i bronzi di riace
opere diverse, programma comune?

Un primo sguardo, le due statue rinvenute a Riace sembrano quasi gemelle. Molto simili le dimensioni (m 2,05per A; 1,98 per B);
simili anche le posizioni (anche se forse c’è stato già in antico il restauro

di un braccio di B mirato proprio ad accentuare questo effetto); simili, infine, le misure “intermedie” (braccia, avambracci, cosce, gambe). Entrambe, inoltre, perfette nella resa anatomica, appaiono accentuatamente slanciate, prerogativa che le pone ancora nell’ambito dell’arte severa: più tardi, per esempio con Policleto e col suo canone, le figure appariranno più sode e robuste. Vi sono alcuni elementi che sembrano prefigurare il canone stesso (peso del corpo scaricato in maggior misura sulla gamba destra; accenni di chiasmo di fianchi, arti, spalle), ma altri no: il piede della gamba su cui il peso si scarica in misura minore, per esempio, poggia a terra interamente, e non solo con la parte anteriore. Ma è nei volti e - come dire - negli atteggiamenti che le differenze si fanno più sensibili. La statua A (definita talvolta anche L’eroe, o Il giovane) raffigura un personaggio in grandissima tensione: non solo la muscolatura è più evidente, ma il volto è contratto, i denti digrignati, trasmettendo a tutto il corpo la sensazione di una violenza che sta per sprigionarsi. Proprio quel volto, già dal primo restauro, ha manifestato dettagli tecnici che B (detto anche Il vecchio, o Lo stratega) non ha. I denti sono, sì, digrignati, ma sono resi in argento, mentre le labbra che li lasciano parzialmente scoperti sono in oro rosso. Negli occhi, le cornee sono rese in avorio: in B ne rimane solo una, ed è in marmo bianco. B inoltre presenta come supporto dell’elmo (che è andato perduto) una calotta, mentre in A la chioma è resa per intero, e splendidamente: nella parte superiore è più schiacciata (anch’essa era in origine coperta da un elmo, e proprio in funzione di quest’ultimo era predisposta la fascia di lana raffigurata con evidenza attorno alla testa), in quella inferiore si arricchisce di elaborate e abbondanti ondulazioni. B, inoltre, non sembra potenzialmente violento come A. Anche l’esame delle leghe di bronzo, fin dal primo restauro fiorentino, aveva rivelato caratteristiche diverse: per entrambe si adottò la lega binaria, rame-stagno, ma quest’ultimo in B fu dosato meno accuratamente. 


Bronzo B, particolare del torso.

Bronzo A, particolare del torso.


Bronzo B, primo piano del volto.


Bronzo B, particolare della testa vista di profilo.

Sempre in B la colata di bronzo (vedi box a p. 46) avvenne in un maggior numero di getti, sintomo di una diversa attenzione per la razionalizzazione dei processi. In alcuni dettagli, forse in occasione di restauri (difficile dire se simultanei o no), si impiegò lega ternaria (rame-stagno-piombo) e non binaria: braccio destro e parte del sinistro (con imbracciatura dello scudo) di B, imbracciatura dello scudo di A. Stranamente simile la realizzazione degli organi genitali, eseguiti in due pezzi e con percentuali di stagno simili: 16,5% in A, 14% in B. Ancor più significative le caratteristiche delle terre di fusione all’interno delle statue (per i processi di lavorazione delle sculture in bronzo vedi ancora box a p. 46), analizzate in occasione del restauro degli anni Novanta: quelle di B sono compatibili con l’area dell’Attica, quelle di A con l’area di Argo.

Bronzo B.


Bronzo B, particolare dell’avambraccio sinistro che imbracciava uno scudo.


Bronzo A. La veduta da dietro dei Bronzi (qui vediamo A) consente di ammirare la perfezione anatomica di questi corpi slanciati, ma anche, come già osservarono i primi visitatori della mostra di Firenze (compresi i molti non specialisti), l’elegante potenza dei glutei.

Le ipotesi formulate, assai numerose dopo l’inerzia iniziale descritta da Settis e qui già ricordata, si dividono in due gruppi disuguali: molte prima del restauro appena riferito (quindi senza notizie precise sul luogo di esecuzione, e pertanto talvolta un po’ azzardate), poche (ma importanti) dopo. Prima: parte di un gruppo, attribuito a Fidia, che costituiva il donario (ex-voto) degli ateniesi a Delfi dopo la vittoria di Maratona (Antonio Giuliano, Werner Fuchs); statue provenienti dalla Magna Grecia, A raffigurante, con la sua tensione drammatica, un eroe come Aiace, B uno stratega (Enrico Paribeni); A attribuibile forse a Fidia, B a influssi greco-orientali (Paolo Enrico Arias); A attribuibile a Mirone, B a Alkamenes (Giorgios Dontas); non due eroi, ma due “oplitodromi” vittoriosi, vincitori cioè di quella gara che nelle feste panelleniche si correva con scudo ed elmo (Antonino Di Vita); parte di un gruppo, opera di Onatas, offerto dagli achei a Olimpia (Harrison-Bol-Deubner); opere predate in un “furto d’arte” su commissione (come spesso avveniva in età romana fra fine Repubblica e inizio Impero) e magari rimaneggiate per fare pendant fra loro, cosa che spiegherebbe le differenze visibili nelle leghe impiegate (Mario Torelli). 

Bronzo A, particolare dell’avambraccio sinistro che imbracciava uno scudo.


particolare del Bronzo A.


Bronzi di Riace nella loro collocazione attuale; Reggio Calabria, Museo archeologico nazionale.

Dopo: si tratta di Tideo e Anfiarao, eroi del ciclo dei Sette contro Tebe cantato in un antichissimo poema epico, la Tebaide, e poi nella celebre tragedia di Eschilo, eseguiti forse in tempi e modi diversi ma nel quadro di un programma condiviso da un grande scultore di Argo, Ageladas, maestro di molti, e da un grande scultore ateniese, Alkamenes: scultori che avevano lavorato insieme, come si è visto, anche a Olimpia (Paolo Moreno*); sempre nell’ambito dei Sette, si tratta però di Eteocle e Polinice (Eligio Daniele Castrizio).

Bronzo A.


Bronzo B. A un primo colpo d’occhio, le statue A e B appaiono quasi gemelle, se si eccettua una lieve maggiore accentuazione, in B, della linea pelvica. Ma un esame più attento rivela l’espressione più tesa e violenta di A, quasi una grande forza sul punto di esplodere, espressa dallo sguardo intenso e dai denti digrignati.

(*) Moreno, lungamente docente a Roma Tre, è un archeologo famoso, anzi, come dice lui stesso, uno «storico dell’arte antica»: dedito cioè, più che allo scavo e all’indagine sul campo, a quella che gli studiosi tedeschi definiscono “Stilforschung”, ricerca stilistica e storico artistica. Uomo di raffinata sensibilità, conoscitore degli scrittori greci e latini, è riuscito, specialmente negli ultimi decenni, a dare un’identità ad autori di opere importanti. Un esempio per tutti: l’attribuzione a Lisippo (che fra l’altro è uno dei suoi soggetti preferiti) di un famoso bronzo trovato nel mare di Fano (Pesaro e Urbino) e finito, fra passaggi oscuri e mille polemiche, al Getty Museum di Malibu. Già nel 1998, partendo dai risultati delle analisi appena condotte sulle terre di fusione, ha scritto I Bronzi di Riace, il Maestro di Olimpia e i Sette a Tebe (Milano 1988), proponendo in una volta sola la soluzione di tre enigmi. Non ci sono state, per la verità, recensioni e discussioni pari all’importanza dei temi e alla rilevanza dell’autore: ma ormai sulla via della “Stilforschung” sono in pochi ad addentrarsi.

I BRONZI DI RIACE
I BRONZI DI RIACE
Sergio Rinaldi Tufi
Un dossier dedicato ai Bronzi di Riace. In sommario: Un inizio avventuroso; La Grecia e l'arte greca nel V secolo a.C.; Atene culla della civiltà classica: grandezza e contraddizioni; I Bronzi di Riace: opere diverse, programma comune?; Olimpia, Argo e Tebe, Tideo e Anfiarao; Statue di bronzo: tecniche di fusione e problemi di conservazione, elementi di rischio e idee inopportune. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.