Grandi mostre. 2
L’arte maya a Parigi

UN MONDO
SENZA
FINE

Dopo la rassegna del 2011, al Musée du Quai Branly è in corso una nuova esposizione dedicata all’arte maya che, attraverso la presentazione di opere eccezionali e quattrocento reperti, offre inediti spunti di riflessione su un capitale creativo e culturale sviluppato in circa duemila anni.

Antonio Aimi

Il 7 ottobre scorso si è aperta al Musée du Quai Branly di Parigi la mostra Mayas, Révélation d’un temps sans fin. è la terza mostra sui Maya (in corso fino all’8 febbraio) che si tiene nella capitale francese negli ultimi anni. Nel 2011 lo stesso museo aveva ospitato Maya: de l’aube au crépuscule, che presentava esclusivamente reperti del Guatemala. Nel 2012, invece, era stata la volta della Pinacothèque de Paris con la rassegna Les masques de jade mayas. Le mostre di Parigi, peraltro, sono state la punta dell’iceberg di una serie di altre esposizioni che negli ultimi anni si sono tenute in Europa (Leida, Amburgo, Hildesheim, Rosenheim, Madrid, Valencia ecc.), per non parlare di quelle organizzate in paesi come il Brasile, la Colombia o il Giappone, nei quali, a torto, mai si sarebbe pensato a iniziative sui Maya, o di quelle, ancor più frequenti e quasi sempre itineranti, degli Stati Uniti e del Canada. 

Certamente bisogna mettere in conto il 2012, per i Maya l’anno della fine di uno dei cicli del Conto Lungo, che ha dato un certo impulso a studiare questa cultura(*). Di fronte al fiorire di simili iniziative qualcuno potrebbe chiedersi se il ripetersi di manifestazioni sui Maya potrebbe finire col riproporre gli stessi oggetti. La risposta a questa domanda è al contempo semplice e complessa.


Regina di Uxmal (periodo classico, 300-900 d.C.), Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

(*) Ne abbiamo approfittato anche noi scrivendo l’articolo L’arte alla fine del mondo, in “Art e Dossier”, n. 294, dicembre 2012, non tanto per smentire le teorie catastrofiste – non ne valeva la pena – quanto per fare il punto sui sistemi calendariali dei Maya e, cosa ancor più importante, almeno per i nostri lettori, sulla loro arte.

Nella piattaforma del Tempio XXI si riconosce uno stile nuovo, che accentua l’enfasi sulla linea, appiattisce il bassorilievo e lo tratta come il dipinto di un vaso di stile Codex


Da un lato si può ricordare che le espressioni artistiche della cultura maya, che si sviluppa per un periodo di circa duemila anni, sono così varie e articolate che, analogamente a quello che si potrebbe dire delle culture europee, possono alimentare una serie di esposizioni non ripetitive ben più lunga di quella di cui abbiamo parlato sopra. 

Dall’altro occorre dire con franchezza che le mostre dipendono da chi le fa e che effettivamente c’è il rischio di promuovere iniziative poco originali che, invece di approfondire un aspetto o l’altro di questa cultura, si riducono a una sorta di manuale di archeologia reificato. 

In ogni caso la mostra del Musée du Quai Branly, ospitata nella Galerie Jardin, lo spazio espositivo più importante del museo parigino, non ripropone le opere delle precedenti manifestazioni della capitale francese, ma offre al visitatore la possibilità di soffermarsi su tipologie interessanti e poco conosciute, che, secondo l’efficace modello “strutturante” della museografia messicana, consentono di presentare tutti gli aspetti della cultura maya: dalla flora e dalla fauna, fino alle classi sociali, alla religione, al calendario e alla scrittura. 

È fondamentale sottolineare, inoltre, che lungo il percorso espositivo emergono alcuni reperti ciascuno dei quali, da solo, meriterebbe una mostra ad hoc per via della sua importanza o delle sue qualità formali. 

Tra questi è doveroso segnalare: le due teste in stucco di K’inich Janaab Pakal da giovane, più conosciuto come Pakal il Grande; la cosiddetta Regina di Uxmal che, nonostante il nome, rappresenta un antenato dal volto scarificato che emerge dalle fauci di un serpente; l’Architrave 48 di Yaxchilan, che presenta i più eleganti esempi delle varianti “testa” dei numeri; il Disco di Chinkultic, un “marcador” (un segnaconfini) del gioco della palla che può essere considerato uno dei capolavori dell’arte precolombiana per l’armonia della composizione e la nitidezza della figura e dei glifi; il cosiddetto Re di Kabah e l’Adolescente di Cumpich

Su tutti, però, emergono due pezzi di Palenque sui quali occorre soffermarsi con estrema attenzione: la piattaforma del Tempio XXI e la testa in stucco di un re che probabilmente decorava una costruzione del centro cerimoniale. 

La piattaforma del Tempio XXI è stata scoperta solo nel 2002 e, per quanto risulta a chi scrive, è la prima volta che viene esposta in Europa. Al centro della composizione è raffigurato Pakal il Grande, rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra compaiono il re di Palenque Ahkal Mo’ Nahb III e il fratello minore U Pakal K’inich Janaab Pakal, destinato a succedergli. 

Di fronte ai due si trova un sacerdote con un costume di un essere mitologico, che li assiste in un rituale di purificazione e di autosacrificio. Con la piattaforma del Tempio XIX, che, tuttavia, fu realizzata da un altro artista (nessuna delle due è firmata), abbiamo il capolavoro della corte di Ahkal Mo’ Nahb III, quattordicesimo re di Palenque, che fu incoronato il 30 dicembre del 721 e regnò una ventina d’anni. Entrambe le piattaforme rappresentano il vertice dei bassorilievi di Palenque e mostrano una leggera, ma netta evoluzione stilistica rispetto a quelli realizzati solo cinquant’anni prima dagli artisti al servizio di Pakal il Grande e di Kan B’ahlam. 

In particolare nella piattaforma del Tempio XXI si riconosce uno stile nuovo, che accentua l’enfasi sulla linea, rinuncia il più possibile a quel minimo di profondità degli artisti precedenti, appiattisce il bassorilievo (si potrebbe dire che abbiamo un bassorilievo stiacciato “sui generis” o di verso opposto, perché, a differenza di quello di Donatello non cerca la prospettiva) e lo tratta come il dipinto di un vaso di stile Codex. Inoltre si sfrondano gli elementi decorativi e si riducono i testi glifici, che, coerentemente con l’accentuata enfasi sulla linea, sono incisi dentro i blocchi per il testo. In questo modo emergono importanti spazi vuoti attorno ai personaggi, che così diventano i veri protagonisti della scena. 

Per quanto riguarda la testa in stucco di un re, un’opera giustamente molto famosa, basti dire che rappresenta il vertice assoluto di tutte le sculture maya in stucco, una tipologia diffusa soprattutto nell’Occidente dei bassipiani. Rappresenta uno degli esempi più straordinari del naturalismo palencano, che qui riesce mirabilmente a raffigurare sia l’aspetto esteriore sia i pensieri e la personalità del personaggio.


Piattaforma del tempio XXI di Palenque (periodo classico, 300-900 d.C.), Palenque, Museo de sitio.


Testa in stucco raffigurante K’inich Janaab Pakal da giovane, più conosciuto come Pakal il Grande (603-683 d.C.), Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.


Figurina di stile Jaina (periodo classico, 300-900 d.C.), Città del Messico, Museo Nacional de Antropología.

La possibilità di soffermarsi su tipologie poco conosciute consentono di presentare tutti gli aspetti della cultura maya


Oltre a queste opere eccezionali, i quattrocento reperti esposti danno anche la possibilità di avere una panoramica quasi completa delle tipologie, degli stili e delle scuole dell’arte maya, dalle statuine, provenienti in genere dall’isola di Jaina, agli “eccentrici” (oggetti in selce piatti e taglienti, in genere privi di simmetria, da cui si sviluppano appendici che di solito mostrano profili di teste con vistosi copricapi), alle maschere in giada, agli incensieri, ai vasi e ai piatti che offrono un’ampia documentazione delle diverse correnti della pittura vascolare maya. Per esempio, parecchi reperti, solitamente di produzione yucateca, documentano le diverse interpretazioni del “figurativismo sintetico”, una corrente molto diffusa della pittura vascolare, che si caratterizza per sottoporre figure e/o parti di figure a forti processi di stilizzazione, compressione e sineddoche (in particolare “pars pro toto”) per ricombinare poi gli elementi ottenuti in nuovi modelli e composizioni. 

Ma oltre alle correnti più diffuse la mostra documenta anche quelle di nicchia, spesso ignorate dagli stessi specialisti. Particolarmente interessanti da questo punto di vista sono due reperti in bicromia (nero su bianco) di una corrente dai tratti un po’ minimalisti, che gioca sull’effetto di straniamento prodotto da un motivo nel vuoto, cioè su uno sfondo uniforme bianco.


Ciotola con coperchio (periodo classico, 300-900 d.C.) Campeche, Museo Regional de Campeche. è una delle più alte realizzazioni del “figurativismo sintetico”.


Il palazzo di Palenque (periodo classico, 300-900 d.C.) era la sede della corte dei sovrani della città.


Veduta dell’esposizione Mayas, Révélation d’un temps sans fin in corso fino all’8 febbraio al Musée du Quai Branly di Parigi.

Mayas, Révélation d’un temps sans fin

a cura di Mercedes de la Garza
Parigi, Musée du Quai Branly
37 quai Branly
orario 11-19, giovedì, venerdì e sabato 11-21, chiuso lunedì
fino all’8 febbraio
catalogo Musée du Quai Branly / Réunion des Musées Nationaux -
Grand Palais Paris
www.quaibranly.fr

ART E DOSSIER N. 317
ART E DOSSIER N. 317
GENNAIO 2015
In questo numero: MILANO CAPUT MUNDI Leonardo designer di corte; La città al tempo della Spagna; Il laboratorio del contemporaneo, dal Futurismo al dopoguerra, a oggi. IN MOSTRA: Rembrandt, I Maya.Direttore: Philippe Daverio