”, Sigismondo de’ Conti, che proveniva da una delle nobili famiglie di Foligno e che aveva il compito di redigere le epistole e i brevi del pontefice(39). All’epoca, il Sanzio era impegnato nell’impresa delle Stanze, ma Giulio II diede al pittore il permesso di accontentare il desiderio di quello che oggi chiameremmo il suo “segretario” che voleva rendere grazie alla Vergine per avergli preservato la casa da un evento portentoso e imprevedibile, un fulmine o una meteora, che avrebbe potuto ridurla in cenere. Sono l’intensità dell’espressione, lo sguardo devoto che incrocia quello di una dolcissima e bellissima Maria a costituire l’essenza di quel «contrafare bene el naturale», cui Raffaello tendeva con tutte le sue forze. Ancor più evidenti sono queste caratteristiche nella figura di san Sisto nella Madonna sistina conservata a Dresda.


Madonna sistina (1512-1513); Dresda, Gemäldegalerie.


Ignoto, Ritratto di Baldassarre Castiglione (1529); Roma, Galleria nazionale d’arte antica - palazzo Barberini.

Conosciuto dal giovane Raffaello alla corte di Urbino, l’umanista mantovano Baldassarre Castiglione può considerarsi una delle figure di riferimento nella vita del grande Sanzio. Al di là della stima e dell’amicizia, giova ricordare che entrambi si trovarono a lavorare al progetto comune della Lettera a Leone X, la cui redazione va fatta risalire ai mesi di settembre, ottobre e novembre del 1519, ma che, di fatto, è il risultato di studi e riflessioni da parte dell’Urbinate, a partire dal 1508. Il ritratto, del 1516, dipinto in occasione del ruolo di Castiglione come ambasciatore dei Gonzaga presso la corte pontificia, rispecchia quegli ideali di bellezza e decoro che la lettera teorizzerà in relazione ai temi dell’antico, ma che si ritroveranno pure nel Cortegiano, dove si tratteggia la figura ideale dell’uomo di corte.


Non abbiamo la certezza della committenza di papa Giulio II, ma è il caso di ricordare che il pontefice, già prima di salire al soglio di Pietro, era legato al monastero di San Sisto a Piacenza cui era destinata la pala e per il quale si adoperò nella raccolta di denaro attraverso le indulgenze, fin dal 1499. I lavori di costruzione della chiesa si conclusero il 24 giugno 1512 ed è allora che va posta la commissione dell’opera a Raffaello la cui realizzazione s’intrecciò con quella degli affreschi delle Stanze vaticane e, verosimilmente, si concluse poco dopo la scomparsa del pontefice. Non è allora un caso che sia lui a prestare il volto a papa Sisto II, ormai santo, e a voltarsi con slancio verso la Vergine, in un gesto di spontaneità che lo rende umano(40).


Ritratto di Baldassarre Castiglione (prima del 1516); Parigi, Musée du Louvre.

(39) Sulla pala vaticana: Raffaello a Milano. La Madonna di Foligno, catalogo della mostra (Milano, palazzo Marino, sala Alessi, 27 novembre 2013 - 12 gennaio 2014), a cura di V. Merlini, D. Storti, Milano 2013.

(40) J. Meyer zur Capellen, Raphael. The Paintings. The Roman Religious Painting, ca. 1508-1520, Ladshut 2005, II, p. 108. Sulla Madonna sistina, si veda pure: M. Bussagli, Dresda. I dipinti della Gemäldegalerie, Udine 2014, pp. 62-65.

La genialità di Raffaello nella capacità di restituire l’essenza della persona ritratta, però, si sposava bene anche con l’attenzione a migliorarne l’aspetto. È il caso del Ritratto di Baldassarre Castiglione, oggi al Louvre. Basterà prendere in considerazione la piccola tavola di autore ignoto con un altro suo ritratto, datato al 1529 e conservato a palazzo Barberini a Roma, per constatare che - senza cappello - l’autore del Cortegiano non può vantare una folta capigliatura. Il che, forse, avrebbe potuto imbarazzarlo in un suo ritratto ufficiale(41). Raffaello rimedia al problema facendo indossare all’umanista un morbido cappello di velluto che ne esalta i tratti del viso e ne arricchisce l’aspetto(42).


Lo sguardo acuto e la posa contenuta rivelano la personalità di Bernardo Dovizi, nato a Bibbiena, nel Casentino, il 4 agosto 1470, che mise la sua capacità diplomatica e spregiudicatezza al servizio di Giovanni de’ Medici riuscendo a farlo eleggere papa l’11 marzo 1513, col nome di Leone X. Il pontefice lo ricompensò con la nomina cardinalizia il 23 settembre dello stesso anno. Tuttavia, il ritratto potrebbe essere stato dipinto in concomitanza con la missione del 1516 presso la corte dell’imperatore Massimiliano I e a questo frangente potrebbe riferirsi l’intestazione della lettera dove si può leggere la frase «Santissimo D[omi]no nostro Pap…».

(41) Ch. L. Frommel, Scheda 35, in Il Rinascimento a Roma…, catalogo della mostra, cit., p. 279.

(42) La tela del Louvre è stata esposta nella mostra del cinquecentenario: V. Farinella, Scheda II. 15, in Raffaello 1520-1483, catalogo della mostra, cit., pp. 117-118.

Altri ritratti di personaggi di livello, da collocare negli anni romani, sono quelli del cardinal Bibbiena che ricorda, per impostazione, quello del cardinale Matthäus Schiner e del cardinale Alessandro Farnese, futuro Paolo III, che è quasi a figura intera. Il Ritratto del cardinal Bibbiena, ridotto a mezzo busto, non è per questo meno monumentale dell’altro, inserito in uno schema compositivo piramidale giustificato dal fatto che il personaggio stringe al petto una lettera su cui si può leggere la frase «Santissimo D[omi]no nostro Pap…», con tutta evidenza riferita a Leone X de’ Medici, sostenitore e sodale del porporato(43).


Sebbene non da tutti gli studiosi considerato autografo, questo ritratto monumentale si pone come momento intermedio fra l’esperienza urbinate del Ritratto di Guidobaldo da Montefeltro e la futura formula romana del mezzo busto (come nel caso del Ritratto del cardinal Schiner). Quasi a negare l’esperienza fiorentina dei ritratti dei coniugi Doni, Raffaello recupera la soluzione della stanza con il paesaggio che si vede attraverso una finestra sullo sfondo. Inoltre, è proprio il paesaggio che, qui, potrebbe fornire un’ulteriore indicazione cronologica ipotizzando uno scorcio del fiume Taro, nel Parmense, sia pur nobilitato dalla restituzione di Raffaello. Il futuro pontefice (sarà Paolo III), infatti, fra il 1509 e il 1512, fu vescovo di Parma.


Ritratto del cardinale Alessandro Farnese (1510 circa); Napoli, Museo e Real bosco di Capodimonte.

Tuttavia, l’opera più importante e rivoluzionaria che Raffaello realizzò in questo torno di tempo è il Ritratto di Leone X con due cardinali (ossia Giulio de’ Medici, futuro Clemente VII, e Luigi de’ Rossi) il cui successo e la cui notorietà è attestata, fra l’altro, da una copia cinquecentesca di dimensioni praticamente identiche al prototipo, firmata da Giuliano Bugiardini, dove il cardinale de’ Rossi fu sostituito dal porporato Innocenzo Cybo(44). Il ritratto eseguito dal Sanzio, dipinto per essere spedito alla cerimonia nuziale (2 maggio 1518) del nipote del papa, Lorenzo de’ Medici duca di Urbino, in vece del pontefice in persona, impossibilitato a parteciparvi, è stato recentemente sottoposto a restauro. I risultati ne hanno confermato la piena autografia, smentendo quanto Giulio Romano riferì ad Andrea del Sarto, vantandosi del proprio intervento pittorico sulla tavola, secondo il racconto di Vasari(45).
Non si pensi, però, che Raffaello abbia ricevuto committenze legate solo all’ambito ecclesiastico. A parte quelle di estrazione civile già ricordate, il grande pittore realizzò, verso la fine della sua carriera, il Ritratto di Navagero e Beazzano. Conservata a Roma nella Galleria Doria Pamphilj, molto probabilmente la tela fu dipinta dal Sanzio a seguito dell’escursione organizzata per diletto da Roma nella vicina Tivoli, nella primavera del 1516, dagli amici di Andrea Navagero, tra cui lo stesso Raffaello. Lo scopo era quello di salutare, con la dovuta enfasi, Andrea che si vedeva costretto a lasciare l’Urbe perché nominato bibliotecario della Repubblica di Venezia. Con lui, nel quadro, si vede Agostino Beazzano - o Beaziano, secondo le varie trascrizioni, diplomatico e prelato, che era nella Città eterna al seguito del Bembo e faceva parte dell’allegra brigata. Dal che, deriva la denominazione di Doppio ritratto(46).
Alla fine di questa lunga carrellata di personaggi e di volti, piace ricordare altri due esempi che introducono il tema dei collaboratori di Raffaello che intrecciano i loro pennelli con quelli del maestro stesso, che tuttavia, per motivi di spazio, non si può sviluppare. A questa collaborazione appartengono splendide opere come il Ritratto di Giovanna d’Aragona (Parigi, Louvre), oppure quello di Giovane donna conservato a Strasburgo (Musée des Beaux-Arts), recentemente esposto nella mostra di Roma dedicata al grande artista, che hanno visto la collaborazione di un pittore del livello di Giulio Romano(47).

Raffaello e Giulio Romano, Ritratto di Giovanna d’Aragona (1518); Parigi, Musée du Louvre.


Raffaello e Giulio Romano, Ritratto di giovane donna (1518-1519); Strasburgo, Musée des Beaux-Arts.

(43) Sul quadro: M. Braghin, Scheda V. 34, ivi, p. 262.

(44) S. Mastrofini, Scheda 2, in Il Rinascimento a Roma…, catalogo della mostra, cit., pp. 267-268.

(45) G. Vasari, op. cit., pp. 712-713. Non si può qui riportare l’intero passo da Le vite, ma vale la pena di ricordare che il contesto è quello per cui Andrea del Sarto si vede commissionata da Alessandro de’ Medici una copia del Ritratto di Leone X per Federico II duca di Mantova (quello che, ragazzino, compare nell’affresco della Scuola d’Atene), cui viene inviato senza dire che è una copia. Un bel giorno Andrea del Sarto e Giulio Romano si trovano davanti al quadro perché il duca vuole mostrarlo trionfalmente. Allora, in modo non troppo discreto, il pittore fiorentino rivela di averlo dipinto lui. A quel punto, Giulio (che mesi prima aveva lodato l’opera come l’originale, dinanzi al duca), per non perdere la faccia, dice: «Come non [è vero]? Non lo so io che vi riconosco i colpi che vi lavorai su?». Sul capolavoro di Raffaello: F. P. Di Teodoro, Scheda V. 1, in Raffaello 1520-1483, catalogo della mostra, cit., pp. 250-251. Sul restauro dell’opera: C. Castelli, M. Ciatti, L. Ricciardi, A. Santacesaria, O. Sartiani, Il Ritratto di papa Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, ivi, pp. 501-511.

(46) M. Bussagli, Scheda 32, in Il Rinascimento a Roma…, catalogo della mostra, cit., p. 278. Sul Ritratto di Navagero e Beazzano: J. Meyer Zur Capellen, op. cit., III, pp. 130-135.

(47) Sul Ritratto di Giovanna d’Aragona, Meyer zur Capellen (The Paintings. The Roman Portraits. 1508-1520, cit., III, pp. 150-155) condivide l’opinione della doppia mano di Raffaello e Giulio Romano. Sul ritratto di Giovane donna conservato a Strasburgo, che pure vede la collaborazione di Giulio Pippi, si veda: R. Aliventi, Scheda VII. 4, in Raffaello 1520-1483, catalogo della mostra, cit., pp. 311-312.

RAFFAELLO. I RITRATTI
RAFFAELLO. I RITRATTI
Marco Bussagli
Pittore e architetto, fu uno dei più famosi artisti del suo tempo, mitizzato già in vita, oggi ritenuto tra i massimi artefici del Rinascimento. In questo dossier affrontiamo la sua attività di ritrattista, genere nel quale eccelleva e che contribuì fortemente al suo successo. Potenza, monumentalità, eleganza, aderenza alla fisionomia del soggetto erano le caratteristiche che contraddistinguevano i ritratti di Raffaello da quelli di altri artisti del suo tempo, quasi una garanzia di “eternità”.