statue di bronzo: tecniche di fusione
e problemi di conservazione,
elementi di rischio e idee inopportune

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In un tratto ei si sente un rumore con un lampo di fuoco grandissimo, che parve proprio che una saetta si fussi creata quivi alla presenza nostra; per la quale insolita spaventosa paura ognuno s’era sbigottito, et io più degli altri. Passato che fu quel gran rumore et splendore, noi ci cominciammo a rivedere in viso l’un l’altro; et veduto che ’l coperchio della fornace si era scoppiato, et si era sollevato di modo che ’l bronzo si versava, subito feci aprire le bocche della mia forma, et nel medesimo tempo feci dare alle due spine. E veduto che ’l metallo non correva con quella prestezza che si soleva fare, conosciuto che la causa forse era per essersi consumata la lega per virtù di quel terribile fuoco, io feci pigliare tutti i miei piatti et scodelle et tondi di stagno, i quali era no circa a dugento, et a uno a uno io gli mettevo dinanzi a i mia canali, e parte ne feci gittare drento nella fornace; di modo che, veduto ognuno che ’l mio bronzo s’era benissimo fatto liquido et che la mia forma si empiva, tutti animosamente et lieti mi aiutavano et ubbidivano, et io or qua or là comandavo, aiutavo, et dicevo: o Dio, che con le tue immense virtù risuscitasti da ’e morti, et glorioso te ne salisti al cielo… di modo che in tratto ’e s’empié la mia forma; per la qual cosa io m’inginocchiai et con tutto il cuore ne ringraziai Iddio».
In questo famosissimo brano della sua Vita, Benvenuto Cellini, orafo del Rinascimento, racconta la fusione in bronzo della sua seconda opera di grandi dimensioni (dopo la Ninfa di Fontainebleau realizzata in Francia per Francesco I): il Perseo commissionato a Firenze da Cosimo I, che, dopo una lunga e non sempre agevole lavorazione iniziata nel 1545, fu collocato nel 1554 nella loggia dei Lanzi. L’episodio narrato risale al 1549: anche se certamente i momenti della lavorazione non erano sempre così drammatici (bisogna anche tener conto che lo “sbigottimento” dello scultore era forse causato almeno in parte dalla sua maggiore dimestichezza con opere in oro di dimensioni più piccole), si tratta della vivacissima testimonianza di una tecnica inventata nel mondo antico e restata in uso per secoli senza sostanziali variazioni. È la tecnica della “cera persa”, che può essere realizzata con procedura “diretta” e con procedura “indiretta”. Vediamo la diretta: ciò che dà l’anima a una scultura è una “forma” realizzata in terra magra e refrattaria (con all’interno un’armatura di legno) su cui si spalma cera, che viene plasmata nei minimi dettagli, e che viene a sua volta chiusa entro un “mantello” di copertura pure in terra. All’interno del mantello vengono disposti canali e tubi di scarico. Si cuoce il tutto: la forma e il mantello si consolidano, la cera si scioglie e defluisce. Si cola attraverso i canali il bronzo fuso (è questa soprattutto la fase descritta da Cellini), che riempie dall’alto verso il basso il vuoto lasciato dalla cera defluita, di cui riproduce con esattezza i dettagli rimasti impressi nel mantello; i tubi di scarico assicurano la fuoriuscita dei vapori. Il mantello, a raffreddamento avvenuto, si smonta; i canali, anch’essi divenuti bronzo, si segano accuratamente; la statua è pronta, e sarà rifinita a freddo.
Con la procedura indiretta, dalla forma si ricavano calchi (è anche possibile la lavorazione a parti staccate), al cui interno si spalma la cera; poi, all’interno (a sua volta) della cera, con un’armatura in sbarre di ferro, si comprime terra, che può essere non necessariamente magra e refrattaria, ma anche grassa e malleabile. Poi si distaccano i calchi, sostituiti da un nuovo mantello, e anche in questo caso si aggiungono i canali e si procede alla colata. Ma sia la forma iniziale, sia i calchi, rimangono fuori dal processo di fusione, e potrebbero essere riusati, per esempio, in caso di cattiva riuscita del primo tentativo.


Forma in cera persa con canali di entrata e di sfiato;

Per quanto riguarda i Bronzi, dopo le prime analisi condotte a Firenze si era pensato all’uso della procedura indiretta, mentre, dopo quelle effettuate nel 1992- 1995, si è giunti alla conclusione che la procedura adottata fosse quella diretta. Certo più audace, poiché in presenza di eventuali inconvenienti è più difficile rimediare, ma proprio per questo più adatta a essere scelta da artisti di primissima grandezza. In ogni caso, la raffinata “mano” degli scultori e dei loro collaboratori non cessava di operare alla fine del processo di fusione: dopo il raffreddamento, occorreva non solo (come si è visto) segare i canali di bronzo causati dalla colata, ma (nel caso di lavorazione a parti staccate) procedere a delicate saldature per l’assemblaggio. Nei Bronzi, queste sono realizzate con tale maestria da essere passate inizialmente inosservate e da essere state rivelate solo da esami molto avanzati. Che il momento dell’assemblaggio fosse fondamentale (non solo per i Bronzi di Riace!) è ovvio: l’illustrazione dei vari momenti di un’operazione del genere è presente nella pittura vascolare, e più precisamente nella Kylix della Fonderia, nella coppa cioè (trovata a Vulci, in provincia di Viterbo, e conservata nei Musei di Berlino) che mostra un’officina in piena attività.
Il bronzo appena fuso aveva una sua luce, anzi un suo splendore, che lo rendevano quasi simile all’oro: cosa che oggi riesce difficile capire, con la colorazione verdognola, anch’essa a suo modo bellissima e lucente, che si è formata nei secoli, e che nessun restauro, nemmeno il più sofisticato, potrà sostituire. Venivano lasciate all’interno delle sculture sia l’armatura su cui era stata plasmata la “forma” di terra, sia la terra stessa. Quest’ultima, come si è visto, nel caso dei Bronzi è stata estratta per eseguire analisi, poi rivelatesi fondamentali. L’estrazione è stata eseguita rimuovendo i “tenoni”, i perni cioè (due sotto ogni piede) che tenevano le statue ancorate alla loro base originaria.
L’asportazione della terra ha variato le distribuzioni di pesi, quella dei tenoni ha rimosso i fissaggi: nel rimettere in piedi le statue nel museo, gli operatori di oggi hanno dovuto reinventare ciò che avevano calcolato gli operatori antichi, mettendo a punto inoltre un raffinato sistema antisismico. Non solo per questo, ma a causa degli infiniti trattamenti subiti per portare i Bronzi allo splendore che tutti ammiriamo, i problemi di statica sono notevoli, e risolverli è stato al tempo stesso arduo ed esaltante.
Belli ma fragili, dunque. Tutto ciò dovrebbe rendere chiaro che è bene, d’ora in poi, non toccare nulla. Tanto più bizzarre, quindi, sono le già ricordate proposte di mandare i Bronzi a rappresentare l’Italia (trascurando, fra l’altro, che sono stati eseguiti in Grecia) alle più svariate manifestazioni.


Disposizione delle armature in sbarre di ferro all’interno delle statue.

Ricostruzione della prima officina di Fidia.

I BRONZI DI RIACE
I BRONZI DI RIACE
Sergio Rinaldi Tufi
Un dossier dedicato ai Bronzi di Riace. In sommario: Un inizio avventuroso; La Grecia e l'arte greca nel V secolo a.C.; Atene culla della civiltà classica: grandezza e contraddizioni; I Bronzi di Riace: opere diverse, programma comune?; Olimpia, Argo e Tebe, Tideo e Anfiarao; Statue di bronzo: tecniche di fusione e problemi di conservazione, elementi di rischio e idee inopportune. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.