I LIBRI SULLE TECNICHE 
ARTISTICHELA GRANDE ESPOSIZIONEDEL 1910 ALLA PERMANENTE 
DI MILANO

Nel 1905, per l’editore Bocca, Previati pubblicò il primo volume di una trilogia sulle tecniche artistiche, La tecnica della pittura.

Tale nodo teorico aveva già interessato l’artista almeno a partire dal decennio precedente, come rivela una lettera al fratello del 1° giugno 1896, dalla quale si viene a sapere che aveva partecipato a un concorso bandito dal ministero della Pubblica Istruzione «per la migliore memoria sulla tecnica dei dipinti», classificandosi primo - anche se il premio di lire tremila la giuria aveva ritenuto di non doverlo assegnare. Previati continuava dicendo che aveva intrapreso l’azione teorica anche per giustificare la propria arte divisionista; in questo modo, infatti, «si verrebbe ad acquistare un riconoscimento ufficiale sulle questioni tecniche moderne che sono la bestia nera dei critici e del pubblico». Quando vinse il premio, Previati era noto, dal punto di vista teorico, per aver tradotto, tre anni prima, La science de la peinture, pubblicata da Jean-Georges Vibert nel 1891.

Il sogno (1912).


La tecnica della pittura (1905).
Pagina del volume di Gaetano Previati con biglietto da visita e dedica manoscritta dell’artista all’Accademia di Venezia.

In La tecnica della pittura, volume di oltre trecento pagine come quello di Vibert, Previati partì dalla pittura antica degli egizi, passando poi per l’encausto, la tempera e soprattutto il colore a olio, cui dedicò forse il capitolo più denso di considerazioni. Nella Prefazione chiarì che l’interesse verso la tecnica da parte di un artista era anzitutto «impegno morale della più lunga conservazione della sua opera»; di conseguenza, come ben spiegherà nel capitolo VIII, egli dovrà occuparsi della «costituzione molecolare dei corpi», essendo - come aveva più volte ribadito - il colore «non una qualità inerente ai corpi», ma un effetto che determina la luce incontrandoli - e qui portava l’esempio lucido della fotografia, che altro non è che il prodotto della luce quando essa colpisce il bromuro d’argento. Per tutto il volume Previati dimostrava di avere una notevole cultura dottrinale, conoscendo i grandi trattatisti, da Cennini a Vasari, Lomazzo, Baldinucci, Milizia; fino ai contemporanei, Charles L. Eastlake, Cavalcaselle, Boito, Morelli. Ma è soprattutto nei due capitoli finali, dedicati al restauro, che emerge il sostrato migliore di Previati. Lamentata la mancanza di «sperimentazione», il «tirocinio pratico» che anticamente si svolgeva nei laboratori «dove si preparava tutto il materiale occorrente per dipingere», Previati inveiva contro la concezione del restauro con «ritocco pittorico» che tendeva a «infestare il campo dell’arte antica». Ci si deve persuadere, concludeva l’artista, che non potrà mai esserci «l’inalterabilità assoluta» dell’opera d’arte nel tempo. E quando si deve scegliere, non potendo fare altrimenti quando l’opera è in condizioni pessime, tra l’aggiungere colore travisandone l’ispirazione originaria e lasciare che l’opera perisca, Previati non aveva dubbi: «Se l’ultimo sforzo dell’intelligenza di chi ama quest’opera non può condurre a mantenerne in piedi che la maschera ripugnante prodotta dal cincischiamento di cento mani, meglio è lasciarla perire perché è cessata la sua ragione di esistere»(9).


Notturno (o Il silenzio) (1908); Gardone Riviera (Brescia), Fondazione Il Vittoriale degli italiani.


La sala della musica decorata da Gaetano Previati nel 1908 per la residenza milanese della figlia di Alberto Grubicy; Porto Marghera (Venezia), Asac - Archivio storico delle arti contemporanee.

(9) Vedi G. Previati, La tecnica della pittura, Torino 1905, passim. Proprio queste affermazioni finali del pittore lasciano intendere come non sia del tutto esatto, nella ristampa del volume (Milano 1990), quanto afferma nella Presentazione E. Baj, p. 11: «Al contrario dei pittori greci il Previati mira all’eternità».

Convinto della funzione sociale di un’opera d’arte, oltre che della sua immanenza, Previati sembrava predire quello che poco più di quarant’anni più tardi avrebbero dichiarato gli spazialisti nel primo Manifesto (1947): «L’arte è eterna, ma non può essere immortale. […] Rimarrà eterna come gesto, ma morrà come materia».
Nel secondo volume, apparso l’anno successivo, I principi scientifici del DivisionismoPreviati racchiude in undici capitoli, seguiti da un dodicesimo sul divisionismo, le ragioni scientifiche che dovrebbero spingere gli artisti a indagare attentamente questa nuova frontiera della pittura. Come ha osservato correttamente Antonio P. Torresi nella ristampa del 2007, rispetto al “pointillisme” francese, «quest’ultimo sì strettamente legato alle teorie scientifiche», lo «scientismo» di Gaetano Previati è in realtà sui generis - un po’, aggiungo io, come sui generis era il suo misticismo simbolista. Sfogliando infatti le pagine dense di illustrazioni anatomiche sull’occhio, sulla riflessione e rifrazione della luce, sulla visione prospettica, sulle caratteristiche chimiche e fisiche delle sostanze coloranti, e così via, non si percepisce il trattato di uno studioso di chimica o fisica - sebbene siano svariate decine gli artisti e gli scienziati che Previati nomina, da Leon Battista Alberti a Leonardo, Cartesio, Newton, Ernest W. von Brücke, David Brewster, Goethe, James C. Maxwell, Nicholas O. Rood, Chevreul, Segantini -, di cui non aveva peraltro le competenze; ma l’ansia di un artista che cercava di trovare risposte e soluzioni ai problemi concettuali - ed esistenziali - che lo assillavano.
La conclusione cui giunge Previati è che, come lo sviluppo dell’anatomia e della prospettiva avevano a loro tempo contribuito a migliorare i dipinti, così le teorie divisioniste, ultime nate, erano in grado ora di apportare lo stesso contributo. Senza dimenticare tuttavia che, in ultima analisi, esse non potevano sostituirsi all’artista, che rimaneva nella sua ineffabilità: «L’opera d’arte stessa per la costituzione dei suoi mezzi tecnici avvertirà il riguardante della vanità di cercarvi un senso che i mezzi plastici impiegati non possono destare, giacché le sostanze coloranti non funzionano per le intenzioni di chi le adopera, ma per le sole proprietà che possono essere loro concesse dalla consistenza materiale e dal modo di adattamento loro imposto dall’artista»(10).
Concetto ribadito nel terzo volume, Della pittura. Tecnica e arte. Dopo aver scritto nei precedenti di arte nei diversi secoli e di scienza utile alla pittura, perviene a una sorta di sintesi privilegiando l’aspetto dell’ «idealità» cui anche la «sensazione luminosa», principale obiettivo della pittura contemporanea, deve obbedire: non dovendosi infatti eccedere «colla fedeltà minuziosa priva di ogni scelta che è propria d’un istrumento meccanico»(11).
Si è accennato al fatto che Alberto Grubicy nel 1909 stipulò un nuovo contratto con Previati creando una vera e propria società in accomandita semplice, “Per l’arte di Gaetano Previati”, contratto in base al quale il pittore gli cedeva per dieci anni tutta la sua produzione. L’anno precedente l’artista aveva realizzato una sala della musica per la figlia del proprio mercante, insieme di dipinti che Grubicy darà poi a D’Annunzio. Nel 1910 Grubicy organizzò per Previati un’imponente esposizione monografica alla Permanente di Milano, dove l’artista mandò duecento opere.
In essa erano presenti lavori pittorici - tra i quali Maternità, Madonna dei gigli (1893 -1894), La danza delle ore (1899 circa), Georgica (1905), il trittico L’eroica (1907), Le Marie ai piedi della croce (1897) - e grafici, nonché fotoincisioni delle opere più famose, raccolte entro custodie raffinate. Grubicy si prodigò anche per avere un importante ritorno d’immagine sulla stampa.


Emilio Sommariva, Previati e Grubicy (1917); Milano, Biblioteca nazionale braidense, Fondo Sommariva.


Madonna dei gigli (1893-1894); Milano, Galleria d’arte moderna.
Esposta nel 1894 alla Triennale di Brera, l’opera rientrava nel novero dei tentativi del pittore di esprimere attraverso tecniche nuove le idee sottese al proprio operare. «L’arte è unicamente la facoltà di rievocare le immagini della mente e la forza di renderle sensibili coi mezzi speciali dell’arte pittorica sinché l’artista veda rispecchiata la propria visione come fosse viva per lui», scriveva al fratello nel 1893. E ancora, nella stessa lettera: «L’ultimo esempio l’ho avuto in quella Madonna coi gigli che ti ho detto mi preoccupa tanto per Brera». Esposta anche alla Biennale di Venezia del 1901, compirà un tour per diverse città tedesche, in particolare Monaco, dove verrà presentata al Glastpalast nel 1905.

(10) Vedi G. Previati, I principi scientifici del Divisionismo, Torino 1906; vedi anche la ristampa del 2007, Ferrara 2007, a cura di A. P. Torresi.
(11) Cfr. G. Previati, Della Pittura. Tecnica ed arte (prima ed. 1913), III ed., Milano 1937, passim, citazione finale, p. 158.

Studio per La danza delle ore (1899 circa).


La danza delle ore (1899 circa); Milano, Fondazione Cariplo.

Sacra Famiglia (1902).


Georgica (1905); Città del Vaticano, Musei vaticani.
Fu presentata alla Biennale veneziana del 1905 con Il giorno sveglia la notte. Al pari di quanto accaduto in precedenti occasioni, anche questa opera non incontrò i favori del pubblico, come rivelava lo stesso Previati in una lettera del 1906 al segretario della manifestazione veneziana Antonio Fradeletto, nella quale lamentava l’avversione sia dei critici che dei colleghi: «È superfluo dimostrare come sia ancora oggi schiacciante la maggioranza degli artisti ostili al divisionismo e come tutte le istituzioni artistiche siano rette da spiriti [avversi agli interpreti di] tale tecnica».

Gli interventi furono raccolti in un volume impegnativo, caso unico fino a quel momento, almeno in Italia(12).
Tale pubblicità innescò, specie da parte di musei, italiani e stranieri, negli anni successivi, un interesse tramutatosi in qualche acquisto. L’editore, nella breve prefazione al volume - di oltre ducentosettanta pagine, cui seguiva la pubblicità dei due libri pubblicati sulla tecnica artistica e sul divisionismo - scrisse che si trattava di una data memorabile oltre che nella storia dell’arte moderna, in quella del giornalismo italiano, in quanto che era la prima volta che da un estremo all’altro d’Italia la stampa nei suoi organi principali e per la voce della critica d’arte glorificava unanimemente lo stesso artista.
Si andava dalla profetica recensione del 1891 di Alfredo Melani alla Maternità («Che originalità! Che sentimento! E il disegno e il colore?... tutto ivi si fonde in un’armonia vaga, misteriosa, indistinta come un sogno») a quella non meno valida di Domenico Tumiati del 1901 su “Emporium”, che riportava alcuni brani di conversazioni avute con l’artista («Gaetano Previati mi parlava in mezzo a una strada […]: - Guarda quelle case… E le vesti che tutti portano indosso… E l’espressione, l’espressione di tutti i volti… Dove possiamo trovare la verità?»).
Altri articoli come quello, lungo e monografico, dello scrittore nazionalista Enrico Corradini sulla “Nuova Antologia” del 1° dicembre 1906, tendevano invece, partendo da dove era situato lo studio dell’artista, un appartamento di fronte alla milanese piazza Duomo, a coglierne una sorta di “genius loci”: la sua capacità di immergersi nella vita di tutti i giorni e allo stesso tempo di farlo con l’ingenuità dell’antica religione medievale italica («Questo pittore non è religioso perché dipinge Crocifissi e Madonne, ma è religioso perché li dipinge con animo religioso »). Un critico giovane nonché direttore della veneziana Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro come Nino Barbantini sulla “Perseveranza” lamentò invece come Previati fosse estraneo ai gusti del grande pubblico, che «giudica l’arte come le pillole contro l’anemia, attraverso la réclame», adducendo come prova il fatto che, quantunque tutti i giorni le sale della Permanente avrebbero dovuto essere affollate vista l’importanza dell’artista, in realtà quando visitò la mostra il secondo giorno d’apertura le trovò desolatamente vuote. Ancora, Vittore Grubicy sul “Secolo” del 31 gennaio 1910 paragonò l’ostracismo cui era stato sottoposto Previati («in modo quasi analogo e con accanimento forse maggiore») a quello che aveva subito, «in mezzo alla trionfante Scuola di Barbizon e alla ancora prepotente Accademia, il Puvis de Chavannes».


L’Annunciazione (1912); Milano, Galleria d’arte moderna.


L’eroica (1907); Roma, Associazione nazionale fra mutilati e invalidi di guerra.


Armonia (o Sinfonia) (1908); Gardone Riviera (Brescia), Fondazione Il Vittoriale degli italiani.


Il trafugamento del corpo di Cristo (1912); Ferrara, Museo dell'Ottocento.

(12) Vedi L’arte di Gaetano Previati nella stampa italiana.
Articoli critici-biografici e conferenze, Milano-Torino-Roma 1910. Tutte le successive citazioni s’intendono, salvo indicazione diversa, tratte da questo volume.

PREVIATI
PREVIATI
Sileno Salvagnani
Gaetano Previati (Ferrara 1852 - Lavagna 1920) si forma a Milano nell’ambiente della Scapigliatura ma sceglie prestissimo di avvicinarsi alle sperimentazioni dei divisionisti francesi e di Segantini. Divisionista è il suo primo lavoro di successo, Maternità (1890). Col tempo sviluppa anche tematiche mistico-simboliste sulla scia di Redon e Rops. Nel 1907 è alla Biennale di Venezia e poi alla mostra dei divisionisti italiani che sitiene a Parigi su iniziativa del mercante Grubicy, che sarà il suo principale sostenitore. Esplora i più diversi soggetti – compresi paesaggi e nature morte – ma torna più spesso su temi religiosi, fantastici, letterari.