dalle grotte
alle grottesche

Cercando un punto d’inizio alla pratica espressiva del dipingere i muri

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a mente corre alla notte dei tempi, quando la scrittura era ancora lontana dall’essere inventata e le immagini raffigurate non avevano finalità estetiche, quanto piuttosto magiche e propiziatorie. I muri dipinti o incisi erano quelli ruvidi di grotte e caverne, sui quali, a partire dal neolitico, l’uomo iniziò a vergare figure di animali (alcuni, come i mammut, oggi scomparsi) e, più raramente, scene di caccia. Ovvero, l’immaginario di un uomo che al tempo era innanzitutto cacciatore, avvezzo a frequenti spostamenti e dunque anche all’utilizzo di grotte e caverne come temporanea abitazione. Tra le testimonianze figurative giunte ai giorni nostri quelle più note sono forse le grotte spagnole di Altamira e quelle francesi di Lascaux, Chauvet e del Pech-Merle, queste ultime con dipinti murali rupestri risalenti addirittura al 25.000-20.000 a.C. Qui sono tra l’altro visibili alcune impronte in negativo di mani, realizzate spruzzando sugli arti del colore: un segno d’individualità impresso sul muro, che anticipa sorprendentemente l’uso, in epoca prescritturale, delle “tags”, le firme vergate in tutto il mondo dai writers, a partire dalla fine degli anni Sessanta del Novecento. L’Europa non fu naturalmente l’unico continente interessato da questo genere di pitture rupestri: esempi del tutto analoghi, sia per tecnica che per iconografie, si trovano in Africa (grotte di Laas Gaal, in Somalia), così come in Sudamerica (parco nazionale Serra de Capivara, in Brasile).
Non è nostra intenzione ripercorrere nel dettaglio l’uso artistico-espressivo dei muri, perciò tralasceremo capitoli fondamentali della storia dell’arte come quelli sulla civiltà egizia (pitture parietali sono documentate fin dal periodo tinitico), assira (nella quale il muro diviene per la prima volta oggetto scultoreo), greca e romana, sebbene, a proposito di quest’ultima, non possiamo non ricordare perlomeno le prime testimonianze di un uso privato - in qualche caso vandalico - delle scritte murali, come nel caso di Pompei, ove sono state rinvenute iscrizioni che pubblicizzavano attività e prodotti, imponevano obblighi e divieti, ma anche commentavano in maniera spesso salace reali personaggi del tempo, dai politici alle ragazze dei postriboli.
Avanzando nella cronologia, un altro significativo capitolo dell’uso artistico dei muri, ora pienamente artistico, è rappresentato dagli affreschi medievali. Più che affreschi, sarebbe meglio definirli semplicemente dipinti murali: se la base di gran parte di tali opere era effettivamente affrescata (con il colore applicato sull’intonaco ancora bagnato), molti particolari erano aggiunti successivamente a secco, con soluzioni polimateriche che prevedevano in molti casi l’inserzione di oggetti tridimensionali, ad accentuare l’effetto scenografico. Se alcune delle migliori soluzioni adottate dalla Street Art contemporanea - pensiamo ai lavori di Banksy - giocano su scritte, oggetti e deformazioni murali preesistenti all’intervento dell’artista, nei dipinti murali tardomedievali l’effetto illusionistico è spesso dovuto all’inserimento nella superficie pittorica di elementi tridimensionali fittizi, se non di veri e propri oggetti. Esemplare in tal senso è la scena con San Giorgio e la principessa realizzata da Pisanello a Sant’Anastasia a Verona (1433-1438), utilizzando sottili lamine metalliche a imitazione di una vera armatura; oppure, caso ancor più singolare, la Maestà di Simone Martini nel Palazzo pubblico di Siena (1315-1316), con la Madonna che reca sul petto un fermaglio di vetro colorato sul retro, mentre il Gesù Bambino stringe nella mano un cartiglio che è una vera pergamena manoscritta. Una tridimensionalità illusionistica, quella della pittura murale medievale, documentata anche dalla trattatistica del tempo ad uso dei pittori, come il celebre Libro dell’Arte di Cennino Cennini, scritto verso la fine del Trecento, nel quale si può apprendere, per fare solo un paio d’esempi «come si debbano fare o tagliare le stelle, e metterle in muro» oppure «come del detto stagno, mettuto d’oro fine, puoi fare le diademe de’ santi in muro».
Anche nei secoli successivi la trattatistica legata alle tecniche artistiche diede sempre preziosi consigli pratici sulla decorazione murale, consigli che rispecchiano a livello teorico molte delle opere giunte fino ai giorni nostri, attraversando mutazioni di gusto e di stile; anche Giorgio Vasari, nell’introduzione alle sue Vite (1550), non lesinò consigli pratici per decorazioni e ornamenti murali anche tridimensionali, come gli sgraffiti o le grottesche su stucco.


dipinti parietali delle grotte di Altamira, in Spagna (paleolitico superiore).

Mano in negativo nella grotta del Pech-Merle, in Francia (25.000-20.000 a.C.).

Simone Martini, Maestà (1315-1316), particolare; Siena, Palazzo pubblico, Sala del mappamondo.


Pisanello, San Giorgio e la principessa particolare; (1433-1438); Verona, Sant’Anastasia.

STREET ART
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Duccio Dogheria
Un dossier dedicato alla Street Art. In sommario: Introduzione; Dalle grotte alle grottesche; Il muralismo tra ''instrumentum regni'' e ''vox populi''; Gli anni Settanta-Novanta; Street art, l'arte della strada 2.0. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.