Arte in coppia
Goldschmied & Chiari


la vita
è un trucco

di Cristina Baldacci

Se il contemporaneo tocca terreni minati come religione e politica, la censura è dietro l’angolo. È capitato quasi dieci anni fa a Goldschmied & Chiari, artiste interessate a dire la loro su temi sociali ed eventi spesso insabbiati per manipolare l’informazione e ingannare le coscienze. Con opere caratterizzate, di recente, da singolari effetti illusionistici.

Si sono incontrate alla fine degli anni Novanta mentre lavoravano in camera oscura le due artiste Sara Goldschmied (Arzignano, Vicenza, 1974) ed Eleonora Chiari (Roma, 1971), anche conosciute con la firma “goldiechiari”, che dal 2001 ha siglato il loro sodalizio. Un sodalizio che è stato messo quasi subito alla prova da una vicenda che ha creato non poche tensioni - interne ed esterne alla coppia - e acceso la curiosità mediatica. 

Durante una collettiva al Museion di Bolzano nel 2006, Goldschmied & Chiari presentarono Confine immaginato, una installazione sonora che riproduce l’inno nazionale unito a un “remix” di scrosci d’acqua e rumori di sciacquoni. Mal digerita da alcuni sostenitori di estrema destra, l’opera, e con essa le artiste, vennero denunciate per oltraggio alla bandiera. Ma l’accusa cadde, non essendo l’inno di Mameli considerato un simbolo dello Stato. I detrattori dell’opera però non si diedero per vinti e querelarono di nuovo le artiste per vilipendio al popolo italiano. La Procura accolse questa seconda istanza con la conseguenza che Confine immaginato si trova tuttora sotto sequestro. 

Due anni dopo, il Museion si ritrovò in una simile situazione con la contesa suscitata dalla Rana crocifissa (1988) di Martin Kippenberger. Questi due fatti confermano che nel contemporaneo, nonostante il nostro occhio si sia ormai abituato a immagini massmediali di tutti i tipi e l’arte - come sempre, del resto - ricorra a procedure allegoriche, alcuni argomenti sono ancora tabù, specialmente se toccano la religione e la politica.


Lo scalone monumentale del Museo d’arte contemporanea di villa Croce a Genova con la scritta specchiante La démocratie est illusion (2014), realizzata in occasione della mostra Goldschmied & Chiari. La democrazia è illusione (15 novembre 2014 - 15 gennaio 2015).


Un ritratto di Goldschmied & Chiari.

In Hiding the Elephant Goldschmied & Chiari alludono alle pratiche di occultamento tipiche della politica e dello spionaggio negli anni della Guerra fredda


Il lavoro di Goldschmied & Chiari ruota proprio attorno a temi critici come la sessualità femminile e gli avvenimenti storici rimasti oscuri o irrisolti, che le due artiste affrontano con arguzia raggiungendo esiti mai banali, né retorici. 

Per parlare del desiderio e dell’erotismo delle donne hanno trasformato una serie di tipici articoli da sexy shop in una costellazione di oggetti e simboli surreali, calati in una dimensione altra come lo spazio (Cosmic Love, 2007-2008; Space Is the Place, 2010), ingranditi a dismisura (Oggetti non identificati, 2007- 2008; Enjoy, 2006), oppure messi a confronto con giocattoli e ninnoli allusivi (Objets du désir, 2006). 

La loro indagine ha poi assunto toni più marcatamente sociali e gender prendendo di mira alcuni stereotipi culturali. In due lavori del 2002, Cu cu e Senza titolo #17, accostano la pratica femminile del ricamare a uncinetto, che per generazioni si è tramandata da nonna a nipote (c’è qui anche un ricordo autobiografico che riguarda una delle due artiste), al terrorismo: il frutto del lavoro è di fatto un passamontagna da guerrigliero che le due artiste indossano. In un’opera successiva, Dump Queen (2008), mettono invece in scena una pungente pantomima che mina il cliché della bellezza esotica. Una danzatrice svedese impersona Carmen Miranda, icona femminile brasiliana degli anni Quaranta, e si lancia in una sensuale quanto assurda danza tra i cumuli di spazzatura di una discarica. 

Di recente, l’attenzione di Goldschmied & Chiari si è rivolta sempre più alla storia e alla memoria. Con il ciclo Genealogia di Damnatio Memoriae, iniziato nel 2009, le due artiste hanno avviato una riflessione sull’antitetico legame tra ricordo e oblio, tra ciò che la nostra memoria tende a ricostruire o, viceversa, a rimuovere. Alla base di questo lavoro, realizzato in più versioni, c’è sempre una stessa, fondamentale azione: l’incidere sul tronco di uno o più alberi date e nomi di luoghi e persone che rievocano momenti bui della storia del Novecento, come la seconda guerra mondiale o il terrorismo anni Settanta. Ciascuna incisione, pur essendo un gesto semplice e per certi versi anche effimero, è una ferita aperta, un segno profondo, che riattiva la memoria creando un anti-monumento - o anche contro-monumento secondo la definizione coniata da James E. Young nel 1992 -, che vive e si modifica nel tempo. 

Per “riflettere” - qui è proprio il caso di usare questo termine non solo nel senso di soffermarsi a pensare, ma anche di rivelare - sul nostro rapporto con il passato e la crisi di identità e memoria che caratterizza la società contemporanea, Goldschmied & Chiari usano spesso superfici specchianti. Come in Hiding the Elephant (2014), che riprende il titolo da uno spettacolare trucco di Houdini, che nel 1918 a New York fece sparire un elefante sotto gli occhi increduli di migliaia di persone, e in Medusa Mirrors (2014), una serie di specchi su cui sono stampate foto con nuvole di fumo colorate. 

Entrambi i lavori sono nati dal fascino che le artiste provano per l’illusionismo. 

Nei Medusa Mirrors il fumo come espediente per celare la figura umana è un retaggio del cinema surrealista e dei giochi di prestigio. Quando si guarda allo specchio, lo spettatore vede la sua immagine riflessa, ma soltanto nelle parti dove la superficie non è coperta dalla stampa fotografica. 

In Hiding the Elephant Goldschmied & Chiari alludono alle pratiche di occultamento tipiche della politica e dello spionaggio negli anni della Guerra fredda. I ritratti di centosessanta volti stampati in bianco e nero su specchi ovali ci parlano di persone all’epoca misteriosamente scomparse. Le teste di questi “desaparecidos” pendono dal soffitto appese a un filo e si muovono nello spazio roteando su se stesse. Sono presenze perturbanti e nello stesso tempo familiari, non solo perché tra loro riconosciamo celebri politici, pensatori e artisti, ma anche perché, quando si girano e ci mostrano il loro rovescio, scorgiamo la nostra stessa immagine, che si riflette su una zona dello specchio non stampata. La storia collettiva si avvicina così alla storia del singolo attivando un nuovo processo mnestico.


Medusa Black Mirror (2014), dalla mostra There Is No Place Like Home (Roma, via Aurelia Antica 425, 26-28 settembre 2014).


Hiding the Elephant (2014), dalla mostra La démocratie est illusion (Brest, Passerelle Centre d’Art Contemporain, 8 febbraio - 3 maggio 2014).

ART E DOSSIER N. 318
ART E DOSSIER N. 318
FEBBRAIO 2015
In questo numero: IL SOGNO I mondi oscuri di Leonora Carrington; Le alchimie di Perahim; Donne e incubi surrealisti; Fantasie settecentesche. ISMAN E PAOLUCCI: la Sistina va difesa dai turisti. IN MOSTRA: Doig, Casati, Gherardo Delle Notti.Direttore: Philippe Daverio