Le montagne dell’isola di Citera suggeriscono dimensioni lontane, evocano immagini da sogno che potrebbero, forse, mutarsi in realtà
Ed è proprio un sentimento di malinconia quello che suggerisce Pellegrinaggio a Citera che nel 1717 al pittore valse l’ammissione all’Accademia reale di Francia. Nonostante il titolo, si ritiene che il dipinto illustri il commiato degli innamorati dall’isola sacra al culto di Venere di cui si intravede sulla destra la statua inghirlandata fra gli alberi.
Anche se Watteau si ispira per il soggetto alla commedia di Dancourt, Le tre cugine (rappresentata per la prima volta il 18 ottobre 1700), il dipinto è un’evocazione poetica d’atmosfera, più che l’illustrazione di un episodio specifico. Come accade spesso nella sua pittura, si respira un’aria dolce e malinconica, come se gli amanti fossero sul punto di perdere la loro felicità. Le montagne dell’isola di Citera suggeriscono dimensioni lontane, evocano paesaggi onirici, immagini da sogno che potrebbero, forse, mutarsi in realtà. Giunte all’imbarco, le prime coppie si accingono a salire sulla barca. Qui il pittore gioca a confondere le diverse dimensioni temporali: mentre i protagonisti vestono abiti contemporanei, i due barcaioli hanno l’aspetto di personaggi classici. Allusivamente il viaggio verso l’isola dell’Amore comporta forse la perdita dei normali riferimenti di spazio e di tempo.
Nelle Feste veneziane (1718 circa), che è probabile siano state ispirate da un brano dell’opera intitolata, appunto, Le feste veneziane di André Campra, andata in scena all’Opéra national di Parigi a partire dal 1710, l’autore mostra la propria originalità nei personaggi, nei costumi, nell’ambientazione. Due figure eseguono un solenne minuetto, ma le coppie che stanno intorno sono troppo prese dai loro pettegolezzi e amoreggiamenti per prestarvi attenzione; soltanto il suonatore di cornamusa, che appare triste e stanco e che potrebbe incarnare la figura dell’artista, segue le loro movenze. Nell’uomo che danza, insieme a una donna, Watteau ritrae un suo amico, il pittore Vienghels, mentre il costume indossato dallo stesso uomo potrebbe rimandare a un gioco scherzoso fra lui e la sua dama. La provocante nudità della statua, posta a destra della composizione, offre chiaramente un contrasto ironico con gli atteggiamenti e le vesti elaborate degli attori sulla scena.
Connessa agli incontri amorosi e galanti, si ritrova la forma letteraria della “conversazione” che viene espressa con particolare garbo e tatto nei Piaceri d’amore. In questo contesto, caratterizzato da una natura ampia e rigogliosa, le chiacchiere che i personaggi si scambiano non presentano problematiche morali o edificanti ma si snodano in piena libertà per il gusto dell’intrattenimento, così come detta lo spirito superficiale e frivolo del tempo.
Anche Jean-Honoré Fragonard (1732-1806) segue la tradizione delle “feste galanti” inaugurata da Watteau: ritrae la realtà che lo circonda, caratterizzata da forme sociali affettate e scontate in cui la banalità dei rapporti quotidiani viene sublimata e trasformata in gioco. A questa umanità, che è alla ricerca di ogni mezzo utile per sconfiggere la noia determinata dall’assenza di vere passioni, di ideali, dall’assopimento degli interessi culturali, la natura offre l’illusione di un ritorno a una dimensione di spontaneità che renda nobili i comportamenti e i tiepidi sentimenti. Ma il pittore di Grasse va anche oltre: ai suoi quadri aggiunge un “ingrediente” che la sensibilità artistica di Watteau non aveva concepito, l’erotismo. Emblematica, in tal senso, L’altalena (1767), un piccolo capolavoro che gli viene commissionato dal barone di Saint-Julien, tesoriere della Chiesa francese. Il dipinto avrebbe dovuto rappresentare il barone nell’atto di ammirare la propria amante sull’altalena (spinta da un paggio), in una posizione tale da permettergli di vedere le sue gambe o anche di più.