Studi e riscoperte. 1 
La Italian Chapel delle isole Orcadi

quando arte
fa rima con pace

Fra il 1942 e il 1945, in un campo di prigionia inglese nelle isole Orcadi, un gruppo di soldati italiani costruì una cappella con mezzi di fortuna ma di grande suggestione. Tutt’oggi, dopo un restauro, è fra le attrattive turistiche della zona.

Marco Bussagli

che il male assoluto sia la guerra non deve essere dimostrato. Piuttosto, è assai singolare che in un momento buio come quello della seconda guerra mondiale ci sia stato un episodio inaspettato e lucente come quello che sto per raccontare. Bisogna infatti sapere che, dopo la tragedia di Scapa Flow, quando la corazzata britannica Royal Oak, fra il 13 e il 14 ottobre 1939, fu affondata dal sottomarino tedesco U-47 comandato dal tenente di vascello Günter Prien provocando ottocentottantatré morti, il governo inglese decise di correre ai ripari(1). Fu Winston Churchill in persona a pretendere il varo di quelle che passarono alla storia come Churchill Barriers, una sorta di recinzione che doveva rendere impenetrabile l’arcipelago delle Orcadi, dove era avvenuto il disastro e dove, appunto a Scapa Flow, era la sede della più importante base navale inglese. Del resto si stava per entrare in guerra e quella sarebbe stata un’opera strategica, in grado di trasformare quelle isole in una sorta di enorme fortilizio immerso nel mare(2). Ben presto, però, le aspettative del governo andarono deluse perché, tenuto anche conto dei costi determinati dall’avvio della macchina bellica, la costruzione delle Churchill Barriers - che prevedeva l’innalzamento di altissime mura di difesa che, dal fondo del mare, dovevano arrivare fino al pelo dell’acqua - comportava un impegno davvero oneroso. La soluzione fu offerta dalla guerra stessa per via del gran numero di prigionieri che l’armata britannica mieteva sui vari fronti. Così, giunsero nelle Orcadi uomini da tutte le parti del mondo allora in fiamme - in particolare dall’Africa - per dar vita ai POW, i campi di concentramento dei Prisoners of War, allestiti appositamente per concorrere alla costruzione di quelle barriere(3). Tuttavia, il governo inglese aveva fatto male i propri calcoli perché gli oltre mille prigionieri che erano arrivati in quel luogo freddo e solitario non avevano alcuna intenzione di mettersi al servizio del nemico per realizzare un’opera strategica che, di fatto, si configurava come antitetica agli interessi delle nazioni da cui provenivano quegli uomini che, senza tanti complimenti, incrociarono le braccia e fecero sciopero. Non fu difficile per loro trovare un appiglio legale perché c’è un articolo della Convenzione di Ginevra che, in questo senso, tutela chi è prigioniero, accordandogli il diritto di sottrarsi a eventuali collaborazioni a carattere militare e, di fatto, contrarie agli interessi della nazione di appartenenza(4).


La straordinaria capacità di riprodurre con precisione particolari dei monumenti italiani si basava sulla sola memoria



Non tardò la risposta della Croce rossa internazionale che trasformò le Churchill Barriers in un’opera di natura civile, trasformandole così in quel sistema di collegamento stradale che, oggi, permette di viaggiare in auto da una all’altra delle isole Orcadi(5). Risolto il problema, i prigionieri si rimboccarono le maniche e quest’opera mastodontica, sia pure con questa non piccola variante, fu diligentemente portata avanti e completata del tutto alla fine della guerra.
Nel Campo 60, insediato nell’isola di Lamb Holm, c’era una grande concentrazione di prigionieri italiani che avevano fatto di tutto per rendere quel soggiorno forzato il più accettabile possibile. Tutti sapevano che si trattava del campo più bello e curato fra quelli delle isole Orcadi. C’erano aiuole, fiori, stradine sterrate, il bar e la sala da biliardo nelle baracche prefabbricate; perfino un monumento a san Giorgio in cemento e ferro, o meglio, filo spinato. A realizzarlo era stato un estroso capomastro che aveva dentro di sé lo spirito dell’artista: Domenico Chiocchetti (1910-1999). Gli italiani cercavano di non farsi mancare nulla per alleviare la cupa condizione dei prigionieri e, fra le esigenze che emersero nel corso di quel lungo soggiorno coatto (dal 1942 al 1945), si fece strada la necessità di poter disporre di un luogo da dedicare alla preghiera. Grazie alla mediazione del maggiore Buckland e del cappellano del Campo 60, padre Gioacchino Giacobazzi, i prigionieri ebbero la possibilità di accostare per il lato breve due baracche e ricavarne la navata rudimentale di una chiesa improvvisata(6). Si approntò un altare di fortuna e si poté, in questo modo, iniziare a pregare. Tuttavia, la soluzione soddisfaceva solo fino a un certo punto perché i prigionieri consideravano poco decoroso un luogo così freddo e spoglio per una funzione così importante e personale come la preghiera. Chiocchetti, allora, realizzò una grande immagine della Madonna col Bambino, riprendendola da un santino che aveva in tasca. Altri realizzarono un altare con il legno e il ferro delle navi affondate fra le isole e, alla fine, il risultato piacque, ma contrastava con il resto dell’ambiente rimasto allo stadio originario della baracca. Si decise, perciò, di procedere con i lavori anche nel resto del piccolo ambiente che fu trasformato in una vera e propria cappella(7).
Il fatto straordinario che emerge da un’analisi critica del piccolo edificio, però, è che i suoi costruttori tennero conto di molte delle suggestioni architettoniche e pittoriche legate alle culture storico-artistiche italiane e inglesi(8). Per capirlo, è necessario iniziare dalla facciata in cemento, anche se fu costruita per ultima. Si deve all’inventiva di Chiocchetti il riferimento allo schema a capanna semplice, derivato da quello del San Vigilio della sua Moena, la chiesa la cui facciata aveva visto costruire nel 1929 dall’architetto Giovanni Tiello di Rovereto. Realizzata tecnicamente da Domenico Buttapasta, cementista di professione, la facciata della chiesetta di Lamb Holm, tuttavia, allude anche al profilo della capanna composita della chiesa di St. Magnus a Kirkwall, capoluogo delle Orcadi, sia pure con significative varianti a cominciare dalla presenza degli archetti ciechi sulla facciata, di derivazione tosco-lombarda, anche se la loro presenza va dalla cattedrale di Caserta Vecchia al duomo di Spira. A ben guardare, però, la parte superiore della facciata di quella che tutti avrebbero poi chiamato Italian Chapel risulta essere un campanile a vela che rimanda a diversi esempi italici da quello di San Lorenzo a Pradolino, in Friuli, alla pieve di Sant’Alenixedda vicino a Cagliari. Non basta: la facciata si caratterizza per altre componenti, come il protiro, qui rivisto alla maniera neoclassica, anche se sugli spioventi compaiono tipici motivi di decorazione gotica. Al centro del timpano, si trova una bella scultura in cemento di Giovanni Pennisi che raffigura il Cristo coronato di spine e che occupa il posto degli orbicoli scolpiti, per esempio, al centro dei timpani triangolari del duomo di Siena. A questo proposito, infatti, va notato che la controfacciata della piccola chiesa riprende con evidenza l’apparecchio murario esterno della cattedrale senese, come pure quello del duomo di Orvieto o di Amalfi.

I costruttori tennero conto di molte delle suggestioni architettoniche
e pittoriche legate alle culture storico-artistiche italiane e inglesi



L’allusione continua alla memoria storica e artistica del nostro paese, sentita evidentemente come un comprensibile bisogno interiore, continua con vere e proprie citazioni, come quella che attiene l’ordito decorativo delle pareti interne della piccola cappella, ripreso in maniera ineccepibile dall’apparecchio murario esterno del Palazzo ducale di Venezia. Il fatto ancor più ammirevole è che questa straordinaria capacità di riprodurre con precisione particolari dei monumenti italiani si basava sulla sola memoria, visto che i prigionieri non avevano certo immagini a disposizione. D’altro canto, questo spiega, in altri casi, alcune approssimazioni, come le formelle dello zoccolo decorativo della navata che, indubbiamente, s’ispirano al Gotico fiorito del duomo di Milano o, di nuovo, del Palazzo ducale di Venezia. Questo riferimento al Gotico fiorito, però, costituì il terreno comune di una lingua artistica che univa la Gran Bretagna all’Italia. Non è infatti un caso che ci siano evidenti inserti di Gotico che si riferiscono a modelli anglosassoni, come i rosoni dipinti sulla volta della navata, che rimandano a monumenti come la cattedrale di Gloucester, la cui volta del chiostro è decorata in maniera molto simile. Le medesime osservazioni si possono estendere anche alle finte bifore dipinte che preludono a quella che dobbiamo identificare come l’area del bema (la parte sopraelevata e cintata riservata all’officiante) nella piccola chiesa delle Orcadi. Naturalmente, però, la netta preponderanza riguardai riferimenti all’arte italiana, a cominciare dalla Regina Pacis, il già citato affresco che Chiocchetti dipinse sopra l’altare ligneo. L’immagine deriva direttamente dalla Madonna dell’olivo del pittore ottocentesco Nicolò Barabino (1832-1891) che il giovane soldato trentino aveva in tasca, riprodotta su un santino. Pittore prevalentemente di storia, Barabino, diplomato all’Accademia di belle arti di Genova, realizzò anche opere di tema religioso come i cartoni per i timpani musivi delle porte del duomo di Firenze(9). Quella di Chiocchetti, però, non fu una pedissequa copia perché ridusse la figura della Vergine con in braccio il Bambino al solo busto e la collocò al centro di un giro di nuvole che si intrecciano a un cartiglio sul quale è scritto: «Regina Pacis ora pro nobis». In basso, stanno due angioletti di cui uno tiene lo stemma di Moena e l’altro si accinge a rinfoderare la spada. Ai lati dell’affresco, si aprono due monofore nelle cui vetrate sono intagliate le figure di santa Caterina da Siena e di san Francesco d’Assisi, i patroni d’Italia, la nazione tanto amata e tanto sognata da voler trasformare la piccola cappella nel simbolo concreto di questo inestinguibile sentimento.


La Italian Chapel di Lamb Holm, isole Orcadi.

Dettaglio del campaniletto a vela che conclude la facciata dell’Italian Chapel.

L’interno della cappella

Dettaglio di un elemento decorativo.


L’altare;


La parete d’ingresso.

Un film sulle vicende di Orkney

Le vicende dei prigionieri italiani a Orkney stanno per diventare un film promosso dalla LiveOil di Gabriella Tamburello. Attraverso la Etabeta s.c.r.l i finanziamenti perverranno nell’ambito del programma Creative Europe. Orkney, questo il titolo del lungometraggio, ha ottenuto l’interesse da parte delle case di produzione Palomar S.p.A. (Italia) e Se7en Waves (Stati Uniti), del Ministro della difesa, dell’Associazione nazionale dei bersaglieri e dell’attore Giovanni Mauriello che avrà un ruolo di rilievo.

(1) S. Snyder, The Royal Oak Disaster, New York 1978.
(2) Su Churchill e la sua visione del secondo conflitto mondiale: D. Reynolds, In Commandof History: Churchill Fighting and Writing the Second World War, Londra 2004.
(3) Sui POW: G. G. Phillimore, H. H. L. Bellot, Treatment of Prisoners of War, in Transactionsof the Grotius Society, Londra 1919, V, pp. 47-64. Si veda pure, per un’impostazione generaledel problema, la voce Prisoners of War (POW) della Encyclopaedia Britannica on line(http://www.britannica.com/EBchecked/topic/477235/prisoner-of-war-POW).
(4) In realtà, sono vari gli articoli della Convenzione III che tutelano il prigioniero nei confrontidell’attività di lavoro. Attività a cui il prigioniero non può essere in alcun modo costretto(Art. 49) e che non può contemplare una destinazione militare (Art. 50, lettera c), comenel caso delle Churchill Barriers.
(5) Sulla storia della Croce rossa internazionale: H. P. Davison, The Record of a Useful Life,New York-Londra 1933.
(6) Sulla vita nei POW e le Churchill Barriers: A. Konstam, Scapa Flow: The Defences of Britain’sGreat Fleet Anchorage 1914-1945, Oxford-New York 2009. 
(7) Alla storia dell’Italian Chapel, come tutti la chiamano ancora, Philip Paris ha dedicatodiverse pubblicazioni, ma la principale è P. Paris, The Italian Chapel, Edimburgo 2009. Aoccuparsi delle implicazioni artistiche della piccola cappella, è stata, per la prima volta R.Stuart, The Italian Chapel, Orkney: A Twentieth Century Renaissance, Università di Glasgow,tesi di laurea, Glasgow 1999.
(8) Chi scrive è stato direttore artistico di una mostra fotografica curata da Gabriella Tamburellodedicata all’Italian Chapel e organizzata da LiveOil, ENEA e UNAR, intitolata La cappellaitaliana delle isole Orcadi. I prigionieri del Campo 60 (Roma, Associazioni regionali,29 novembre 2013), voluta per celebrare i settant’anni dalla fondazione del piccolo monumento.In quell’occasione, ha tenuto una conferenza da cui è tratto il presente articolo. Siveda pure l’intervista di Guendalina Biuso a chi scrive per RAI Storia del 21 gennaio 2014(http://www.raistoria.rai.it/articoli/r-a-m-16-puntata/23991/default.aspx).
(9) G. Di Genova, s.v. Nicolò Barabino, in Dizionario biografico degli italiani, V, Roma 1963,pp. 190-196.

ART E DOSSIER N. 315
ART E DOSSIER N. 315
NOVEMBRE 2014
In questo numero: UTOPISTI E ANTISISTEMA Rotella e gli ''affichistes''; Il Camino di Santiago tra San Francesco e il contemporaneo; Orcadi: una chiesa in prigionia; Ribelli e dissidenti ottocenteschi. IN MOSTRA: Klein e Fontana, Modigliani, Cartier-Bresson.Direttore: Philippe Daverio