L’EROTISMO DEGLI DÈI

Il mito conduce l’individuo all’originario, alla storia che batte nel cuore da millenni, a qualcosa che ha effetti universali.

Aiuta a comprendere il dipanarsi degli eventi nel filo sottile che collega il passato al futuro. Attraverso la visione poetica, il mito innalza chi ama farsi condurre dalle narrazioni verso l’esperienza creativa della sua genesi e di quella del mondo. Eros è la forza primigenia, l’innesco delle passioni, è il demone(4) che, secondo Plotino, produce in noi i desideri naturali: intreccia le emozioni di coloro che, attraverso l’energia dell’amore, iniziano a vivere e a far accadere storie. Si può amare se stessi, un’altra persona, un ideale, un’utopia, un progetto, la natura, l’universo, insomma qualsiasi cosa, e questo atto mette in azione una serie di eventi, percorsi e possibilità narrative. Ovviamente anche chi è spinto dall’odio fa accadere storie. E nella coazione tra le due forze antagoniste la trama si intreccia all’ordito e dà corpo al tappeto delle letterature. Attraverso il mito si varca anche una soglia simbolica, entrando in quella dimensione che connette più mondi, quello degli dèi e dei morti e quello delle persone e della vita. Eros permette di comunicare con l’altrove che batte nel corpo di ognuno, da cui la vita proviene e a cui fa ritorno. I personaggi e le narrazioni della mitologia greca mettono in azione tutto il campionario e le innumerevoli sfumature delle emozioni umane. Sono proiezioni della coscienza, svolgimenti del destino, aperture verso l’inconscio e l’enigma del mistero. Il cosmo pulsa tra Eros e ogni frutto dell’amore, ovvero ogni essere che è venuto al mondo attraverso una congiunzione fra amanti. Nonostante le narrazioni mitologiche rappresentassero agli occhi degli uomini di Chiesa tematiche, storie e messaggi non in linea con i fondamenti teologici del cattolicesimo, molti papi, cardinali, vescovi, re, principi e nobili cristiani vollero fortemente che nelle loro dimore vi fossero dipinti, affreschi, statue, codici miniati e oggetti del quotidiano con immagini tratte dalla cultura classica greco-romana.

E non ebbero grandi remore nemmeno nell’accettare raffigurazioni di storie esplicite d’amore, scene erotiche spinte e narrazioni moralmente scandalose, almeno secondo quanto riguardava la visione cattolica. 

Alcuni esempi sono i cicli pittorici realizzati alla Farnesina, ovvero la villa suburbana dei Chigi a Roma, a palazzo Te a Mantova, nel castello del Buonconsiglio a Trento, nel Palazzo vecchio a Firenze, nei palazzi Farnese di Caprarola e di Roma. 

Nella Galleria Farnese, tra il 1597 e il 1606, Annibale Carracci e aiuti immaginano alcuni effetti messi in azione dalle trame misteriose di Eros. Nel ciclo iconografico Amori degli dèi, in un medaglione in finto bronzo ossidato, Eros fanciullo gioca con Pan (“Πάν” è simile a “πᾶν”, che nella lingua greca significa “tutto”). Lottano insieme, ma Amore gli tiene un corno e posa il piede destro sul sesso del satiro. 

La lotta è al contempo sia un’allegoria sia una delle varie declinazioni dell’esistere. Il corno, qui, non è solo una appendice ossea, ma anche un rimando al membro virile del dio panico. Ed Eros lo afferra risoluto. 

La scena è stata letta come traduzione in figura di un verso delle Bucoliche (Egloga X, 69) di Virgilio: «Omnia vincit amor (et nos cedamus Amori)». L’amore vince su tutto. Nel caso della scena immaginata da Annibale Carracci, il soggetto potrebbe essere interpretato come la vittoria dell’amor sacro sugli istinti sensuali, di cui il ferino Pan è simbolo? Potrebbe, ma il contesto in cui è inserita secondo le narrazioni delle Metamorfosi di Ovidio lascia aperta la possibilità che la maggior parte delle scene celebri piuttosto il mito e la potenza dell’amore, e soprattutto l’aspetto edonistico ed erotico. Anche nel gruppo marmoreo del I secolo a.C., ora conservato nel Museo archeologico di Atene, Eros sospinge o tiene Pan per un corno, mentre Afrodite alza un sandalo con la mano destra. Vuole scacciare il dio-capro, il suo approccio ferino o sta giocando con lui? In alcune scene dipinte sui vasi attici il sandalo tenuto in mano è usato come strumento di stimolazione nei giochi erotici(5). La scena principale della volta nella Galleria Farnese è un corteo nuziale, Il Trionfo di Bacco e Arianna, dove gli sposi sono seduti su due differenti carri, uno d’argento e uno d’oro, e accompagnati da un seguito di satiri, menadi, eroti, Pan e Sileno, che danzano e suonano secondo la classica iconografia del tiaso dionisiaco. Tra le scene della volta spiccano alcune storie d’amore sensuale. Il riquadro con Giove e Giunone è tratto dall’Iliade (Libro XIV, 314-316 e 328). Giunone seduce suo marito, per distrarlo, così da indirizzare le sorti della guerra di Troia verso la vittoria dei greci. Con un inganno, la dea si è impossessata della cintura di Venere - in cui risiede ogni magia, amore e desiderio e i dolci umori incantevoli che del saggio fanno un folle - e l’ha indossata appena sotto il seno.


Arte ellenistica, Afrodite, Pan ed Eros (da una casa a Delo) (100 a.C.); Atene, Museo archeologico nazionale.


Annibale Carracci, Omnia vincit Amor (1597); Roma, palazzo Farnese, Galleria Farnese, volta.

(4) «Eros è un gran Dèmone, o Socrate: infatti tutto ciò che è demoniaco è intermedio fra Dio e mortale. Ha il potere di interpretare e di portare agli Dèi le cose che vengono dagli uomini e agli uomini le cose che vengono dagli Dèi: degli uomini le preghiere e i sacrifici, degli Dèi, invece, i comandi e le ricompense dei sacrifici. E stando in mezzo fra gli uni e gli altri, opera un completamento, in modo che il tutto sia ben collegato con sé medesimo». Cfr. Platone, Dialoghi, a cura C. Carena, traduzione di F. Acri, Torino 1993, XXIII, pp. 323-324.
(5) Si veda la scena erotica presente sul vaso attico conservato nel Museo archeologico di Milano.

Annibale Carracci, Giove e Giunone (1597); Roma, palazzo Farnese, Galleria Farnese, volta.
In questa scena il dio degli dèi greci è sedotto da Hera (Giunone), al contempo sua sposa e sorella. Zeus (Giove) incarna il desiderio mutevole di colui che sposta l’attenzione verso più direzioni, tipico di chi è spesso alla ricerca di nuove emozioni per vivere tutte le possibilità e le declinazioni della passione erotica. I numerosi amori che i poeti greci hanno attribuito a Zeus sono anche rimandi a eventi cosmici e naturalistici. La divinità partecipava all’armonia del creato attraverso i molti incontri erotici con le personificazioni e le forze della natura. Le origini della mitologia greca erano asiatiche, e in Oriente vigeva la poligamia. Questa tradizione entra anche nei racconti delle trasposizioni mitologiche.


Annibale Carracci, Ercole e Iole (1597); Roma, palazzo Farnese, Galleria Farnese, volta.
Questa scena è tratta da Ovidio (Eroidi, IX, v. 25 sgg.): Iole seduce e domina Eracle, costringendolo a vestire abiti femminili mentre lei indossa la pelle di leone e tiene la clava del leggendario eroe. La figlia di Eurito, re di Ecalia, ridicolizza Eracle, mettendo in atto la vendetta verso colui che è reo di averle ucciso il padre. Uno studio preparatorio riferito a Iole è conservato nel Musée des Beaux-Arts a Besançon.

L’indumento è prodigioso: fa in modo che chiunque lo indossi assuma una forza seduttiva cui nessuno può resistere. Giove vuole all’istante saziare il suo desiderio focoso, abbraccia con passione la sua compagna, e con voluttà la attira verso il letto nuziale per far l’amore con lei. In Ercole e Iole l’eroe semidivino suona un tamburello mentre la fanciulla indossa la pelle del leone di Nemea e impugna la clava, tipici attributi dell’invincibile Alcide. Eros, intanto, si affaccia da un loggiato, e ride: nemmeno l’uomo forzuto che ha affrontato le dodici imprese può nulla contro il potere e la malìa delle frecce d’amore; Ercole viene devirilizzato e diventa schiavo d’amore di Iole, concedendole qualsiasi suo capriccio o volere. In Aurora e Cefalo, il decrepito Titone giace esausto a terra - Aurora aveva chiesto agli dèi che il suo amato non morisse mai, per poter vivere in eterno la loro passione, ma si era dimenticata di specificare anche di non farlo invecchiare, e quindi col tempo non era più appagata da un uomo ormai senza più virilità - mentre la dea si invaghisce del mortale Cefalo, tanto da volerlo portare via subitamente sul suo carro. In questo racconto il mito allude al mutare dei sentimenti d’amore col trascorrere del tempo. 

Nel ciclo Amori degli dèi compare anche la storia di Selene che ha addormentato il giovane e bellissimo Endimione, per amarlo mentre egli vive eternamente nel sogno. In un’altra scena Venere ha raggiunto a Troia il giovane Anchise, che nella sua stanza comincia a denudare la dea della bellezza prima di far l’amore con lei. In un tondo è raffigurato anche l’abbraccio della ninfa Salmaci con il giovane Ermafrodito, secondo ciò che viene narrato nelle Metamorfosi (Libro IV, 285-388). Rifiutata più volte dal figlio di Ermes e Afrodite, la ninfa prega gli dèi affinché lei divenga tutt’uno con la persona che ama alla follia, sebbene non sia riamata. L’invocazione è accolta e i loro corpi divengono inseparabili, uniti in un unico essere dai caratteri contemporaneamente maschili e femminili.


Annibale Carracci, Diana ed Endimione (1597); Roma, palazzo Farnese, Galleria Farnese, volta.

Annibale Carracci, Venere e Anchise (1597/1606-1607); Roma, palazzo Farnese, Galleria Farnese, volta.


Annibale Carracci, Salmaci ed Ermafrodito (1597-1607); Roma, palazzo Farnese, Galleria Farnese, volta.

Un altro ciclo di affreschi costellato di scene e allusioni erotiche si è ben conservato in numerose stanze del palazzo Te, a Mantova. Spicca soprattutto la sala in cui sono dipinti i vari episodi della novella di Amore e Psiche, secondo la versione narrata da Lucio Apuleio nell’Asino d'oro (II secolo d.C.), ripresa da una tradizione orale antecedente all’autore romano di origini nordafricane. Nella favola di Amore e Psiche, Giulio Romano adombra le vicende private di Federico II Gonzaga, creando un parallelismo tra il racconto mitologico e la storia d’amore reale, ovvero quella tra il marchese di Mantova e Isabella Boschetti, la sua amante, a cui è dedicato il palazzo. Il rapporto extraconiugale è osteggiato da Isabella d’Este, madre di Federico II, quasi come fa Venere quando cerca in ogni modo di allontanare Psiche da Eros. La bellissima fanciulla diventa sposa di Eros senza tuttavia sapere chi sia il marito, che le si presenta sempre e solo nell’oscurità della notte. Quando riesce finalmente a vedere il volto del suo amato si innesca una serie di disavventure, che obbligherà Psiche a superare molte prove, al termine delle quali per fortuna riuscirà a ottenere l’immortalità e a ricongiungersi con il suo sposo divino. Nella sala spicca anche, per quanto concerne l’argomento che stiamo trattando e per come il pittore ha descritto senza veli il membro virile eccitato, la figura di Giove, raffigurato con la coda serpentiforme, colto nell’atto di sedurre Olimpiade, mentre il marito Filippo il Macedone spia dietro la porta ed è accecato dall’aquila col fulmine(6).


Giulio Romano, Eros e Psiche (1526-1528); Mantova, palazzo Te, sala di Eros e Psiche.


Antonio Canova, Amore e Psiche (1787-1793); Parigi, Musée du Louvre.
Canova si è ispirato all’iconografia di un affresco di Ercolano raffigurante una baccante abbracciata da un fauno. La scultura coglie l’attimo che precede il bacio di Amore sulle labbra di Psiche. In quello spazio che sta tra le labbra dei due amanti, estremamente vicine ma non ancora congiunte, è condensato un erotismo sottile e raffinato, in simultanea con il gioco degli sguardi che si contemplano l’un l’altro con dolce intensità, il tocco delle mani, gli sfioramenti e i contatti romantici dei loro corpi adolescenziali, che rendono visibile un desiderio fremente ma non ancora compiuto. L’equilibrio della composizione, le linee di tensione e il dinamismo spiraliforme ricordano le soluzioni compositive della statuaria classica, veicolate pienamente entro i principi estetici del neoclassicismo.

(6) L’episodio è raccontato da Plutarco, in Vita di Alessandro, contenuta nelle Vite parallele (96-120 d.C. circa).

In un’altra sala è visibile Pasifae che, per farsi possedere sessualmente da Giove, si nasconde dentro la vacca appena costruita da Dedalo, qui descritto mentre dà gli ultimi colpi di martello alla sua opera. Di notevole fattura, sia formale sia sul piano iconografico, è il gruppo di quattro opere raffiguranti le avventure erotiche extraconiugali di Giove, commissionate al Correggio da Federico II Gonzaga, duca di Mantova, dipinte tra il 1531 e il 1532. Per sfuggire al controllo e alla gelosia di Giunone, il dio degli dèi si trasforma di volta in volta in entità diverse, alla maniera di Proteo, divinità in grado di mutare la propria sostanza in ogni momento. Penetra nel grembo di Danae in forma di leggere gocce auree, lasciate cadere da una compatta nuvola che sta in sospensione sopra l’alcova, rilasciando la quintessenza dell’elemento celeste, divino, da cui proviene. Si congiunge con Leda dopo essersi trasmutato in cigno, più sensuale che candido, in una copula che si consuma con sensazioni che assommano quelle di un umano e di un animale. Ghermisce Ganimede in un amplesso aereo, mentre conduce l’attraente giovane nell’Olimpo, tenendolo nelle sue grinfie da possente aquila. Abbraccia e bacia la ninfa Io, che si lascia avvolgere dal potere evocativo di un’immensa dimensione vaporosa. Correggio raffigura Io sulla riva di un torrente, abbandonata completamente al suo amplesso amoroso, in estasi, in una posa del corpo nudo che pare simile a quella di Psiche che bacia Amore (I secolo a.C.) scolpita nell’Ara Grimani. Nell’angolo inferiore destro della tela colpisce la presenza della testa di cervo, che sembra provenire dal fuori campo, entrata nella scena per abbeverarsi al torrente. Questo espediente suggerisce al contempo un cortocircuito, che non appartiene alla narrazione del soggetto principale, e stimola l’immaginazione dell’osservatore, così che vengano dilatati i confini della narrazione, evocando anche lo spazio che sta al di fuori del quadro. Il trucco ben si collega idealmente con la sostanza vaporosa che giunge da una dimensione non ben definita, sempre mutevole e in divenire, metafora sottile di qualsiasi metamorfosi immaginata dalla fantasia. 

La ninfa si concede a Giove o alla sostanza immaginale di una sua fantasia erotica, che va al di là di ogni confine definito e di ogni forma? L’incontro con la nube divina coincide con il piacere di lasciarsi avvolgere dall’indecifrabile o di elevarsi nel sopraso stanziale? Accanto a un occhio che osserva ce n’è uno che immagina. Lo sguardo a occhi socchiusi della ninfa è provvisoriamente sospeso nel tempo, mentre lo spazio viene dilatato verso un altrove evocativo. È come se avvenisse un’iniziazione entro una realtà oltrefisica. In qualche modo anche il Narciso di Caravaggio (ma attribuito anche allo Spadarino), chinato verso lo specchio d’acqua che lo rispecchia, si ritrova in una dimensione che lo porta a contemplare intensamente il suo volto, a proiettare una domanda senza risposta. L’artista pone il personaggio entro un formato verticale, che suggerisce un’immagine quasi perfettamente doppia, tanto che capovolgendo la tela l’effetto raddoppierebbe il senso enigmatico che vi è contenuto, in un gioco di letture polisemiche. Narciso è innamorato di se stesso o vede nella specchiatura la proiezione dell’immagine rivelatrice, che ha elaborato nella sua coscienza nel corso del tempo o che abitava dentro la memoria o nel corpo, o che ha ritrovato attraverso una rivelazione inaspettata? Quello che Narciso vede e ama è della stessa natura di quella nube evocativa a cui si è concessa la ninfa Io?


Allievo di Giulio Romano, Pasifae entra nella mucca costruita da Dedalo (1528); Mantova, palazzo Te, sala di Eros e Psiche.
Pasifae è figlia del Sole e della ninfa Perseide, e sorella della maga Circe. L’episodio raffigurato da Carracci coglie il momento in cui la regina di Creta, moglie di Minosse, sta entrando nella vacca di legno per congiungersi col toro. Venere – per vendicarsi del Sole, che l’aveva fatta sorprendere da Vulcano mentre lei era in amoroso colloquio con Marte – indirizza un incantesimo verso Pasifae: le induce un insano trasporto erotico per il bellissimo toro inviato da Nettuno a Minosse. A causa di questo rapporto la regina di Creta partorirà il Minotauro.


Correggio, Leda e il cigno (1530-1531 circa); Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Gemäldegalerie.

Correggio, Giove e Io (1532-1533); Vienna, Kunsthistorisches Museum.


Ara Grimani (I secolo a.C.); Venezia, Museo archeologico nazionale.


Caravaggio o Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino, Narciso (1597-1599 o 1645); Roma, Galleria nazionale d’arte antica - palazzo Barberini.

ARTE ED EROS
ARTE ED EROS
Mauro Zanchi
Il binomio Arte ed Eros permea di sé la storia dell’uomo. Questo dossier ne ripercorre e delinea alcuni aspetti fondamentali e sorprendenti, indagando la presenza dell’erotismo in ambiti inattesi come quello dell’arte sacra. Il viaggio proposto spazia dall’antichità e dalla mitologia classica alle culture extraeuropee, fino ad approdare alla contemporaneità della performance e dei sex toys.