la grecia e l'arte greca
nel v secolo a.c

Già dai primi decenni, il V secolo a.C. costituisce, per il mondo ellenico, una fase di maturazione. L’ episodio dirompente è rappresentato dalle guerre contro i persiani nel 490 e 480-479.

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elle “poleis” (le città-stato, una indipendente dall’altra) della Grecia, così come nelle colonie dell’Asia Minore e dell’Italia meridionale e Sicilia, i secoli VII e VI erano stati quelli dei “tiranni”, sostenuti da schieramenti sempre più ampi, che avevano soppiantato le vecchie aristocrazie. Erano stati anche i secoli dei legislatori (Licurgo a Sparta, Dracone e poi Solone ad Atene), dei grandi santuari “interstatali”, o panellenici, come Delfi e Olimpia (presso i quali si svolgevano manifestazioni atletiche e artistiche), dei sempre più accelerati sviluppi di architettura, arti figurative, letteratura, scienze, filosofia. Contemporaneamente i persiani, per impulso dei re medi e achemenidi, avevano fortemente incrementato la loro potenza ed estensione territoriale. Alla metà del VI a.C. Astiage, ultimo re dei medi, aveva dovuto cedere il potere a nuovi gruppi provenienti da sud guidati da Ciro II il Grande, discendente di Achemene: si era instaurata così la dinastia detta, appunto, degli Achemenidi, che con lo stesso Ciro aveva conquistato Babilonia e la Lidia, con Cambise II l’Egitto, con Dario (il “gran re” o il “re dei re” - come lo chiamavano gli stessi greci - salito al trono nel 522 a.C.) aveva consolidato un immenso impero dal cuore dell’Iran all’Asia Minore, fondando la nuova capitale Persepoli. E le sue mire espansionistiche si estendevano: città ioniche della costa dell’Asia Minore stessa, Bosforo, Ellesponto, Tracia, Macedonia. Fra il 499 e il 494 a.C. Mileto e altre città si ribellano. Atene, che si considera progenitrice e guida di tutti gli ioni, fornisce una piccola flotta: un aiuto non consistentissimo, ma tale da fornire a Dario il motivo per una rappresaglia. Nel 490 i persiani sbarcano nell’Attica, ma gli ateniesi, sotto la guida dello stratego Milziade e con il decisivo apporto degli alleati spartani e del loro pesante armamento (detto “oplitico”), li sbaragliano nella pianura di Maratona. Il messaggero Fidippide, con una corsa di quarantadue chilometri, reca in città la notizia della vittoria, morendo poi per lo sforzo: l’eroica impresa, si sa, dà oggi il nome (appunto “maratona”) a una popolare specialità dell’atletica leggera.


Apollo, copia in marmo di età romana di un originale in bronzo di Fidia (460 a.C. circa) ; Kassel, Landesmuseum.

Frontone occidentale dal tempio di Zeus a Olimpia (472-456 a.C.), particolare con Apollo e il centauro; Olimpia, Museo archeologico.


frontone occidentale dal tempio di Zeus a Olimpia (472-456 a.C.); Olimpia, Museo archeologico.


Frontone orientale dal tempio di Zeus a Olimpia (472-456 a.C.); Olimpia, Museo archeologico.

Serse, successore di Dario, tenta nel 480 un nuovo e più poderoso attacco per terra e per mare. Al passo delle Termopili, difeso dagli spartani di Leonida, vince una celebre, drammatica battaglia; altrettanto celebre, però, è la vittoria navale dei greci presso l’isola di Salamina, dovuta alla flotta di duecento navi che l’ateniese Temistocle, vincendo anche contrasti interni, aveva fatto costruire. L’anno successivo i persiani riescono addirittura a espugnare e distruggere Atene, ma poi soccombono a Platea. La vittoria sulla temibile potenza asiatica ha un enorme risvolto strategico (le città-stato del mondo greco hanno trovato un inconsueto accordo e hanno circoscritto l’espansione iranica), politico (Atene ha in pratica riaffermato il suo ruolo di polis-guida), artistico-culturale: nei santuari e nelle città assistiamo a grandi realizzazioni nell’architettura e nelle arti figurative. Alcune attività dell’alto artigianato peraltro, come la ceramica dipinta, non hanno conosciuto pause nemmeno durante i conflitti. In questo tentativo di ricostruire in qualche modo un contesto intorno ai capolavori di Riace dovremo ovviamente insistere soprattutto su celebri statue, ma non sarà possibile ignorare i grandi monumenti architettonici, caratterizzati da uno splendido equilibrio delle strutture, e al tempo stesso “contenitori” di mirabili gallerie di sculture: frontoni, metope, fregi. Cominciamo dai grandi santuari panellenici e dalla città egemone, Atene. Fra i santuari, merita la precedenza quello di Olimpia (sotto il controllo della città di Elide nella regione omonima, nella valle dei fiumi Alfeo e Cladeo), che secondo la tradizione ospita dal 776 a.C. i giochi più famosi, le Olimpiadi. Qui sorge inoltre, aggiungendosi a quelli preesistenti (fra cui il tempio di Hera), uno dei primi grandi monumenti costruiti nel mondo greco dopo la vittoria sui persiani, simbolo di una ritrovata, seppur effimera unità: il tempio di Zeus, affidato all’architetto Libon di Elide e realizzato fra il 472 e il 456 a.C. Forse, fra gli ispiratori dei programmi di Olimpia e dell’Elide era l’ateniese Temistocle, protagonista della seconda guerra persiana, accolto in effetti con grandi onori quando volle presenziare alla prima edizione dei giochi dopo il conflitto: e non a caso gli elei introdussero presto la democrazia che vedremo fra i tratti caratterizzanti di Atene. Infine, secondo una recente ipotesi, gli scultori autori dell’amplissimo programma figurativo sarebbero Ageladas e Alkamenes, su cui torneremo a proposito dei Bronzi (si era parlato in precedenza di un Maestro di Olimpia, dato che sembrava arduo giungere a una precisa identità). Torneremo, fra l’altro, sul fatto che erano soprattutto, appunto, grandi bronzisti, mentre qui lavorano lo splendido marmo dell’isola di Paros. Il tempio, come quello già ricordato di Hera, era esastilo (sei colonne in facciata), di ordine dorico: nel frontone occidentale era raffigurata la mitica lotta fra centauri e lapiti; in quello orientale la fase iniziale della corsa, pure mitica, di Pelope e Enomao, nelle metope la fatiche di Ercole. Una folla di figure: e all’interno della cella era l’enorme statua di Zeus, in oro e avorio, opera di Fidia.


Ippodamia e il centauro;

Lotta tra centauri e lapiti.

Eracle aiutato da Atena sorregge la volta celeste mentre sta per ricevere da Atlante i pomi delle Esperidi; Olimpia, Museo archeologico.


Eracle lotta con il toro di Creta; Parigi, Musée du Louvre.


Eracle e Atena; Parigi, Musée du Louvre.

L’antico mito della corsa sembra quasi un preludio all’istituzione dei giochi. Enomao, re di Pisa (antica città greca poi soppiantata appunto da Elide), aveva proclamato che avrebbe dato in sposa la figlia Ippodamia solo a un pretendente capace di batterlo nella corsa dei carri; Pelope lo sconfisse e uccise con la complicità dell’auriga Mirtilo, che sabotò le ruote del carro regale (strano, certo, che nella patria dello spirito olimpico tutto nasca con una gara truccata). La fase raffigurata è quella della presentazione a Zeus dei contendenti; sono visibili anche la fanciulla contesa, l’auriga traditore, le personificazioni dei fiumi Alfeo e Cladeo. Figure immobili ma cariche di tensione, in attesa che si scateni la gara fatale. Nell’altro frontone, invece, una lotta violenta è già in pieno svolgimento. Durante la festa che celebra le nozze di un’altra Ippodamia, figlia di Adrasto re di Argo, con Piritoo, re dei lapiti, i centauri tentano di strappare a questi ultimi le donne. I lapiti, con l’aiuto dell’eroe ateniese Teseo, reagiscono. La convulsione degli scontri è evidente, le figure si avvinghiano drammaticamente, ma non si perde una sorta di solenne compostezza, evidente soprattutto nella dominante figura centrale di Apollo, che sembra si accinga a mettere ordine (questa figura è quella in cui forse meglio si apprezza lo splendore del marmo: ed è strano pensare che, come quasi sempre nell’arte classica, in origine la scultura era colorata). La stessa impressione di forza sovrumana, esposta però in forma contenuta, caratterizza le metope dedicate a Eracle, come quella che raffigura l’episodio dei pomi delle Esperidi, in cui l’eroe sostiene, sostituendo momentaneamente Atlante, la volta celeste. Siamo nella fase iniziale del periodo classico, denominata convenzionalmente “arte severa”: sta per compiersi il lungo cammino dell’arte greca verso la resa perfetta (organicità, equilibrio delle proporzioni, disposizione nello spazio) della figura umana, vista quasi come rappresentazione simbolica dell’armonia dell’universo. Sarebbe stato significativo, in questo contesto, osservare la già ricordata, colossale statua “crisoelefantina” (cioè di oro e avorio) raffigurante Zeus: Fidia la eseguì in un secondo momento, intorno al 440, in una pausa dei suoi lavori ad Atene.
Per lui e per i suoi collaboratori fu allestita a ovest del tempio un’officina, di cui si sono rinvenuti cospicui resti. La statua era una delle sette meraviglie del mondo. Il dio era seduto su un trono di ebano ornato con figure eseguite con varie tecniche (a rilievo, a tutto tondo, a incrostazione); teneva una statua di Nike (Vittoria) nella mano destra, lo scettro nella sinistra. La grande opera, però, è perduta, e la conosciamo solo da riecheggiamenti in opere minori. Ma torniamo alle grandi sculture del periodo “severo”, e più recisamente a quelle che si trovavano in altri santuari. La più universalmente nota è l’Auriga di Delfi: qui i giochi facevano parte del complesso culto oracolare di Apollo. Come nel frontone est di Olimpia, siamo in una fase di stasi (resa evidente dalla pesante veste scandita da pieghe verticali) che precede il movimento. Efficacia nel rappresentare questa energia potenziale, ma anche altissima perizia nei dettagli: sui capelli disegnati quasi calligraficamente si posa una tenia (benda) decorata a meandri con incrostazioni di rame e argento; le ciglia sono di rame, gli occhi di pietra dura. La stessa perizia si dispiega nella naturalezza di esecuzione dei piedi: evidenti le vene e i tendini. Queste caratteristiche («rendere perfetta l’anatomia dei vasi sanguigni») sembrano corrispondere con quelle che Plinio il Vecchio attribuisce a un grande maestro, Pitagora di Samo, autore della raffigurazione di un auriga illustre, Polyzalos tiranno di Gela, vittorioso appunto a Delfi nella corsa dei carri nel 478 a.C. e forse nel 474. La celebre statua, dunque, dovrebbe essere opera di uno degli artisti più celebrati e raffigurare un eminente leader politico.
Viene da qualcuno attribuito a Pitagora, sia pure con dubbi, un altro celebre Auriga (ma in marmo) scoperto a Mozia, isola presso Trapani che si trovava sotto il controllo dei cartaginesi: furono forse loro a razziarlo da un santuario della Sicilia. Anche qui troviamo una lunga veste resa con una perizia ai limiti del virtuosismo: ma per la verità il ritmo delle pieghe non sembra paragonabile a quello del “collega” di Delfi. È stato autorevolmente proposto da Paolo Moreno (studioso di cui riparleremo) di vedere in questa statua una raffigurazione della divinità fenicia Melqart eseguita da un artista di formazione greca. Ancora in bronzo, invece, è realizzata una grande statua nuda (altezza circa due metri) trovata in mare presso il capo Artemisio: come i Bronzi di Riace, è priva di contesti, né si sa come, quando e perché stesse navigando da queste parti (predata, o acquistata, dai romani e affondata durante il viaggio?). È difficile inoltre dire se si tratti di un atleta che scaglia una lancia, di Poseidone che brandisce un tridente o di Zeus che lancia un fulmine: di sicuro si tratta di un altro capolavoro, attribuito (molto dubitativamente) ad Ageladas, notevole soprattutto per l’equilibrio che mantiene malgrado il movimento piuttosto vivace, le gambe divaricate, le braccia tese in due direzioni opposte. Non è da escludersi che fosse stato collocato proprio sull’Artemisio, parte di un donario (ex voto) panellenico offerto fra il 480 e il 470 dopo la vittoria sui persiani. Il naufragio della nave che probabilmente (come si è detto) trasportava questa statua in Italia avvenne nel 200 a.C. circa: i materiali datanti non sono però molti, poiché, poco dopo il ritrovamento (1926), le ricerche furono interrotte a causa della morte di uno dei partecipanti e mai più riprese. Notissimo scultore di età severa è anche Mirone, le cui opere sembrano concentrarsi soprattutto nel 460-440. Dèi, eroi, atleti sono i suoi temi preferiti: le sue statue erano presumibilmente in bronzo, ma ci sono pervenute solo copie in marmo di età romana. Molto originale era il gruppo di Atena e Marsia: la dea ha appena gettato il flauto, Marsia sta per coglierlo e per sfidarla in una gara che gli costerà non solo la sconfitta, ma una tremenda punizione da parte di Apollo (sarà scorticato). Si raffigura vivacemente, quindi, una sorta di attimo fuggente fra una fase e l’altra della drammatica vicenda.


Pitagora di Samo, Auriga di Delfi (478 o 474 a.C.); Delfi, Museo archeologico. Il dubbio sulla datazione dipende dal fatto che non si sa con certezza se Polyzalos di Gela, auriga illustre, che dovrebbe essere qui raffigurato, avesse partecipato a entrambe le edizioni dei giochi di Delfi, e quale avesse vinto.

Maestro di formazione greca in ambiente fenicio, Auriga di Mozia, raffigurazione del dio fenicio Melqart (?) (metà del V secolo a.C.); Mozia (Trapani), museo Whitaker.

Zeus (o Poseidone) di capo Artemisio (480-470 a.C.); Atene, Museo nazionale. Nelle opere che, in queste due pagine, esprimono in qualche modo il meglio dell’arte “severa”, si manifesta anche un tipo di problematicità che caratterizza gran parte degli studi sull’arte antica: la mancanza, sotto aspetti di volta in volta diversi, di dati fondamentali; la conseguente ridda di congetture. Se per l’Auriga di Delfi, dopo secoli di discussioni, si è infine formulata una proposta forse attendibile (Polyzalos di Gela, tiranno e al tempo stesso atleta, raffigurato da Pitagora di Samo), per il bronzo di Capo Artemisio non c’è, e forse non ci sarà mai, alcuna certezza (Zeus? Poseidone? un lanciatore di giavellotto?); mentre, per quanto riguarda il giovane di Mozia, il fatto che l’ipotesi più recentemente formulata sia suggestiva (un autore greco per l’immagine di una divinità fenicia) forse non basta a dissolvere la vertiginosa molteplicità di interpretazioni che si era andata scatenando in pochi anni dopo la scoperta (1979).


Copia in marmo di età romana di un originale in bronzo (460-450 a.C.) di Mirone; Roma, Museo nazionale romano.


Zeus, copia in marmo, di dimensioni ridotte, di età romana di un originale in bronzo (metà del V secolo a.C.) di Mirone, eseguito per l’isola di Samo; Firenze, Museo archeologico nazionale.

I BRONZI DI RIACE
I BRONZI DI RIACE
Sergio Rinaldi Tufi
Un dossier dedicato ai Bronzi di Riace. In sommario: Un inizio avventuroso; La Grecia e l'arte greca nel V secolo a.C.; Atene culla della civiltà classica: grandezza e contraddizioni; I Bronzi di Riace: opere diverse, programma comune?; Olimpia, Argo e Tebe, Tideo e Anfiarao; Statue di bronzo: tecniche di fusione e problemi di conservazione, elementi di rischio e idee inopportune. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.