I contrasti luministici rapidamente si attenuano, le atmosfere si alleggeriscono, le scene conviviali diventano sempre più allegre
Firenze e la Galleria degli Uffizi hanno molti motivi per allestire questa mostra, dal momento che il museo fiorentino possiede il maggior numero di opere del periodo italiano di Honthorst rispetto a qualsiasi altro museo al mondo. Il granduca Cosimo II fu un suo grande estimatore e si deve soprattutto a lui se la città oggi possiede le tre scene conviviali eseguite nella penisola: Cena con sponsali, Buona ventura e Cena con suonatore di liuto, quelle “cene allegre” che colpirono il Lanzi alla fine del XVIII secolo, capisaldi e prototipi per le future, fortunatissime riproposte (anche da parte dello stesso Honthorst in Olanda) di tali temi. Inoltre agli Uffizi c’è il lacerto dolente dell’Adorazione dei pastori, la grande pala che Honthorst eseguì per l’altare della cappella di famiglia di Piero Guicciardini nel coro di Santa Felicita a Firenze, e che è stata una delle opere danneggiate dall’attentato terroristico del maggio 1993.
Gli anni italiani di Gherardo sono quelli irripetibili dell’esplosione caravaggesca, gli anni in cui da ogni parte d’Italia, dalla Francia, dalle Fiandre giungevano a Roma ondate di artisti, sicuri di poter trovare nella città pontificia occasioni di studio e di lavoro che nessun’altra città in Europa poteva consentire. La precedente educazione artistica presso Abraham Bloemaert (la stessa avuta da Terbrugghen, già in Italia da qualche anno prima rispetto all’arrivo di Honthorst) viene rapidamente cancellata dagli stimoli e dalle novità che Roma offriva.
Agli Uffizi, nella prima sala della mostra, in cui vengono esposte opere di pittori che costituiscono precedenti importanti per Honthorst (come Luca Cambiaso), sono presenti dipinti di artisti attivi a Roma nel momento dell’arrivo del pittore olandese, che possono averlo impressionato per le violente soluzioni luministiche come la Deposizione di Lucca di Paolo Guidotti e la grande e sorprendente Negazione di san Pietro della collezione Spier a Londra (per la prima volta presentata in una mostra), al momento l’unica opera riconducibile alla stagione italiana di Terbrugghen.
Già in questa prima sala, a confronto con questi dipinti, è collocato uno dei grandi quadri della prima fase di Honthorst, quella segnata da un luminismo molto violento e da atmosfere più crude, nordiche, che appunto possono avvicinarlo a Terbrugghen e al misterioso autore della Derisione di Cristo della chiesa dei Cappuccini di Roma: la Preghiera di Giuditta prima di uccidere Oloferne della Galleria Aaron di Parigi (anch’essa per la prima volta esposta), cui seguono, per rappresentare questo periodo iniziale del pittore, che dura probabilmente fino al 1614, il Cristo morto con due angeli del Palazzo reale di Genova, la Cena con sponsali della Galleria degli Uffizi e Gesù nella bottega di san Giuseppe della Bob Jones University di Greenville.
Intorno alla metà del secondo decennio del Seicento lo stile del pittore matura verso un linguaggio di grande solennità caravaggesca e di equilibrata tensione stilistica, che lo faranno particolarmente apprezzare da coloro che saranno i suoi principali committenti a Roma: da una parte i fratelli Benedetto e Vincenzo Giustiniani (massimi collezionisti di opere caravaggesche), dall’altra l’ordine religioso dei carmelitani.
Per Vincenzo Giustiniani, Honthorst eseguirà il meraviglioso Cristo dinanzi a Caifa, che la National Gallery di Londra ha eccezionalmente prestato per questa mostra. Per i carmelitani il pittore realizzerà la pala per la chiesa genovese di Sant’Anna (Santa Teresa incoronata da Cristo, del 1615 probabilmente), a Roma la famosa Decollazione del Battista nella chiesa di Santa Maria della Scala (1618) e la grande pala con San Paolo rapito al terzo cielo (1617) di Santa Maria della Vittoria: le prime due sono in mostra (la terza, per le sue grandi dimensioni, è inamovibile) insieme a un’altra pala romana, la straordinaria Madonna in gloria con i santi Francesco e Bonaventura e la committente Flaminia Colonna Gonzaga della chiesa dei Cappuccini di Albano, firmata e datata 1618.
Oltre a questi grandi capolavori pubblici, in mostra è una sequenza clamorosa di dipinti capitali della stagione italiana, attestanti il livello di qualità e di profondità espressiva, nonché la sofisticata gestione delle luci provocate dalle candele e dalle torce, che Gerrit raggiunse nel secondo lustro del secondo decennio: dalla Derisione di Cristo del Los Angeles County Museum al Sansone e Dalila del Museum of Art di Cleveland, dal Cristo nell'Orto degli ulivi al Gesù nella bottega di san Giuseppe, entrambi provenienti dall’Ermitage di San Pietroburgo, dalla Negazione di san Pietro del Musée des Beaux-Arts di Rennes all’Orfeo del Palazzo reale di Napoli, alle tele già citate degli Uffizi delle quali non è ancora stata menzionata la celebre Adorazione del Bambino.
La successiva fase olandese, cominciata dall’estate del 1620, è connotata nei suoi primi anni da un linguaggio che risente dell’esperienza italiana, sebbene i contrasti luministici rapidamente si attenuino, le atmosfere si alleggeriscano, le scene conviviali diventino sempre più allegre fino all’eccesso; ma la qualità resta molto alta, come testimoniano i pochi, selezionatissimi dipinti che in mostra appartengono alla stagione di Utrecht: la Negazione di san Pietro di Minneapolis, il Figliol prodigo dell’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera e il famoso Violinista allegro del Rijksmuseum di Amsterdam.
Due sale sono dedicate alle opere di pittori contemporanei a Gherardo sulla scena romana, che mostrano rapporti con lui in un fecondo scambio: Dirck van Baburen, anch’egli di Utrecht; Spadarino (il cui Convito degli dei degli Uffizi era stato riferito a Honthorst prima che vi fosse giustamente riconosciuta la paternità del Galli); Bartolomeo Manfredi, come Honthorst autore di fondamentali scene conviviali; Giovan Francesco Guerrieri e Domenico Fiasella, che si cimentarono, forse indipendentemente da Gherardo o in un serrato confronto con lui, in notevoli esperimenti a luce artificiale. Chiude la mostra la sezione che documenta la grande influenza avuta dal pittore sullo sviluppo del filone di pittura a lume di notte, presentando opere di Trophime Bigot, del Maestro del lume di candela, di Francesco Rustici, di Rutilio Manetti, di Adam de Coster, di Mathias Stomer.