IN SANT’EGIDIO,
SANTA MARIA DEGLI ANGELI
E ALL’ANNUNZIATA

Non conosciamo il nome del maestro presso cui il giovane Andrea fu messo a bottega, si è ipotizzato fosse Paolo Schiavo, oppure Filippo Lippi da cui avrebbe desunto il vigoroso plasticismo, o Paolo Uccello per i comuni interessi prospettici.

Andrea fu certamente legato a Domenico Veneziano, soprannome di Domenico di Bartolomeo, nato a Venezia nel 1410 e morto nel 1461 a Firenze, dove contribuì a portare un nuovo linguaggio figurativo.

Tra il 1439 e il 1445 Domenico è al lavoro nel capoluogo toscano nella cappella Portinari in Sant’Egidio, la già ricordata chiesa dell’ospedale di Santa Maria Nuova, dove inizia ad affrescare le Storie della Vergine insieme al giovane Piero della Francesca. Nell’anno in cui prende avvio l’impresa, 1439, Firenze ospita da gennaio a luglio il Concilio per l’unione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente, un avvenimento che vede la presenza in città di papa Eugenio IV, di Giuseppe patriarca di Costantinopoli, dell’imperatore bizantino Giovanni Paleologo, di dignitari, umanisti, teologi orientali e occidentali. L’evento sancisce il primato politico e morale di Firenze, e ratifica anche a livello internazionale l’avvento del potere mediceo. In questo clima fervido di novità, in una città che assiste ai rutilanti corteggi delle delegazioni orientali con i loro abiti variopinti dalle fogge inconsuete, si pone il ciclo della chiesa di Sant’Egidio, un’opera fondamentale per la “pittura di luce”, che offre una «visione più distesa e ottimistica, in cui i colori si imperlano di luce e la prospettiva diventa uno spettacolo per gli occhi», secondo Luciano Bellosi che ha coniato la fortunata definizione. Domenico e Piero lasciarono incompiuta la cappella dopo aver eseguito l’Incontro di Gioacchino e Anna, la Natività della Vergine (entro il 1442) e aver iniziato, ma non ultimato, lo Sposalizio (1445) che sarà poi finito da Alesso Baldovinetti. Le fonti testimoniano il ruolo del ciclo per il suo influsso sugli artisti, paragonato a quello della cappella Brancacci affrescata da Masolino e Masaccio in Santa Maria del Carmine, sempre a Firenze, ma purtroppo è stato distrutto nel Settecento, e restano solo frammenti - sia della sinopia che dell’affresco - della parte inferiore dello Sposalizio della Vergine. Il reticolo prospettico presente nella sinopia è testimonianza della rivoluzione portata a compimento nel primo Rinascimento con il contributo delle arti liberali e meccaniche, ma la costruzione rigorosa è associata alla ricerca di colori chiari, ombre trasparenti, nitida luminosità.

Nello Sposalizio, a detta di Vasari, tra gli astanti era rappresentato Bernardetto de’ Medici, quel Bernardetto che aveva accompagnato i primi passi di Andrea a Firenze. Potrebbe essere stato lui a suggerire il nome del pittore per la conclusione del ciclo pittorico: ad Andrea nel 1451 vengono infatti affidate tre scene, ultimate nel 1453, ma i rapporti con Domenico e con Piero suggeriscono che ben prima Andrea fosse entrato in contatto con loro. La perizia di prospettico di Andrea viene esaltata da Vasari, che della Dormitio Virginis ricorda una bara virtuosisticamente disegnata in scorcio e della Presentazione al Tempio esalta un complesso edificio a otto facce. L’aretino elogia anche, nella Dormitio, la capacità di Andrea di riprodurre le diverse espressioni degli astanti e mette in risalto la fama ottenuta dall’Annunciazione per l’innovativa raffigurazione dell’angelo in volo. Delle scene, distrutte, restano solo brani di figure della Dormitio, staccati da Leonetto Tintori nel 1954 ed esposti nel fiorentino Cenacolo di Sant’Apollonia.

Ancora a Firenze, per il convento camaldolese di Santa Maria degli Angeli, intorno al 1440-1442, Andrea eseguì una delle sue prime opere, la Crocifissione con la Madonna, san Giovanni evangelista, la Maddalena, san Romualdo e san Benedetto. Dopo lo stacco, avvenuto nel 1952, un incendio ha danneggiato la parte inferiore dell’affresco; restaurato, è stato trasferito nell’ospedale di Santa Maria Nuova. Un’elegante architettura dipinta, racchiusa da due lesene scanalate dagli eleganti capitelli e superiormente da una cornice a ovoli, inquadra la scena dal fondo scuro, con al centro Cristo in un potente scorcio che ne fa apparire la testa realmente proiettata in avanti. Una impostazione che riecheggia la Trinità di Masaccio. Le intense espressioni dei volti e gli atteggiamenti sono differenziati: la Maddalena si inginocchia a baciare la croce, la Madonna, pensosa, ha il mento appoggiato sulla mano, mentre Giovanni prega con fare devoto; da un lato della croce san Romualdo, fondatore dell’ordine camaldolese, tiene il tradizionale fascio di verghe nella destra, dall’altro san Benedetto porta la sinistra alla testa in gesto di sconforto e puntella la veneranda età appoggiandosi a un bastone nodoso. Le aureole, dorate, luminosissime e dotate di una consistenza metallica, sono disposte a seconda dell’inclinazione delle teste, i corpi sono costruiti attraverso gli abiti dalle pieghe ampie che ne costruiscono la volumetria. Il fisico anatomicamente perfetto di Cristo, di cui sono evidenziati i muscoli, è solcato dal sangue che scende dalla ferita sul costato e sembra quasi trasformarsi nella fascia decorativa, rossa anch’essa, del lungo perizoma abbassato sul ventre.

Crocifissione con la Madonna, san Giovanni evangelista, san Romualdo e san Benedetto (1450-1455); Firenze, Cenacolo di Sant’Apollonia, già nel convento fiorentino di Santa Maria degli Angeli.


Masaccio, Trinità  (1425-1427); Firenze, Santa Maria Novella.


Crocifissione con la Madonna, san Giovanni evangelista, la Maddalena, san Romualdo e san Benedetto (1440-1442 circa); Firenze, ospedale di Santa Maria Nuova, già nel convento fiorentino di Santa Maria degli Angeli.

Per lo stesso convento, anni dopo, in una lunetta del chiostro Andrea replicò il soggetto: a parte l’esclusione della Maddalena la scena è uguale, ma è evidente la distanza dall’opera giovanile, depurata dagli elementi aneddotici o pietistici e concentrata sull’umanissima, vigorosa, atletica figura di Cristo. Andrea sorvola sulla ferita del costato, sul sangue, e il perizoma trasparente si appoggia sulle fattezze dell’uomo; ancor di più le figure sono trasformate in potenti masse avvolte da pieghe che - nei santi monaci - appaiono quasi marmoree, mentre sono replicate le aureole dorate inclinate dietro le teste. La lunetta viene datata alla fase ultima di Andrea, fra il 1450 e il 1455, e oggi è conservata nel Cenacolo di Sant’Apollonia. Se Donatello e Masaccio sono importanti punti di riferimento, appaiono più decisi gli effetti luminosi e coloristici che rimandano al Beato Angelico della Crocifissione della sala capitolare di San Marco a Firenze (1441-1442).

Già il Memoriale dell’Albertini (del 1510, come si è già detto) ricorda le opere eseguite da Andrea nella chiesa fiorentina della Santissima Annunziata: due «in tabernacoli a mezo tondo, et quelle che sono in cappella di S. Maria Magdalena de’ Medici, e in altri lochi in decta chiesa, nella quale fu sepulto». Il santuario cittadino aveva da poco acquisito particolare rilevanza con l’edificazione (1450), per volere di Piero di Cosimo de’ Medici, del tempietto destinato a racchiudere ed enfatizzare la miracolosa immagine dell’Annunciazione. Ad Andrea, nel 1455, Orlando de’ Medici, appartenente a un altro ramo della famiglia, commissionò la perduta rappresentazione con Maddalena, Marta, Lazzaro e angeli. Il pittore vi aveva ritratto anche la moglie.

Sono invece conservati gli affreschi eseguiti nelle due prime cappelle del lato sinistro: risale al 1452-1453 San Giuliano riceve l’assoluzione da Cristo voluto dal banchiere e mercante Piero di Filippo di ser Francesco da Gagliano. Occultato a fine Seicento da un dipinto di Johann Loth, fu riscoperto nell’Ottocento, ma la zona inferiore è perduta. Nella parte conservata, di oltre due metri, sono state individuate cinque giornate di lavoro, a conferma della rapidità con cui Andrea eseguiva le sue opere; in quella mancante, che doveva essere alta un’ottantina di centimetri, Vasari descrive un «buon numero di figure et un cane» in scorcio. Resta la porzione superiore in cui Giuliano, in preghiera con le braccia incrociate sul petto, dopo aver ucciso involontariamente i genitori è assolto da Cristo. Ha espiato il terribile peccato peregrinando da un eremitaggio all’altro, qui rappresentati dall’elegante tempietto in alto a destra tra selve e montagne che ricordano il territorio natale di Andrea. Giuliano, per scontare il peccato, ha dovuto anche prodigarsi per pellegrini e lebbrosi in un ospedale, il semplice edificio con camini e grandi finestre sulla sinistra, rarissima raffigurazione di un nosocomio dell’epoca. Dall’alto Cristo gli concede infine il perdono, di cui informa un’iscrizione, necessaria per la comprensione, data la rarità del tema. Le aureole dorate di Cristo e Giuliano sono così lucide da riflettere, come specchi, il retro delle teste, e le nuvole che collegano le due figure mostrano le stesse striature colorate già presenti nell’Assunzione berlinese.
Come il San Giuliano, anche l’Apparizione della Trinità ai santi Girolamo, Paola ed Eustochio raffigura una visione. Andrea l’eseguì per il ricco commerciante Girolamo di Rinieri Corboli, che aveva acquistato la cappella dai serviti della Santissima Annunziata il 17 aprile 1451. Occultato nel 1565 da una tavola di Alessandro Allori e recuperato nel 1922, l’affresco fu danneggiato dall’alluvione del novembre 1966 e nell’aprile successivo venne sottoposto allo “strappo”, che ha permesso di recuperare la sinopia, dal 1972 nel Cenacolo di Sant’Apollonia. Al centro è in piedi san Girolamo, sdentato per le privazioni patite nel deserto, canuto, con indosso il saio, che si percuote il petto con un sasso, facendo scorrere rivoli di sangue; un leone ruggente gli è vicino e per terra è posato il galero cardinalizio. Girolamo è affiancato dalle due sante discepole Paola ed Eustochio, madre e figlia, che lo seguirono in Terra santa cui allude il paesaggio brullo e desertico. I tre sollevano lo sguardo verso l’apparizione della Trinità, un soggetto raro legato all’ordine dei girolamini, fondato a Fiesole da Carlo Guidi di Montegranelli, e alla confraternita di Santa Maria della Pietà, sua emanazione laica in Firenze, più tardi denominata “Buca” di San Girolamo, che aveva sede nell’ospedale di San Matteo, a pochi metri dall’Annunziata.


Apparizione della Trinità ai santi Girolamo, Paola ed Eustochio (1453-1454 circa); Firenze, Santissima Annunziata.

All’affresco Andrea pose mano dopo il settembre 1453, terminati i lavori all’ospedale di Santa Maria Nuova, ma probabilmente solo nella prima metà del 1454. Il nome di Corboli non compare tra gli iscritti alla confraternita fiorentina, ma certamente il rapporto dell’affresco con il sodalizio è stretto, per la presenza nell’oratorio di un San Girolamo penitente in terracotta, anch’esso con lo sguardo rivolto a una visione celeste, che pare quasi una resa tridimensionale del dipinto. Un biglietto conservato all’interno della statua informa che, dipinta dal monaco camaldolese e miniatore Giuliano Amidei, fu terminata il 7 settembre 1454. La data prossima a quella dell’affresco, la vicinanza dei due luoghi, la relazione tra le figure, provano l’esistenza di un rapporto con il dipinto di Andrea e si deve ipotizzare un reciproco influsso tra pittore e scultore su un tema iconografico la cui fortuna era collegata alla fama di santità dei girolamini e della “Buca” di San Girolamo. Le tre figure in basso, nel plasticismo dei panneggi, nei nimbi metallici in scorcio, nei variati atteggiamenti dei volti, quale lo stupore di Paola, l’espressione rapita e trasognata di Girolamo, mostrano la capacità di Andrea di esprimere gli affetti. Totalmente nuova - come testimonia anche Vasari - la Trinità in fortissimo scorcio, con il corpo di Cristo vertiginosamente proiettato in avanti, che termina in teste di cherubini e nelle striature rossastre presenti anche nell’Assunzione berlinese e nel San Giuliano della cappella adiacente.

La sinopia differisce talmente dall’affresco da aver fatto supporre l’intervento di un altro artista, o che si trattasse di un primo rapido disegno sull’arriccio e che solo in un secondo momento sia stato utilizzato un cartone, come mostrano i segni dello spolvero. La figura del san Girolamo nella sinopia appare più vicina al santo che Andrea aveva dipinto nella Madonna Pazzi, più anziano e con una veste dall’orlo irregolare. Il senso plastico delle figure, gli scorci prospettici del San Girolamo hanno messo l’opera in relazione con il ritorno di Donatello da Padova nel 1454, mentre gli effetti di intenso luminismo evidenziano tangenze con le opere di Domenico Veneziano, quali i Santi Francesco e Giovanni Battista già nella cappella Cavalcanti in Santa Croce a Firenze (1455 circa), da Vasari erroneamente attribuiti proprio ad Andrea.
Alla Santissima Annunziata, ma proveniente dalla vicina confraternita di San Lorenzino in Piano si conserva anche un Crocifisso sagomato databile intorno al 1453. È stato attributo ad Andrea da Luciano Bellosi anche per la vicinanza al David di Washington nella capigliatura e nei panneggi. La destinazione processionale è testimoniata dalla forma, ma soprattutto dall’essere illusionisticamente dipinto anche sul verso con il legno che copre in parte la figura.

ANDREA DEL CASTAGNO
ANDREA DEL CASTAGNO
Ludovica Sebregondi
Andrea di Bartolo, detto Andrea del Castagno (Castagno 1421 - Firenze 1457) è il volto “espressionista” del Quattrocento fiorentino. Appartiene alla generazione di Paolo Uccello, Beato Angelico, Domenico Veneziano, e come loro porta avanti le innovazioni prospettiche e naturalistiche di Donatello e Masaccio, ma rispetto ai colleghi le sue forme appaiono più contorte, le espressioni più marcate, i colori più scuri. Nel contesto mediceo del tempo, in cui si promuoveva una pittura raffinata e ispirata al culto dell’Antico, le sue posizioni rimangono ai margini, e troveranno invece sviluppo nella scuola ferrarese.