atene culla della civiltà classica:
grandezza e contraddizioni

Dopo questi capolavori dello stile “severo”, giungiamo al periodo“classico”,in cui si affermano schemi
e motivi che saranno di modello per secoli e secoli. Culla della civiltà classica

 

si può considerare Atene, e forse più precisamente la sua Acropoli, che i persiani nel 479 avevano lasciata devastata e distrutta. La ricostruzione però non fu immediata: quelle rovine erano quasi oggetto di timore religioso. A superare le remore contribuì la pace di Callia: nel 448 a.C. l’ambasciatore ateniese Callia si incontrò con gli inviati del re di Persia Artaserse I, e si presero accordi secondo cui i greci si impegnavano a non intervenire nei territori soggetti all’impero, e meno che mai in Egitto e in Asia Minore, mentre i persiani riconoscevano la libertà delle città della costa egea orientale. Si superavano così alcune tensioni post-belliche.
Ma non tutte. Atene, dopo la vittoria del 479, non aveva deposto le armi, ritenendo che il nemico persiano andasse fronteggiato sempre e ovunque: alleati illustri come gli spartani si erano dissociati. Nel 478, nell’isola di Delo, era stato sottoscritto fra le varie città-stato un patto di alleanza in funzione antipersiana, la Lega delio-attica, in cui la posizione di Atene era nettamente preminente: e ancor più lo divenne poco dopo, quando, per iniziativa di Samo, l’ingente tesoro federale fu trasferito dal santuario di Delo alla città egemone. La quale, ben presto, cominciò a considerare il tesoro stesso, e la lega nell’insieme, come cose sue: spietata nell’esigere i tributi degli alleati e nel reprimere ogni forma di ribellione. A questa politica aggressiva all’esterno faceva riscontro, all’interno, una sorta di democrazia perfetta: in forme assai complesse, ogni cittadino poteva davvero partecipare alla cosa pubblica, e l’assemblea popolare era sovrana. Frutto delle riforme di Clistene e Efialte, che trovarono compiuta applicazione intorno al 450, e che ebbero un garante in Pericle. Pericle domina la scena politica e culturale dal 460 al 429 a.C., e per farlo usa spregiudicatamente il tesoro trasferito da Samo: ottomila talenti (si pensi che una trireme ne costava tre), a cui se ne aggiungevano altri millesettecento resi disponibili dalle miniere d’argento dell’Attica e da altre proprietà. All’immenso programma edilizio avviato sull’Acropoli dopo la pace di Callia ne furono destinati duemiladodici; altri settecento furono spesi per la statua di oro e avorio di Atena Parthenos (vergine) protettrice della città. Statua che inoltre (se ci si consente un’osservazione di carattere non artistico, ma economico), appunto impiegò e “bloccò” un’enorme riserva aurea, mille chili, stimolando la circolazione dell’argento di cui la città era ricca.
Sull’Acropoli, la rocciosa e piatta collina dove i soldati di Serse avevano lasciato cumuli di rovine (“colmata persiana”), trent’anni dopo quei drammatici momenti Pericle affida a Fidia, grande scultore e architetto suo amico e collaboratore, un ampio progetto di ricostruzione. Bisogna coordinare artisti e maestranze spesso di primo piano: Fidia ci riesce, con uno sforzo prodigioso, fra il 448 e il 432. Ma quest’ultimo sarà un anno fatale: il prestigio di Pericle declina, Fidia stesso (accusato di appropriazioni di oro e altri materiali preziosi) va in esilio, incombe la guerra del Peloponneso contro Sparta (431-404) che Atene perderà. Alcuni lavori saranno completati solo alla fine del secolo.
Al momento dell’intervento di Fidia, l’unico monumento già realizzato sull’Acropoli nel V secolo era il Muro di Cimone, dal nome del personaggio che l’aveva fatto costruire, e che aveva influenzato la politica ateniese fino al 464 a.C. Il primo monumento di cui l’architetto-scultorecoordinatore avvia la costruzione (affidata a un illustre collega, Iktinos) è proprio il tempio di Atena Parthenos, o Partenone (447-438 a.C.), sicuramente il monumento più celebre. Non mancano sull’Acropoli, si sa, altre architetture prestigiosissime, come i Propilei (scenografico ingresso a rampe e colonnati attraverso cui si sale da ovest, realizzato fra il 437 e il 433 a.C. dall’architetto Mnesikles), o altre realizzate in seguito come il tempietto di Atena Nike (430-420: gioiello di architettura ionica progettato da Kallikrates) o il tempio di Atena Polias (cioè protettrice della città) e dell’eroe fondatore Eretteo, ultimato addirittura alla fine del secolo e comprendente la famosa loggia delle Cariatidi: ma sicuramente è il Partenone che assomma in sé la maggiore quantità di significati e di valori, non solo per la perfezione della sua architettura in ordine dorico, ma anche per le tante sculture e per la loro sbalorditiva qualità artistica e ricchezza tematica, apprezzabili anche se in parte sono andate perdute, e se, di quelle superstiti, moltissime si trovano a Londra, British Museum, e non più in situ.


L’Acropoli di Atene.

L’Eretteo (completato nel 405 a.C.), loggia delle Cariatidi; Atene, Acropoli.


L’Eretteo (completato nel 405 a.C.); Atene, Acropoli.


Il Partenone (447-438 a.C.); Atene, Acropoli.


Il Partenone (447-438 a.C.), frontone occidentale (con integrazioni); Atene, Acropoli.

Il tempio è ottastilo (otto colonne nel pronao, o parte anteriore, e nell’opistodomo, o parte posteriore), periptero (interamente circondato da colonne) e ha un’ampia cella divisa in tre navate; la struttura si basa su una serie di raffinati calcoli matematici, fra cui basterà ricordare un ricorrente rapporto 9:4 fra lati lunghi e lati corti del basamento, fra larghezza e altezza dell’edificio, fra larghezza e lunghezza del pronao e così via.Rispetto all’ordine dorico tradizionale, in cui le sculture si distribuiscono nei frontoni e nelle metope, qui si aggiunge, nella parte alta delle pareti esterne della cella, un lungo fregio continuo, che in teoria dovrebbe essere prerogativa dell’ordine ionico, e che qui viene impiegato in questo spazio insolito.Il frontone est è dedicato al mito della nascita di Atena, che esce armata dal capo di Giove seduto in trono. Attorno a questa scena centrale, numerose altre divinità, in una sapiente alternanza di figure statiche e di figure in movimento che si distribuiscono organicamente nello spazio triangolare del timpano: la più nota è forse quella di Dioniso semidisteso e appoggiato a una roccia. Il frontone ovest raffigura un mito forse ancor più pregnante, la contesa fra Atena e Poseidone per la conquista del ruolo di massima divinità dell’Attica. Poseidone fa scaturire una sorgente di acqua salmastra, Atena, scesa da una biga guidata da Hermes, dona l’olivo e vince, alla presenza di altri dèi e di eroi fondatori, fra cui Eretteo: prevalgono le figure in forte movimento. Le metope (quattordici sui lati brevi, trentadue su quelli lunghi) raffigurano combattimenti fra greci e amazzoni (lato ovest), fra greci e troiani (lato nord), fra dèi e giganti (lato est), fra lapiti e centauri (lato sud). Contrapposizioni violente, espresse con grande varietà di schemi iconografici, a esprimere la lotta della civiltà contro la barbarie, quasi trasposizioni nel mito di eventi storici ancora e sempre ben presenti nella memoria dei greci: le guerre persiane.Nel già splendido panorama delle sculture del Partenone, addirittura folgorante è l’invenzione del fregio, non solo perché, come s’è detto, è di tipo ionico e audacemente è inserito in un tempio dorico (c’è ad Atene un precedente, anche se di dimensioni minori, in un tempio dedicato a Efesto), ma soprattutto per rilevanza tecnico-stilistica e importanza dei contenuti. Sui quattro lati, la sua lunghezza è di centosessanta metri, i personaggi raffigurati duecentocinquantacinque. Due lunghe teorie di figure partono dall’angolo sud-ovest: una si dirige verso il lato nord e poi lo percorre, l’altra percorre il lato sud, entrambe confluiscono e si incontrano sul lato est, dove Atena attende insieme con altre divinità e dove le viene presentato un peplo ricamato. È il dono che viene offerto in occasione delle Panatenee, la festa principale della città e della dea. Sotto la direzione di Fidia, una moltitudine di mani diverse, ma tutte di eccelso livello, ha eseguito figure di grande organicità ed equilibrio, con una totale padronanza dello spazio: uso dello scorcio, resa ben riuscita della terza dimensione. Cosa tanto più sorprendente in quanto il rilievo è bassissimo. Nelle due direzioni, avanza una processione (anziani e musici, portatrici d’acqua e addetti ai sacrifici), si muovono cavalieri (è proprio qui, nell’ordinato affollarsi di uomini e animali, che la percezione della profondità è più evidente), e si muovono anche gli “apobatai”, protagonisti di corse di carri che però nel finale saltavano a terra e continuavano a piedi.


Il Partenone (447-438 a.C.), frontone orientale (con integrazioni); Atene, Acropoli.

Dioniso, dal frontone orientale del Partenone ad Atene (447-438 a.C.); Londra, British Museum.

Particolare del fregio dal Partenone ad Atene (447-438 a.C.) con scene raffiguranti le Panatenee; Londra, British Museum: Atena ed Efesto, a destra, nell’attesa che venga consegnato alla dea il peplo ricamato.




Fra le tante proposte di lettura, merita di essere ricordata quella di Luigi Beschi: le figure sul lato nord sembrano muoversi in gruppi di quattro o di dodici, numeri che forse si riferiscono alla composizione delle “fratrie”, anima del più antico ordinamento di Atene; quelle sul lato sud sono soprattutto in gruppi di dieci, numero che ricorre nell’ordinamento per “tribù”, caratteristico della riforma democratica introdotta da Clistene e valorizzata da Pericle. Non sarebbe quindi la raffigurazione realistica di una processione con due file che convergono, ma la presentazione simbolica del passaggio dall’antico al nuovo assetto politico, concordi però nel rendere omaggio agli dèi. L’opera più stupefacente, perfino al di là dei suoi meriti artistici, era la grandissima statua di Atena in oro e avorio (dodici metri di altezza: l’avorio era utilizzato per il volto, per le braccia e per le mani), inaugurata nel 438 a.C. Era al centro della cella, e un velo d’olio contenuto in un bacino la rispecchiava. Anche in questo caso, come in quello dello Zeus di Olimpia, l’originale è andato perduto, ed è ricostruibile solo attraverso riproduzioni di varia natura: da queste sappiamo che la dea recava una Nike nella mano destra e reggeva con la sinistra uno scudo. Tale scudo era decorato all’interno da una lotta fra dèi e giganti, all’esterno da una battaglia fra greci e amazzoni: in quest’ultima, secondo voci diffuse già in antico, due dei personaggi raffigurati avrebbero avuto le sembianze di Fidia stesso e di Pericle, cosa che probabilmente fu fra quelle che provocarono malumori nella polis. Come già si è visto a Olimpia, Fidia lavorò anche fuori di Atene. Un illustre archeologo come Antonio Giuliano gli aveva attribuito anche i nostri Bronzi, che sarebbero stati parte di un gruppo di tredici statue offerte come ex-voto nel santuario di Delfi dopo le guerre persiane: ne parleremo in seguito. Se Atene e Fidia hanno un ruolo fondamentale nell’“esperimento della perfezione” che caratterizza la cultura classica, non si può non accennare anche ad altri ambienti e maestri (rinunciando a parlare qui della Magna Grecia, che meriterebbe un dossier a parte). Policleto, nato ad Argo intorno al 490 a.C. e allievo del più volte citato Ageladas, fu in contatto successivamente anche con Fidia. Maestro nella scultura in bronzo, è anche lui, come molti scultori greci, noto attraverso copie marmoree di età romana. Il repertorio è tipico di un mondo artistico, quello ellenico, che ha fatto della rappresentazione del corpo umano un oggetto fondante della ricerca, e che vede nell’astratta nudità del corpo una prerogativa degli dèi, o di quelli che tali in qualche modo sono diventati grazie alle loro gesta: gli eroi, gli atleti. Il contributo di Policleto è fondamentale: aveva scritto un testo teorico, il Canone, che per noi è perduto, ma che certo è messo in pratica in opere come il Doriforo, o portatore di lancia. Caratteristiche dell’impostazione della figura “stante” (in piedi) sono la“ponderatio” (così la chiamano secoli dopo gli autori latini), e cioè la distribuzione del peso, che grava prevalentemente su una gamba, mentre l’altra è flessa, con il piede che poggia a terra solo nella parte anteriore; e il “chiasmo”, cioè una serie di correlazioni incrociate fra le parti del corpo (braccio sinistro e piede destro avanzati, braccio destro e piede sinistro portati indietro; spalla sinistra e fianco destro alzati, spalla destra e fianco sinistro abbassati). Tutto questo va di pari passo con la resa della muscolatura (“nudo di contrazione”, in cui i muscoli sono raffigurati in tensione), e si estende anche alle figure femminili, come nella statua dell’Amazzone presentata per un concorso bandito dalla città di Efeso (a cui partecipa lo stesso Fidia). Più tardi, come nel Diadumeno, o atleta che si benda i capelli, il rigore del canone si attenua: effetto dell’incontro con il maestro ateniese, che non aveva bisogno di schemi?


Doriforo, copia in marmo di età romana di un originale in bronzo (450 circa) di Policleto; Città del Vaticano, Musei vaticani, Braccio nuovo.

I BRONZI DI RIACE
I BRONZI DI RIACE
Sergio Rinaldi Tufi
Un dossier dedicato ai Bronzi di Riace. In sommario: Un inizio avventuroso; La Grecia e l'arte greca nel V secolo a.C.; Atene culla della civiltà classica: grandezza e contraddizioni; I Bronzi di Riace: opere diverse, programma comune?; Olimpia, Argo e Tebe, Tideo e Anfiarao; Statue di bronzo: tecniche di fusione e problemi di conservazione, elementi di rischio e idee inopportune. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.