TRASGRESSIONI E OGGETTI
DEL GODIMENTO

Nel Medioevo alcune sette cristiane predicavano la comunità delle donne: i nicolaiti, i fibioniti, gli stratiotici, i levitici, i barboriti, la setta di Carpocrate (per cui il pudore era un’offesa alla divinità), i cainiti, gli adamiti (che prescrivevano pubblici accoppiamenti), i picardi, i turlupini e i begardi di Ravenna.

Rimangono avanzi della prostituzione sacra nei culti cattolici dedicati ai santi Paterno, Renato, Progetto, Gille, Rinaldo, Guignolet. Si trovano in Francia, nelle valli della Basilicata e degli Abruzzi e a Oropa in Piemonte, tracce del culto di Guénolé de Landévennec (san Guignolet), il quale aveva ereditato gli attributi di Priapo(11)

Della statua di pietra di san Guignolet, vicina al porto di Brest, si dice che le donne sterili vi si recassero «e dopo di aver stropicciato o raschiato il pene e bevuto di quella polvere infusa in un bicchier d’acqua della fonte, ritornavano colla speranza di esser feconde»(12)

Dulaure descrive la statua di san Guignolet a Montreuil, adorata ancora nel 1779: era la statua di un santo nudo del tutto, con un membro mostruoso e posticcio, oggetto di adorazione. A Oropa si diceva esistesse un dirupo fallico, su cui le donne sterili avrebbero appoggiato le proprie schiene per divenir feconde. Sculture e manufatti in pietra e osso con evidenti forme falliche vengono realizzati già nella preistoria. Alcuni oggetti sono stati rinvenuti nella Gorge d’Enfer, nella regione francese dell’Aquitania. Non si sa fino in fondo se fungessero solo da feticci, attrezzi da lavoro, o se venissero utilizzati per procurare piacere, una sorta di dildo(13) ante litteram, impiegati come sostituti dell’organo maschile. I dildo erano sicuramente utilizzati come stimolatori sessuali nell’antica Grecia, chiamati “olisboi”, intagliati nel cuoio dai calzolai. A Roma erano anche legati a culti priapici, e utilizzati come ex voto per il recupero della potenza sessuale o della fertilità matrimoniale. Il dildo è l’oggetto filosofico attorno a cui Paul Preciado sviluppa il suo Manifesto contra-sessuale(14)

La contra-sessualità, intesa come fine della Natura, è frutto di un’analisi critica della differenza di genere e di sesso prodotta dal contratto sociale eterocentrico. Nel contratto contra-sessuale, i corpi non si riconoscono in quanto uomini o donne, ma in quanto soggetti parlanti. La decostruzione della naturalizzazione delle pratiche sessuali e del sistema dei generi vede la sessualità come tecnologia e afferma che «in principio era il dildo». Affermare ciò significa decretare la fine del corpo come è stato definito dalla modernità.


Fakir Musafar, The Collar, Self-Portrait (1962).


Sheree Levin e Bob Flanagan, Improvisation with Food and Poetry (1981).

(11) La sua reputazione priapica deriva dalla confusione del suo nome con il latino “gignere”, che significa generare.
(12) Da Armando delle Meuse, Aneddoti relativi alla rivoluzione. Riportato in G. Ferrero e C. Lombroso, La donna delinquente: la prostituta e la donna normale, Torino 1903, p. 242.
(13) L’etimologia del dildo potrebbe derivare dall’italiano “diletto”. Ma è più probabile che l’origine provenga dalla parola inglese “dil doul” (“pene eretto”). Una vecchia ballata statunitense del XVII secolo si intitola The Maids Complaint for Want of a Dil Doul (“Il lamento delle fanciulle per difetto di un pene eretto”). Nel XIX secolo molti medici prescrivevano alle pazienti l’uso regolare del dildo per curare l’isteria femminile ed evitare accumuli pulsionali. Attualmente sono stati messi sul mercato i “teledildo”, ovvero dei giocattoli sessuali, spesso di forma fallica, azionati per mezzo di computer e rete internet.
(14) P. Preciado, Manifesto contra-sessuale, Milano 2002.

La disciplina contrasessuale ha un suo riflesso nell’opera di artisti come Ron Athey (Groton, 1961), Fakir Musafar (Aberdeen, 1930 - Menlo Park, 2018), Xhang Huan (Shanghai, 1965) e Bob Flanagan (New York, 1952 - Los Angeles, 1996). Emblematica nel Manifesto contra-sessuale è la performance di Ron Athey: Ano solare (1999). Nell’opera omonima del 1927 Georges Bataille scriveva: «Gli occhi umani non sopportano né il sole, né il coito, né il cadavere, né l’oscurità, ma con reazioni differenti»(15)

Ron Athey negli anni Ottanta aderisce a Modern Primitive, un movimento legato al sadomasochismo e alle modificazioni corporali. Athey è un performer, le cui opere hanno subìto censura per le sue provocazioni, nate dall’essere sieropositivo e omosessuale, in contatto col suo pubblico. Cresciuto tra fanatici religiosi, legati a una tradizione pentacostale, reinterpreta le torture inflitte a san Sebastiano e rifiuta l’omertà sull’HIV. In Ano solare Athey si fa tatuare un sole nero attorno all’ano, mentre si applica una genitortura accurata, iniettandosi una soluzione salina nei genitali. Salito su una sedia sacrificale, con una canna estrae un filo di perle bianche dal suo ano, per poi iniziare un rapporto sessuale con due dildo applicati alle scarpe con tacchi che indossa. 

Il Manifesto contra-sessuale di Preciado propone esercizi ispirati alla logica del dildo, che trasferiscono la sessualità a zone periferiche e non genitali del corpo, come l’avambraccio. Nell’arte contemporanea il dildo più famoso è certamente quello impugnato da Lynda Benglis (Lake Charles, 1941), come è stato documentato in una fotografia pubblicata su “Artforum” nel 1974.


Xhang Huan, Family Tree (2000); New York, Metropolitan Museum of Art.

(15) G. Bataille, L’ano solare, a cura di S. Finzi, Milano 1998, p. 16.

Marcantonio Raimondi, Figura femminile con dildo (1520 circa); Stoccolma, Nationalmuseum.


Ron Athey (Groton, 16 dicembre 1961).

La ricerca di Monica Bonvicini (Venezia, 1965) analizza la frizione tra il ruolo dell’architettura e gli stereotipi sessisti, in una critica verso un’eredità modernista responsabile anche di una passività di sguardo attribuita alle donne. On the Rack (2019) è un’installazione che richiama il ready-made di uno scolabottiglie di Duchamp, che Bonvicini addobba però con dei peni afflosciati rosa in vetro di Murano. L’opera esiste anche nella versione con membri maschili in erezione, forgiati in vetro trasparente. Il femminismo ha agito visivamente per la castrazione dell’erotismo “mainstream”, che ha contribuito a danneggiare l’identità della donna, costruita dalla civiltà in generale secondo stereotipi che permeano l’immaginario sessuale pornografico più venduto. 

Negli anni Trenta, invece, Hans Bellmer sonda la sua ossessione al confine tra vizio e innocenza. Crea “poupées”(16) a grandezza naturale, corpi violati, smembrati o deformati, composti in varie declinazioni e grottesche pose plastiche, cercando di far affiorare gli aspetti spiazzanti della realtà e del desiderio. Le sue bambole, simulacri congelati in una fissità drammatica, portano a galla i diversi disagi sociali ed esistenziali di cui si fanno portatrici. Paiono provenire dai territori del sogno, dalle pulsioni del corpo, parlano il muto linguaggio di tutto ciò che rimane inconscio.


Monica Bonvicini, On the Rack (2019).

(16) Le “poupées” sono tratte da un paio di bambole di legno articolate del XVI secolo conservate al Kaiser Friedrich Museum di Berlino, fabbricate secondo il principio di “ball joint”.

Nel 1934 Bellmer pubblica un libro in cui dieci scatti in bianco e nero delle bambole colte in pose diverse lasciano intravedere un ossessivo erotismo senza filtri, denso di tensione psichica, che attirerà l’attenzione di André Breton e del movimento surrealista. Il simulacro erotico incarnato dalla statua di Pigmalione evolve nel corso dei secoli solo nella forma ma non nel contenuto malcelato, così che il desiderio maschile possa ancora crearsi da sé un oggetto del desiderio su misura, che obbedisca a ogni comando del demiurgo-maschio-padrone, ben camuffato dalla maschera dell’amore. 

Attraverso la serie di fotografie Still Lovers (2001-2004) Elena Dorfman entra nelle case delle persone che condividono la loro quotidianità domestica con realistiche bambole erotiche a grandezza naturale. Sonda i legami che si instaurano tra umani e donne sintetiche, perfettamente riprodotte, cercando di comprendere quali potrebbero essere i rapporti sentimentali del futuro. Ritrae scene convenzionali di vita domestica, altre declinazioni dei rapporti amorosi e di erotismo. I surrogati sintetici sono considerati come creature desiderate e idealizzate, oggetti-feticcio dotati di una “vita propria”, condivisa da partner in carne e ossa. Ci sono già molte persone che, avendo problemi ad avere relazioni con persone reali, preferiscono giocare e vivere con bambole gonfiabili 2.0. Questo lavoro porta a riconsiderare la tradizionale visione di amore e riflettere sul valore di un oggetto in grado di sostituire un essere umano. L’artista non enfatizza la devianza rappresentata dai surrogati sessuali, ma cerca di svelarne il lato nascosto. Ritrae l’intimità tra carne e silicone.


Elena Dorfman, fotografia dalla serie Still Lovers (2001-2004).


Hans Bellmer, tavola da La Poupée, (1936), New York, MoMA - Museum of Modern Art.

L’immaginario cyborg, unione di carne e macchina, è stato condensato filosoficamente in Simians, Cyborgs, and Women: The Reinvention of Nature da Donna Haraway, un testo sulla invenzione o reinvenzione della Natura. Il cyborg è tutt’altro che un’entità neutrale, poiché investito/a da necessità politica, che determina il suo potenziale. Una delle grandi promesse del cyborg per il femminismo è quella di contrastare il dualismo ontologico e la costruzione eteropatriarcale delle soggettività, che sono la norma della società occidentale. Il cyborg è “post-gendered”, «un organismo cibernetico, un ibrido tra macchina e organismo, una creatura della realtà sociale e una creatura della finzione». 

Il termine cyborg, diminutivo per “organismo cibernetico”, è stato usato per la prima volta nel 1960 in un articolo scritto dai due scienziati NASA, Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline, dove si immaginava la sopravvivenza di esseri umani in ambienti ostili, quali lo spazio extra-terrestre. Il primo bio-organismo definito cyborg è stato un topo di laboratorio con una pompa osmotica attaccata sotto la pelle, che faceva parte della ricerca di Clynes e Kline. I due scienziati, riflettendo sullo stato cyborgiano potenziato del ratto, scrivono: «Come tutti i cyborg, questo ratto bianco ha qualcosa in più, quel segno di eccesso che segna la creatura come “trans” rispetto a quello che una volta era considerato normale e naturale» (1960). 

La pompa osmotica immetteva sostanze chimiche nel flusso sanguigno dell’animale, ignaro dell’esperimento condotto su di sé, il che contrasta con il cyborg di Haraway, che è un agente auto-riflessivo e consapevole di sé. Il potenziale cyber-femminista, che ha una dimensione totale di rottura con lo stato di fatto, è controbilanciato da una rappresentazione del cyborg nei media perfusa con intenzioni patriarcali rispetto ai cyborg come “soggettività incarnata” (le teorie femministe riconoscono il posizionamento del soggetto come punto di partenza analitico che incorpora le sue varianti di genere, classe, razza, geografia, producendo un sapere “situato”, ovvero non astratto o universale o “museale”). Secondo questa lettura, l’erotismo immesso negli androidi ultra-femminili di Blade Runner (1982) farebbe della pellicola un esempio di pornografia fantascientifica(17), nella sua intenzione conservatrice di bloccare l’erotismo in una dimensione moralmente spalmata, dall’epoca vittoriana in poi, sulla popolazione mondiale, coadiuvata dall’economia capitalistica. 

L’Inghilterra vittoriana produsse stereotipi di alto moralismo (criticati anche dal filosofo francese Michel Foucault come “ipotesi repressiva”). Emblematico è l’ideale virginale dell’“angelo della casa”, termine coniato da Coventry Patmore nel suo poema omonimo nel 1854, a cui fece seguito l’ideale morale della domesticità femminile. L’ideale della purezza sessuale della donna ebbe un’influenza sulla legislazione, in particolare promuovendo condizioni differenti per l’uomo e per la donna in merito al divorzio, ma contribuendo altresì alla diffusione della prostituzione.


Una “replicante” da Blade Runner (1982), di Ridley Scott.

(17) In Metropolis (1927) Fritz Lang immagina il primo cyborg della storia del cinema, ovvero Hel, la versione meccanica della protagonista Maria (vengono presi i caratteri intellettivi di un essere umano, e poi, sulla base di quelli, si istruisce una macchina), che ispirerà film cult del genere distopico, capolavori come Blade Runner e Guerre stellari.

Una dimensione di resistenza alla censura erotica orientata verso un pubblico maschile è quella dei manga, i cui percorsi di distribuzione sono tangenti e alternativi rispetto al mercato principale delle riviste. In particolare, facciamo qui riferimento ai manga erotici riservati a un pubblico femminile, come gli “shoujo” e gli “josei”, che aprono l’immaginario erotico anche a utenti che non sono il target principale del mercato. In un passaggio spazio-temporale, ci muoviamo verso l’afrofuturismo, una corrente nata negli anni Settanta dalle lotte per i diritti civili degli afroamericani. L’immaginario futuro e tecnologico che colpisce è derivato da un essere nel proprio corpo e fuggire da esso, ossia dal conflitto tra un controllo sul proprio corpo e il senso del proprio destino percepito in un certo momento storico(18)

È sulle note del pianista statunitense Sun Ra - tra i pionieri dell’afrofuturismo - che il superamento del concetto di razza viene operato negando l’appartenenza alla razza umana degli afroamericani, che verrebbero da un altro mondo. 

Emblematica è l’opera Xenogenesi di Octavia Butler (Pasadena, 1947 - Washington, 2006), in cui Lilith Iyapo è una superstite dell’olocausto nucleare che ha colpito la Terra. In Ultima genesi (Dawn, 1987), primo capitolo della trilogia, Lilith si risveglia a bordo di un’astronave aliena e scoprirà presto di essere una cavia degli enigmatici Oankali, che vogliono creare un nuovo ibrido umano-alieno. L’erotismo di Butler ha per oggetto l’incontro di una umana con specie extra-terrestri le cui fisicità sono ben distinte da quella umana, per cui l’autrice propone un erotismo extra-spaziale raccontato da una prospettiva femminile. Anche in Bloodchild (1984) Butler racconta di un lontano pianeta in cui vivono sia gli umani sia gli alieni Tlic, che usano i primi per fare schiudere le proprie uova. Quando le uova si schiudono nel corpo dell’ospite, iniziano a divorarlo per nutrirsi. La politica di riproduzione che negava alle donne schiave afro-americane di avere la proprietà dei propri figli è certamente l’origine di questa ricerca di altri pianeti attraverso cui dire degli scempi del pianeta Terra. L’artista Tabita Rezaire (Parigi, 1989) eredita l’immaginario dell’autrice di fantascienza per trasportarlo nell’arte contemporanea. Sugar Walls Teardom (2016) è una sua opera video, che rivela come i più antichi segreti del mondo risiedano negli uteri, la tecnologia originale, collegati all’utero galattico. Rezaire immagina che le prime cellule immortali trovate e lanciate nello spazio siano state rubate ad Ararcha, Betsey e Lucy, tre schiave nere su cui James Marion Sims, considerato il padre della ginecologia moderna, dal 1854 al 1849 eseguì esperimenti per comprendere la malattia delle fistole post-parto. Sims operò le ragazze decine di volte senza fare uso dell’anestesia, benché fosse stata recentemente scoperta, adducendo ragioni razziali come giustificazione. 

Recentemente (gennaio 2020) il coreografo Jean-Christophe Maillot ha immaginato la bella e affascinante Coppél-i.A. (rivisitazione della Coppélia protagonista del balletto ottocentesco di Delibes) nelle sembianze di un cyborg ribelle, una bambola-creatura nata dall’intelligenza artificiale. Ha preso spunto da Der Sandmann (L’uomo della sabbia), un complesso racconto di Hoffmann, indagando l’immaginario dell’automa e il tema dell’ambiguità. Il dottor Coppelius è affascinato dalla sua creatura, la cosa più bella e grandiosa che è riuscito a immaginare e fabbricare, per la quale nutre un gran desiderio, come Pigmalione per la sua statua, tanto da diventare geloso quando si affaccia la possibilità di un amore tra l’automa e il giovane Frantz. Alla fine della storia-balletto, Coppél-i.A., non potendo vivere il suo amore con la persona che desidera, uccide chi l’ha costruita e scappa lontano, per iniziare una nuova vita e inventare un altro futuro, che ora a noi è precluso o solo figurabile dall’immaginazione di chi sta ancora nella concezione del tempo newtoniano.


Sun Ra, Afrofuturism, performance.


Jean-Christophe Maillot, Coppél-i.A. (Monaco, Grimaldi Forum, 27 dicembre 2019 - 5 gennaio 2020).

(18) Demita Frazier in K.-Y. Taylor, How We Get Free. Black Feminism and the Combahee River Collective, Chicago 2019, p. 122.

ARTE ED EROS
ARTE ED EROS
Mauro Zanchi
Il binomio Arte ed Eros permea di sé la storia dell’uomo. Questo dossier ne ripercorre e delinea alcuni aspetti fondamentali e sorprendenti, indagando la presenza dell’erotismo in ambiti inattesi come quello dell’arte sacra. Il viaggio proposto spazia dall’antichità e dalla mitologia classica alle culture extraeuropee, fino ad approdare alla contemporaneità della performance e dei sex toys.