Studi e riscoperte. 2
Arte e potere nell’Ottocento

le facce
della dissidenza

Sin da tempi remoti l’arte è stata strumento per affermare o negare l’autorità. Finalità acquisita in modo consapevole dagli artisti a partire dal XIX secolo quando, in modo palese o nascosto, gli ideali di indipendenza da regimi totalitari, di libertà di espressione, di rottura con la morale precostituita diventano segnali inequivocabili di un cambiamento epocale.

Cristina Beltrami

il rapporto tra arte e potere è antico. L’immagine possiede una forza evocativa e condizionante che può essere strumento della politica o suo temibile nemico. Nel corso dell’Ottocento l’artista guadagna una consapevolezza che nei secoli precedenti era concessa solo alla straordinarietà del genio. Gli artisti comprendono d’appartenere a un’aristocrazia intellettuale, che permette loro di esprimersi con libertà rispetto al potere. Nei casi più repressivi però, come l’Italia preunitaria, dominata dalle potenze straniere, gli artisti romantici affidano il loro messaggio di libertà a immagini criptate: espongono soggetti storici, lontani temporalmente dalla realtà contingente, che possano però essere letti in chiave contemporanea.
Quando Alessandro Puttinati (1801-1872), scultore veronese di formazione tardo neoclassica, presenta il suo Masaniello alla mostra di Brera del 1846, prende indirettamente posizione contro la dominazione austriaca. La vicenda del pescatore analfabeta, che nel 1647 guidò la rivolta del popolo napoletano contro le assurde richieste del governo spagnolo instauratosi in città, era infatti assai nota anche all’estero e Masaniello era il simbolo stesso dell’indipendenza popolare e della lotta al potere. Puttinati insiste sulla teatralità dei gesti e modella il giovane pescatore nel pieno dell’azione mentre, col braccio alzato e il randello nella mano destra, lancia un urlo, incitando alla rivolta. L’artista compie in questo caso anche un atto di dissidenza estetica: il vibrante naturalismo di Puttinati si pone in antitesi con le regole della scultura accademica basata ancora sulla ripresa di modelli antichi. La scultura di stampo accademico viene disertata in Francia, già a partire dagli anni Trenta, da artisti come François Rude (1784-1855) che nel 1833 dà inizio alla modellazione della Marsigliese, nella quale recupera il gesto del braccio teso, reso celebre dalla Libertà che guida il popolo che Eugène Delacroix presenta al Salon del 1831. Il dipinto è la diretta, e orgogliosa, testimonianza di quanto accaduto tra il 27 e il 29 luglio dell’anno precedente, quando il popolo di Parigi si solleva contro il governo di Carlo X. Il successore di re Luigi XVIII, insediatosi nel 1829, aveva imposto un governo di stampo totalitario, che i parigini non potevano tollerare e che portò all’insurrezione delle note Tre gloriose giornate. Delacroix ribadisce la libertà del tricolore attraverso rimandi cromatici all’interno del dipinto: il blu, il bianco e il rosso della bandiera francese compaiono strategicamente in alcuni punti della tela. Non senza un certo populismo, questo frammento di rivolta inquadra tutte le fasce della società francese: la Libertà guida il popolano con la camicia sdrucita, il giovane militare e il borghese con la tuba. La folla si confonde in una massa magmatica in cui ognuno può riconoscersi in una lotta comune per la riconquista dei diritti violati. È indubbio dunque che esiste un’iconografia della rivolta: il braccio energicamente alzato viene subito letto come un’incitazione alla battaglia. Lo si ritrova dai rilievi romani all’epoca romantica, naturalmente con sfaccettature differenti: se infatti il grande altorilievo della Marsigliese di Rude, destinato al piedritto orientale dell’Arco di trionfo, era stato commissionato da Napoleone nel 1806 per celebrare le glorie delle campagne napoleoniche, la giovane donna con il berretto frigio e il seno scoperto di Delacroix è un monito che ricorda al governo in carica come i parigini tengano alla propria libertà.
La stessa libertà difesa da Honoré Daumier (1808- 1879), artista noto per la verve satirica e che aveva pagato con il carcere il suo attacco diretto a re Luigi Filippo, successore di Carlo X, ritratto nelle sembianze del gigante Gargantua, realizza La rivolta, un dipinto che celebra i moti del 1848 che posero fine alla Monarchia di luglio, com’è appunto detto il regno di Luigi Filippo d’Orlèans. Il popolano di Daumier alza il braccio destro lanciandosi nella mischia ma senza la forza retorica della gestualità romantica. Daumier è infatti prossimo alle soluzioni realiste di Gustave Courbet (1819-1877), ragione della sua adesione alla Fédération des artistes, fondata proprio da Courbet nel 1870 a sostegno dello sviluppo di un’arte libera da censure. Courbet incarna l’artista dissidente per eccellenza; colui che nel 1855, vedendosi rifiutato dal Salon, crea un proprio padiglione dove espone trentanove dipinti realisti in piena antitesi con il linguaggio dell’arte ufficiale. Sempre nel 1870 rifiuta la prestigiosa onorificenza della Légion d’honneur perché simbolo di quell’establishment ch’egli avversa. Il gesto lo rese popolare presso i socialisti che nel 1871, durante la Comune di Parigi, gli affidarono la salvaguardia dei musei cittadini e lo sostennero quando propose di abbattere la colonna napoleonica della Grande Armée di piazza Vendôme. Terminata la breve rivoluzione, Courbet pagò la sua militanza nell’opposizione con la condanna a sei mesi di carcere e un’ammenda talmente alta da costringerlo all’esilio in Svizzera.

La lettrice di Faruffini sta fumando, un gesto che apparteneva
al solo universo maschile e che rende il dipinto ancora più rivoluzionario



Negli stessi anni, in Italia, ormai divenuta Regno, gli artisti hanno un nuovo bersaglio: la morale borghese. Quando Federico Faruffini immortala la sua Lettrice (o Clara), di spalle, sprofondata in una poltrona, presa dalla lettura con una sigaretta spavaldamente tenuta tra le dita, mette in scena un gesto di vera emancipazione femminile. Il soggetto tanto anticonformista è il frutto dell’ambiente scapigliato milanese animato da scrittori come Igino Ugo Tarchetti che nel 1869 aveva dato alle stampe Fosca, romanzo in cui la protagonista «divora i libri, è un tarlo da libri, legge come noi fumiamo». La lettrice di Faruffini sta dunque fumando, un gesto che apparteneva al solo universo maschile e che rende il dipinto ancora più rivoluzionario. L’artista si pone sulla scia di celebri precedenti francesi legati alla diffusione dei romanzi di George Sand (pseudonimo della scrittrice Amantine A. L. Dupin) che si mostrava in pubblico vestita da uomo, fumando e intrattenendo scandalose relazioni sentimentali.


Eugène Delacroix, La Libertà che guida il popolo (1830), Parigi, Musée du Louvre.

Alessandro Puttinati, Masaniello che chiama il popolo alla rivolta (1846), Milano Galleria d’arte moderna.

Honoré Daumier, La rivolta (1848 circa), Washington, Phillips Collection.

Léonce Schérer, Souvenirs de la Commune, stampa (1871 circa), Parigi, Bibliothèque nationale de France.


Federico Faruffni, La lettrice o Clara (1864-1865), Milano, Galleria d’arte moderna.

ART E DOSSIER N. 315
ART E DOSSIER N. 315
NOVEMBRE 2014
In questo numero: UTOPISTI E ANTISISTEMA Rotella e gli ''affichistes''; Il Camino di Santiago tra San Francesco e il contemporaneo; Orcadi: una chiesa in prigionia; Ribelli e dissidenti ottocenteschi. IN MOSTRA: Klein e Fontana, Modigliani, Cartier-Bresson.Direttore: Philippe Daverio