Un (bel) po’ di tempo fa, quando si pagava in lire e i cellulari erano ancora solo vetture per trasportare i detenuti, sono andato alla mia prima mostra di fumetti dove scoprii che quasi tutte le mie storie preferite di “Topolino” le aveva realizzate un autore di nome Romano Scarpa. Un’ignoranza dovuta al fatto che per molti, forse troppi anni gli autori italiani di fumetto non potevano firmare le storie che pubblicavano in periodici da edicola come “L’Intrepido”, “Il Monello”, “Diabolik”, “Lanciostory”, il già citato “Topolino“ e così via. Faceva eccezione la Bonelli, che nel corso della sua lunga vita aveva cambiato o in alcuni periodi addirittura sovrapposto diverse etichette come Cepim, Araldo ecc. e che segnalava in apertura di albo gli autori dello stesso. Eppure, ancora oggi il lettore occasionale di “Tex” o “Dylan Dog” non si accorge che la storia che ha in mano è stata realizzata da una o più persone, e che queste non sono sempre gli stessi autori della storia che uscirà nel mese successivo.
Forse è per questo che il nome di Gino D’Antonio non dirà nulla a chi oggi acquista storie a fumetti in libreria. Nato nel 1927 e scomparso nel 2006, dopo aver collaborato con editori stranieri, con testate come “Il Vittorioso”, e dopo aver lavorato su personaggi all’epoca famosi come Pecos Bill, nel 1967 D’Antonio comincia presso la Bonelli Editore - a quel tempo Edizioni Araldo - la pubblicazione della sua “Storia del West”, una saga in settantacinque albi da novantasei pagine l’uno che, attraverso la storia della famiglia MacDonald, ripercorre la conquista del West sposando il piacere della narrazione con la precisione storica di fatti realmente accaduti e personaggi realmente esistiti.