Il gusto dell'arte

libiamo
nei lieti calici

La rappresentazione, non priva di sottile humour,
sfugge ai consueti cliché

Ludovica Sebregondi

si brinda allegramente alla mensa del vescovo: l’atmosfera conviviale rende i partecipanti briosi in un clima di maliziosa galanteria, nonostante l’alto prelato che sovrintende al centro della lunga tavola rettangolare, alla quale è seduto insieme ai commensali. Sembra quasi un’Ultima cena, con il vescovo al posto di Cristo al centro del lato lungo, non fosse per le due signore che ne contendono l’attenzione mentre lui alza il calice e sfodera un sorriso pio. Gli altri due gruppi, anch’essi composti ciascuno da tre persone, sono viceversa costituiti da due uomini e una signora. Le regole di etichetta sembrano rispettate, con l’uomo più anziano a fianco della signora alla destra del religioso. Due donne indossano un vezzoso cappellino, le altre sfoggiano una folta chioma chiusa in un’elaborata acconciatura. Toni tortora sono utilizzati per l’insieme, la tappezzeria e le tende: un colore elegante, schiarito dalle cornici e dagli stipiti dorati, dalla luce che illumina il vano della finestra, dalle gambe del tavolo e dalla tovaglia candidissima che reca ancora le tracce della piegatura. Un secondo tavolo, i cui commensali sono probabilmente meno importanti, si intravede nella sala adiacente. Nella scena in primo piano gli uomini indossano abiti scuri, ravvivati dalle camicie dall’alto collo inamidato, dalle cravatte e - per il prelato - dal bordo color rubino della pellegrina, la corta mantella nera che arriva sino al gomito. Ciascuno dei camerieri si dedica a un gruppo di commensali, e quello che sta servendo il giovane sulla destra, e ha in mano un piatto con una torta, pare un ritratto. Gli altri due stanno stappando bottiglie di spumante per riempire nuovamente le coppe con cui si sta già brindando: il pasto è ormai giunto alla fine, come attesta il cameriere con il dolce.
Stupisce l’intensità psicologica con cui il diciassettenne Giuseppe De Nittis riesce a restituire un’animata scena conviviale, una serata festosa in ambiente aristocratico, di cui rende con arguzia spirito e clima. Lasciata Barletta dove era nato nel 1846, De Nittis giunse a Napoli nel 1860 dove studiò all’Istituto di Belle arti, ma proprio nel 1863 - data del Pranzo del vescovo - ne fu espulso. Frequentò quindi Marco De Gregorio e Federico Rossano, insieme ai quali fece parte della Scuola di Resìna, anche detta Repubblica di Portici, in cui si praticava una pittura aderente al vero, attenta alla resa dei valori atmosferici e dei rapporti cromatici, e in cui si introdurrà anche il fiorentino Adriano Cecioni, trasferitosi dal capoluogo toscano per aver vinto un pensionato artistico nella città partenopea. Al 1867 risale il primo soggiorno parigino di De Nittis,che in Francia - e poi in Inghilterra - ottenne successi straordinari grazie alla capacità di essere interprete fedele delle diverse forme della vita moderna. Morì, trentottenne, a Saint Germain-en-Laye nel 1884.
Il dipinto, il cui sviluppo orizzontale è tipico dei quadri giovanili, appartiene a quelle opere di De Nittis che - con la loro efficace osservazione della realtà e la spazialità teatralmente articolata - contribuirono al suo successo. La rappresentazione, non priva di sottile humour, di una mondanità insieme compunta e ricca di seduzione, sfugge ai consueti cliché.
È di certo anche il vino spumeggiante, con cui si è brindato e si continua a brindare, ad aver contribuito al clima brillante della serata: si tratta probabilmente di champagne, sia per l’influenza della cucina francese sulla gastronomia napoletana, sia perché il primo spumante di origine italiana risale solo al 1865, dunque a un momento successivo alla realizzazione del dipinto. Fu ideato - grazie alla collaborazione tra i fratelli Gancia e il conte Augusto Giorgi di Vistarino, che importò dalla Francia le prime barbatelle di pinot nero - utilizzando il metodo detto champenoise, che si dice inventato nel XVII secolo nell’abbazia francese di Hautvillers dal monaco Dom Pierre Pérignon. La vinificazione avviene nelle bottiglie, fatte riposare con il tappo verso il basso, in modo che si depositino le impurità; segue la sboccatura, ottenuta immergendo il collo della bottiglia in un liquido che ghiaccia le impurità, consentendo di rimuoverle. Se, in passato, la supremazia dello champagne francese era indiscussa, attualmente la produzione italiana ha raggiunto livelli di straordinaria qualità, permettendo anche al momento dei brindisi di utilizzare prodotti dall’etichetta nazionale. Grazie a essi si sprigiona un’allegria lieve, spumeggiante, adeguata per l’ultimo giorno dell’anno, forse proprio il momento fissato da De Nittis nella sua sala ottocentesca raffinata ed elegante.



Giuseppe De Nittis, Il pranzo del vescovo (1863), particolare, Napoli, Museo di Capodimonte.

Giuseppe De Nittis, Il pranzo del vescovo (1863), intero, Napoli, Museo di Capodimonte.

ART E DOSSIER N. 316
ART E DOSSIER N. 316
DICEMBRE 2014
In questo numero: CORPO E METAMORFOSI Da Cleopatra al Posthuman; La carne e il dolore; Da Carpaccio a Pirandello. IN MOSTRA: Memling, Dai samurai a Mazinga, Doni di nozze.Direttore: Philippe Daverio