XX secolo. 1
Leonora Carrington

L'ARTISTA
E IL SUO
TOTEM

Leonora Carrington, pittrice surrealista, ha realizzato attraverso memorabili opere visionarie il sogno più grande della sua vita: dare consistenza a illusioni, ombre, desideri e aprire un varco nelle pieghe più oscure dell’animo umano. In un continuo processo di conoscenza, cambiamento, morte e rinascita. In particolare attraverso la propria identificazione con un cavallo bianco.

Giulia Ingarao

«Giovedì, 6 agosto 1943. Credo, ne sono quasi certa, che fu durante la notte che precedette la mia iniezione di Cardiazol che ebbi questa visione: mi trovavo in cima a un piccolo pendio orlato di alberi; sotto di me, sulla strada, c’era un ostacolo simile a quelli che avevo visto tante volte al concorso ippico; accanto a me due grossi cavalli erano legati fra loro. A un tratto un cavallino bianco si staccò da loro; i due grandi cavalli sparirono e sul sentiero rimase solo il puledro che rotolò fino in fondo e vi restò sul dorso, agonizzante. Ero io, il puledro bianco». 

In Down Below(1) (da cui è estratto il brano citato), racconto lucido del suo viaggio negli abissi della follia, Leonora Carrington (1917- 2011) sogna spesso un puledro bianco, figura teriomorfa che incarna il suo desiderio di libertà e identità. È Tartaro il cavallo a dondolo della sua infanzia, il protagonista del racconto La dame ovale(2), dove i due stabiliscono un legame profondo che può associarsi alla zoolatria, al totemismo. Il sogno di fusione e liberazione si compie in Penelope, opera teatrale messa in scena a Città del Messico nel 1957 con la regia di Alejandro Jodorowsky. Al contrario del racconto scritto vent’anni prima, che si conclude tragicamente con la distruzione di Tartaro, nella pièce teatrale il cavallo è diventato amante, strumento di salvezza e fuga dalla casa paterna. Se il puledro bianco rappresenta un desiderio di libertà e di fusione con l’altro per acquisire un’identità nuova e libera da costrizioni sociali e familiari, Carrington è il puledro bianco.


Autoritratto (1937-1938), New York, Metropolitan Museum of Art.

(1) L. Carrington, Down Below, scritto a New York nel 1943 e pubblicato in “VVV” il 4 febbraio 1944 (trad. it. Giù in fondo, Milano 1979).
(2) L. Carrington, La dame ovale, in L. Carrington, La casa del miedo. Memorias de abajo (titolo originale: The house of fear), Messico 1992.

Nel 1939 Leonora Carrington precipita in un incubo da cui riuscirà a riemergere, per ricominciare da zero, solo alcuni anni dopo, in un’altra parte del mondo


Un processo di identificazione che appare già manifesto nel 1937, l’anno del suo incontro con il surrealismo a Londra, dell’“amour fou” con Max Ernst e delle sue prime opere pittoriche e letterarie. Nell’Autoritratto del Metropolitan di New York sembra fare il punto sulla sua esistenza: appare scarmigliata e seduta al centro di una stanza; fuori dalla finestra galoppa libera una giumenta bianca mentre una iena, il suo doppio beffardo, ci osserva con sguardo di sfida. La sua chioma è vaporosa come una criniera al vento, indossa pantaloni da equitazione e il suo cavallo a dondolo non è stato bruciato (come nel racconto La dame ovale) ma riposa, quieto, appeso alla parete. 

Nello stesso anno dipinge un altro autoritratto, Donna e uccello, dove il volto di donna, trasfigurato in quello di una cavalla, osserva un uccellino zampettare sul davanzale della finestra. In entrambi i quadri è il tempo del tramonto, il luogo delle metamorfosi, quando la luce si diparte da esseri e cose perché diventino altro da sé. Un invito ad andare al di là dello specchio per scorgere le diverse «realtà dei mondi possibili»(3), indossando l’identità più confortevole.

Nel Ritratto di Max Ernst, che dipinge due anni più tardi, si legge già il preludio della caduta che per sei mesi la lascerà «agonizzante», imbottita di psicofarmaci, nel manicomio di Santander. 

In quest’opera, Leonora-giumenta appare come paralizzata, ibernata e anche ben custodita in una lanterna che il suo amante regge per farsi luce nel gelido inverno che precede lo scoppio della guerra. Nel settembre del 1939 Ernst viene rinchiuso in un campo di concentramento per stranieri: è tedesco in Francia, perciò da questo momento in poi la sua vita e la sua libertà sono a rischio. Il sogno si è infranto e Leonora Carrington precipita in un incubo da cui riuscirà a riemergere, per ricominciare da zero, solo alcuni anni dopo, in un’altra parte del mondo. 

Nel 1942 è a New York e dipinge Tè verde, un altro autoritratto che racconta il momento di transizione da una vita a un’altra. Sullo sfondo di un giardino all’italiana ritrae una figura femminile in piedi, imbozzolata come un baco da seta e circondata da immagini di morte e rinascita. È avvolta in un manto maculato che la stringe come una camicia di forza mentre, attorno a lei, la natura riprende il suo corso. Ha gli occhi chiusi e le visioni che popolano il suo universo onirico si trasformano nelle immagini che l’accompagnano in un viaggio di rinascita: gli alberi sono colmi di frutti, il sottosuolo è abitato da uova e bozzoli e una cagna con le mammelle gonfie di latte è legata, insieme a un puledro bianco, al tronco di un pero. È proprio in questo periodo che scrive Down Below, la narrazione della propria dolorosa vicenda autobiografica, sollecitata dallo stesso Breton, che rappresenta un esercizio di metabolizzazione del passato più recente. Il leader del surrealismo, ascoltando e leggendo le sue parole, sente di toccare con mano l’esperienza del sogno, della follia, della perdita di sé nella fusione degli opposti: ecco la perfetta incarnazione di “femme enfant” e “sorcière”, colei che può svelargli la più segreta essenza del mistero dell’irrazionale.


Penelope (1957), opera teatrale con testo, scenografa e costumi di Leonora Carrington, regia di Alejandro Jodorowsky.

(3) Tutti i virgolettati sono estratti di interviste con l’artista, cfr. G. Ingarao, Leonora Carrington. Un viaggio nel Novecento. Dal sogno surrealista alla magia del Messico, Milano 2014.

Ritratto di Marx Ernst (1939).


Tè verde (1942).

Ma Leonora prende le distanze dalle interpretazioni freudiane, vuole liberarsi dal ruolo di musa e di intermediario col mondo del sogno che i teorici surrealisti (tutti uomini) vogliono attribuire alle donne del gruppo. Un punto di vista che risulta evidente nella fotografia che Roland Penrose scatta a Lee Miller, Leonora Carrington, Ady Fidelin e Nusch Eluard nel 1937; le quattro donne vengono ritratte come belle addormentate: le sognatrici sono allo stesso tempo oggetto del desiderio e del sogno maschile. 

In Messico, dove Carrington vive per quasi settant’anni a partire dal 1943, concepisce una personale visione del mondo che, attraverso una serie di appunti esoterici, inizia a trascrivere nelle sue opere. Approfondisce gli studi di alchimia, si accosta al buddismo tibetano, all’ermetismo e alla cabala ebraica; si interessa alla psicologia junghiana ed è soprattutto attratta dal processo di metamorfosi spirituale. I suoi quadri e i suoi testi diventano elaborazioni di sogni, visioni che la visitano di giorno e notte: «Per me i sogni posseggono alcune qualità che è fondamentale conoscere. Talvolta uno stesso sogno contiene messaggi che vanno a toccare punti differenti del nostro mondo interiore. Ho trovato molto interessante la definizione dell’ombra in Jung, riflesso negato dall’ego ma elemento imprescindibile per una conoscenza completa dell’essere. L’ombra può considerarsi il primo archetipo, la porta reale per la comprensione». 

Nell’Ora dell’Angelus, un’opera del 1949, l’ombra si anima, diventa eco di apparizioni che, come un’aura, avvolgono le bianche figure femminili impegnate nelle più insolite attività ricreative e domestiche. Una donna, rannicchiata sulla sinistra, guarda con sospetto al suo doppio riflesso dallo specchio, l’immagine rispecchiata diventa realtà dell’immaginazione, dove forme, illusione e ombra hanno la stessa consistenza. Leonora Carrington gioca a mischiare le differenti dimensioni dell’esistere, le deforma e ne stravolge con sapienza i contenuti: «Un gioco che», spiega il poeta surrealista Benjamin Péret, «le ha permesso di accedere al mondo sotterraneo dove, dice lei, può entrare e uscire a suo piacimento».


Chiki, il tuo paese (1947).


L’ora dell’Angelus (1949).

ART E DOSSIER N. 318
ART E DOSSIER N. 318
FEBBRAIO 2015
In questo numero: IL SOGNO I mondi oscuri di Leonora Carrington; Le alchimie di Perahim; Donne e incubi surrealisti; Fantasie settecentesche. ISMAN E PAOLUCCI: la Sistina va difesa dai turisti. IN MOSTRA: Doig, Casati, Gherardo Delle Notti.Direttore: Philippe Daverio