Gli interventi furono raccolti in un volume impegnativo, caso unico fino a quel momento, almeno in Italia(12).
Tale pubblicità innescò, specie da parte di musei, italiani e stranieri, negli anni successivi, un interesse tramutatosi in qualche acquisto. L’editore, nella breve prefazione al volume - di oltre ducentosettanta pagine, cui seguiva la pubblicità dei due libri pubblicati sulla tecnica artistica e sul divisionismo - scrisse che si trattava di una data memorabile oltre che nella storia dell’arte moderna, in quella del giornalismo italiano, in quanto che era la prima volta che da un estremo all’altro d’Italia la stampa nei suoi organi principali e per la voce della critica d’arte glorificava unanimemente lo stesso artista.
Si andava dalla profetica recensione del 1891 di Alfredo Melani alla Maternità («Che originalità! Che sentimento! E il disegno e il colore?... tutto ivi si fonde in un’armonia vaga, misteriosa, indistinta come un sogno») a quella non meno valida di Domenico Tumiati del 1901 su “Emporium”, che riportava alcuni brani di conversazioni avute con l’artista («Gaetano Previati mi parlava in mezzo a una strada […]: - Guarda quelle case… E le vesti che tutti portano indosso… E l’espressione, l’espressione di tutti i volti… Dove possiamo trovare la verità?»).
Altri articoli come quello, lungo e monografico, dello scrittore nazionalista Enrico Corradini sulla “Nuova Antologia” del 1° dicembre 1906, tendevano invece, partendo da dove era situato lo studio dell’artista, un appartamento di fronte alla milanese piazza Duomo, a coglierne una sorta di “genius loci”: la sua capacità di immergersi nella vita di tutti i giorni e allo stesso tempo di farlo con l’ingenuità dell’antica religione medievale italica («Questo pittore non è religioso perché dipinge Crocifissi e Madonne, ma è religioso perché li dipinge con animo religioso »). Un critico giovane nonché direttore della veneziana Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro come Nino Barbantini sulla “Perseveranza” lamentò invece come Previati fosse estraneo ai gusti del grande pubblico, che «giudica l’arte come le pillole contro l’anemia, attraverso la réclame», adducendo come prova il fatto che, quantunque tutti i giorni le sale della Permanente avrebbero dovuto essere affollate vista l’importanza dell’artista, in realtà quando visitò la mostra il secondo giorno d’apertura le trovò desolatamente vuote. Ancora, Vittore Grubicy sul “Secolo” del 31 gennaio 1910 paragonò l’ostracismo cui era stato sottoposto Previati («in modo quasi analogo e con accanimento forse maggiore») a quello che aveva subito, «in mezzo alla trionfante Scuola di Barbizon e alla ancora prepotente Accademia, il Puvis de Chavannes».