street art,
l'arte della strada 2.0

Le seminali ricerche di Francesca Alinovi non ebbero immediata ricezione sul versante artistico italiano.

si dovettero attendere gli anni Novanta perché il writing metropolitano si diffondesse pienamente, e in maniera matura, anche in Italia. Ma nel frattempo le cose erano cambiate e questa nuova strada aperta portò presto a un bivio: da una parte il mondo del writing e dei graffiti, quello che abbiamo imparato a conoscere in queste pagine, con il suo linguaggio, le sue “crews”, i suoi luoghi e la sua indomita ricerca stilistica; dall’altra, oltre il muro, un movimento nuovo, in parte connesso al writing e ai graffiti, ma per molti altri aspetti sostanzialmente e profondamente diverso: la Street Art, il movimento artistico oggi più capillarmente diffuso al mondo, dalla natura in costante evoluzione e ridefinizione, i cui frutti hanno una vita spesso effimera, precaria, evanescente, sebbene non manchino opere più durevoli, talvolta frutto di commissioni pubbliche. Rispetto al writing, nella Street Art mutano i riferimenti culturali. Mutano le tecniche. Muta lo stile. Il rapporto tra legale e illegale. Le dimensioni. Il concetto di unicità dell’opera. La percezione da parte dell’arte ufficiale e, in molti casi, anche da parte del passante, che non considera più l’intervento su muro solo un atto vandalico a prescindere. Oltre alla cultura dei writers, alla nascita della Street Art contribuirono anche altre culture marginali, da quella degli skaters alle pratiche neo-situazioniste del “subvertising” e dei “culture jammers”, ovvero di gruppi come quello legato alla rivista canadese “Adbusters” che, anche tramite interventi urbani, pratica una gioiosa guerriglia contro lo strapotere iconografico delle multinazionali. E ancora hanno peso l’universo segnico dei tatuaggi, i centri sociali occupati, il cyberpunk, i rave, la cultura hip-hop, la stampa marginale delle fanzines e del fumetto underground… tutte quelle pratiche dell’immaginario “off” che Carlo Branzaglia ha definito «iconografie del marginale».


Shepard Fairey, stencil, Milano (2005).

Se è indubbio che il progenitore della Street Art d’oggi sia il mondo dei graffiti e del writing (tant’è che spesso la Street Art viene indicata con il termine di postgraffitismo), è anche vero che molti writers d’oggi non vedono di buon occhio tale movimento, proprio a causa del suo carattere policentrico, per le sue manifestazioni assolutamente eterogenee sia da un punto di vista tecnico quanto formale, e non da ultimo per i suoi ambigui rapporti con la legalità e col mercato. Il writing, da progenitore della Street Art, è stato dunque da questa in qualche modo inglobato, cannibalizzato. Ma non certo superato, tant’è che sono ancora molti i suoi adepti a livello internazionale: duri e puri della bomboletta e dell’“aerosol culture” che all’oggettivo valore estetico delle loro opere aggiungono spesso il brivido inappagabile dell’illegalità e del rischio. Al contrario, la Street Art è un campo sconfinato che include l’alto e il basso, le bombolette spray ma anche gli sticker, gli stencil, i dipinti murali, i poster e le installazioni; ha commistioni con la musica, la fotografia, il video e molto altro ancora; ha un piede nel mercato e uno fuori, alternando illegalità (comunque molto diffusa) a commissioni pubbliche, anche museali. Una pratica globale dai contorni dunque sfuggenti, formata di un frenetico susseguirsi di piccoli-grandi progetti, di continui viaggi e di profonde relazioni umane con altri artisti, come documentato nel volume Carnet de rue da JR, uno dei massimi protagonisti della Street Art. Proprio il nomadismo culturale che caratterizza gran parte degli street artists attivi in ogni parte del globo ci ha portato a preferire una presentazione degli esiti tecnico-formali delle loro opere, piuttosto che un’obsoleta panoramica per aree geografiche. Ciò detto, va naturalmente precisato, e con forza, che se ogni artista ha generalmente una tecnica prevalente, sono moltissimi quelli che traspongono la propria poetica e le proprie iconografie da un medium all’altro, a seconda dei contesti e delle occasioni, come vedremo nel caso di Banksy, figura centrale della Street Art. Se sostanzialmente inutile risulta pure il ricorso alla cronologia, essendo ancora praticamente tutti attivi gli artisti che si citeranno nelle prossime pagine, vale forse la pena fare una premessa su chi, per primo, contribuì a trasformare la Street Art in un fenomeno globale. Tra gli antesignani, un posto di primo piano spetta al parigino Blek le Rat, attivo fin dagli anni Ottanta con la tecnica dello stencil. Formatosi all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts, Blek le Rat si avvicina al writing dopo un viaggio a New York, nel 1971. Nel corso di un soggiorno in Italia scopre lo stencil, imbattendosi in alcune raffigurazioni di Mussolini risalenti alla seconda guerra mondiale. Con questa tecnica egli raffigura inizialmente dei topi (da cui il suo nome d’arte), che riproduce in decine di esemplari in ogni angolo di Parigi, cercando, ove possibile, interazioni col contesto urbano attiguo. In seguito Blek le Rat passa a raffigurare figure umane a grandezza naturale, soggetti che ancor oggi predilige. Nel 1991 viene arrestato dalla polizia parigina, mentre replica a stencil una Madonna col Bambino di Caravaggio agli Champs-Elysées; l’esperienza lo porta a una mutazione tecnica: dallo stencil su muro passa allo stencil su carta applicata su muro, espediente per rendere l’opera più ecologica e soprattutto meno invasiva.


D*Face, Reflections, dipinto murale, Puerto Rico (2013).

Blek le Rat, stencil, San Francisco (2011).

Blu, dipinto murale, Bologna (metà anni Novanta). L’opera è uno dei primi dipinti murali realizzati da Blu, quando dipingeva ancora con le bombolette spray.


Blek le Rat, stencil, New York (2011).


Banksy, stencil realizzato per The Cans Festival, Londra (2008).

Stencil
Lo stencil, pratica che deriva dal più antico “pochoir” che prevede l’uso di mascherine sagomate per replicare velocemente col colore delle immagini, utilizzato largamente negli anni della contestazione per diffondere slogan e simboli di lotta, è oggi una delle tecniche più praticate nel mondo della Street Art. Il suo pregio maggiore, oltre alla velocità d’esecuzione, è la possibilità di riprodurre più e più volte la stessa immagine, moltiplicandola potenzialmente all’infinito. Ciononostante, sono molti gli artisti che utilizzano lo stencil semplicemente per la rapidità dell’intervento, realizzando per strada opere uniche, sempre diverse. Allo stencil è indissolubilmente legato anche lo street artist sicuramente più noto e apprezzato al mondo: Banksy. Nativo di Bristol, a partire dagli anni Novanta inizia a produrre a stencil soggetti dal forte realismo, spesso carichi di un significato politico-sociale, libertario, anticapitalistico o comunque antiautoritario, quasi sempre in stretta relazione con l’ambiente circostante, sempre e comunque spiazzanti: guardie della regina che scrivono sui muri oppure orinano, la Monna Lisa con un lanciarazzi sulle spalle, bambini che indossano maschere antigas, topi-vandali... fino ai molti soggetti dedicati all’idea di evasione, vergati addirittura sul tetro muro che separa Israele dalla Palestina, in un’azione che ha coinvolto anche altri artisti, come Blu, Ericailcane e JR. E poi le sue installazioni, non meno spettacolari: accumulazioni di segnali stradali, corvi (impagliati) che danneggiano telecamere, fino alle incursioni in celebri musei (dal Louvre al Metropolitan) in cui, eludendo la sorveglianza dei custodi, Banksy ha appeso indisturbato delle proprie opere, con tanto di didascalia. Alla sua figura, ancora volutamente avvolta nel mistero (e questo ne accresce il mito) è dedicato uno strava gante film-documentario, Exit through the gift shop (2010), in parte realizzato dallo stesso artista, che ha coinvolto anche altri noti street artists, da Fairey a Invader, da André a De Feo. Altri stencilists di fama internazionale sono Btoy (Spagna), Anders Gjennestad (Norvegia), Levalet (Francia), Icy and Sot (Iran), Bs. As. Stencil (collettivo argentino le cui opere hanno un forte significato sociale), Logan Hicks (Stati Uniti), il francese C215 - che ritrae nelle periferie del mondo la gente della strada - e il canadese Roadsworth, attivo soprattutto sulle corsie stradali, ove modifica con ironia la rigorosa segnaletica ufficiale.


Banksy, stencil, Bristol (2009).

Btoy, stencil, Londra (2009).


Btoy, stencil, Londra (2009).


Btoy, stencil, Londra (2009).

Tra gli italiani gli autori di stencil più innovativi e attivi sono Lucamaleonte, Orticanoodles e la coppia Sten & Lex, sebbene in questo caso più che di stencil si dovrebbe parlare di un’ibridazione tra stencil e poster di enormi dimensioni, tecnica che ha permesso loro di ricoprire con fotografie a mezzatinta vaste superfici murali, dalle quali, a fine intervento, si librano i residui cartacei utilizzati, accentuando così il carattere effimero e transitorio della Street Art.

Levalet, stencil, Parigi (2014).


Sten & Lex, ritratto murale a stencil,


Piekary, Polonia (2013)

Poster
Abbiamo visto come lo stencil può alternare serialità e unicità. La ripetizione, talvolta differente, è caratteristica anche di un altro medium a basso costo ampiamente utilizzato nella Street Art: il poster, figlio di una lunga tradizione che comprende sia usi commerciali che politici. Protagonista indiscusso del suo utilizzo è Shepard Fairey, noto anche col nome di Obey per via della campagna che intraprese a partire dal 1989, quando iniziò a tappezzare le città con sticker e manifesti raffiguranti il volto del wrestler André the Giant accompagnato dall’imperativo «Obey» (obbedisci). In seguito sviluppò una vera e propria factory, con produzione di poster sia ad alta tiratura che a tiratura limitata, tutti messi in vendita per autofinanziarsi e moltiplicare ancora di più le proprie iconografie, su scala mondiale. Forte di uno stile raffinato che unisce costruttivismo russo e Pop Art, Fairey divenne fenomeno mediatico a partire dal 2008, quando tappezzò le città degli Stati Uniti con svariati manifesti dedicati a Barack Obama, contribuendo così all’elezione del nuovo presidente.
Anche i poster, come lo stencil e gli sticker, possono caratterizzarsi sia per ripetizione che per unicità. A volte in verità si può parlare di ripetizione differente: è questo il caso, per fare solo qualche esempio dagli Stati Uniti, dei teschi di Skullphone (piazzati spesso su preesistenti pubblicità stradali), degli allegri mostriciattoli del californiano Buff Monster (trasposti anche in murales, sticker, opere da cavalletto e in un’infinità di gadget, dalla spilla al preservativo), nonché dei fiori stilizzati di Michael De Feo. Questi ultimi, diffusi a partire dal 1993, sono generalmente realizzati in serigrafia su carta poi incollata al muro, ma anche all’occorrenza trasposti in dipinti murali di notevoli dimensioni; identità-logo dunque immediatamente riconoscibili, diffuse in una ricca varietà di mezzi e formati. Altri poster si rifanno a quelli patinati della grafica pubblicitaria, come la produzione del collettivo olandese Space 3, per non parlare dei moltissimi, spesso anonimi, che rielaborano slogan e immagini delle più note multinazionali, con finalità tra il ludico e il politico. Nella maggior parte dei casi, però, il poster della Street Art è povero di mezzi, realizzato con grandi stampe fotografiche a plotter, in bianco e nero, ruvido come la strada che lo ospita, ma comunque spesso capace di sorprendere, come nel caso dei grandi poster-ritratto del milanese Abbominevole, o delle enormi mani-artiglio del romano JB Rock, o ancora dei lavori del francese WK Interact, costituiti da manifesti che si estendono anche per centinaia di metri. Il poster fotografico è il medium utilizzato anche dalla polacca Yola, le cui opere sono sospese tra passato e presente, nonché da uno dei più noti street artists al mondo, il francese JR. Per il suo lavoro il termine “poster” è invero riduttivo: le sue fotografie ricoprono interi palazzi, monumenti pubblici, ponti, vagoni ferroviari, tetti di baracche e moltissimo altro ancora. Partito dall’illegalità, ora JR lavora quasi esclusivamente per commissioni pubbliche; una delle ultime è stata un’installazione al Panthéon di Parigi (2014), che ha coinvolto sia l’interno che l’esterno dell’edificio. Le macrofotografie di JR ritraggono generalmente gli abitanti del posto in cui opera, trasformando la gente comune, solitamente la povera gente di zone difficili del pianeta, in un monumento pubblico alla dignità umana. All’inizio (2004) fu la polveriera delle “banlieues” parigine. In seguito il lato palestinese del muro israeliano, varie località dell’Africa, fino alle favelas brasiliane e all’Asia, sempre coinvolgendo in prima persona gli abitanti di quei territori. Le collaborazioni con importanti gallerie, nonché la vendita di grafiche che moltiplicano l’unicità dei suoi effimeri interventi, sono i mezzi che l’artista utilizza per affrontare le sue imprese, avendo sempre rifiutato ogni sorta di sponsorizzazione.


Shepard Fairey, The New World Odor, poster, Milano (2005).

Shepard Fairey, The Barack Obama Hope poster (2008).

Space 3, poster, Eindhoven (2001).


Michael De Feo, stencil e pittura murale, particolare, Tarascona (Francia) (2010).

Altri poster si rifanno a quelli patinati della grafica pubblicitaria, come la produzione del collettivo olandese Space 3, per non parlare dei moltissimi, spesso anonimi, che rielaborano slogan e immagini delle più note multinazionali, con finalità tra il ludico e il politico. Nella maggior parte dei casi, però, il poster della Street Art è povero di mezzi, realizzato con grandi stampe fotografiche a plotter, in bianco e nero, ruvido come la strada che lo ospita, ma comunque spesso capace di sorprendere, come nel caso dei grandi poster-ritratto del milanese Abbominevole, o delle enormi mani-artiglio del romano JB Rock, o ancora dei lavori del francese WK Interact, costituiti da manifesti che si estendono anche per centinaia di metri.
Il poster fotografico è il medium utilizzato anche dalla polacca Yola, le cui opere sono sospese tra passato e presente, nonché da uno dei più noti street artists al mondo, il francese JR. Per il suo lavoro il termine “poster” è invero riduttivo: le sue fotografie ricoprono interi palazzi, monumenti pubblici, ponti, vagoni ferroviari, tetti di baracche e moltissimo altro ancora. Partito dall’illegalità, ora JR lavora quasi esclusivamente per commissioni pubbliche; una delle ultime è stata un’installazione al Panthéon di Parigi (2014), che ha coinvolto sia l’interno che l’esterno dell’edificio. Le macrofotografie di JR ritraggono generalmente gli abitanti del posto in cui opera, trasformando la gente comune, solitamente la povera gente di zone difficili del pianeta, in un monumento pubblico alla dignità umana. All’inizio (2004) fu la polveriera delle “banlieues” parigine. In seguito il lato palestinese del muro israeliano, varie località dell’Africa, fino alle favelas brasiliane e all’Asia, sempre coinvolgendo in prima persona gli abitanti di quei territori. Le collaborazioni con importanti gallerie, nonché la vendita di grafiche che moltiplicano l’unicità dei suoi effimeri interventi, sono i mezzi che l’artista utilizza per affrontare le sue imprese, avendo sempre rifiutato ogni sorta di sponsorizzazione.

JR, fotografie riportate su muro nella favela di Morro da Providéncia, Rio de Janeiro (2008).


JR, installazione fotografica, Parigi, Panthéon (2014).


Monica Cuoghi e Claudio Corsello, l’ochetta Pea Brain, Bologna (1995).

Sticker
Il terzo medium che predilige la moltiplicazione di un’immagine è l’adesivo, lo sticker. Se per molti street artists rappresenta un semplice, personalissimo logo da seminare in ogni dove per aumentare la propria notorietà, per altri è un mezzo come un altro per sviluppare la propria ricerca artistica. Esemplari in tal senso sono gli sticker di due coppie artistiche italiane molto note anche a livello internazionale: da una parte Microbo e Bo 130, tra l’altro coautori di una delle più riuscite pubblicazioni sulla Sticker Art; dall’altra la coppia Cuoghi-Corsello, attivi fin dai primi anni Novanta a Bologna con la celebre ochetta Pea Brain riprodotta anche in enormi murales, i cui sticker artigianali sono spesso moltiplicati a stencil su etichette adesive di recupero, da quelle dei supermercati a quelle delle poste. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono molti anche gli esemplari unici, da quelli dipinti a pennarello (come gli sticker degli italiani El Euro e Santy), ai più laboriosi collage su carta plastificata adesiva. Sebbene le iconografie siano molto varie, uno dei temi più ricorrenti negli sticker sono le creature fantastiche, talvolta impreziosite da un gusto retrò, come nel caso della francese Mamzelle Mamath. Un discorso a parte meritano gli sticker che, in contesti pubblici, determinano volutamente confusione, sospetto e straniamento nell’osservatore, utilizzando forme e linguaggi della burocrazia. Particolarmente significativi sono le “disordinazioni” diffuse in Italia da Edoardo De Falchi nella seconda metà degli anni Novanta, come gli avvisi «Attenzione, questo apparecchio è stato sabotato», oppure «Premere qui con forza», incollati su bancomat e cabine telefoniche: adesivi subliminali quanto concettuali che riprendono, con tecniche a basso costo, la pratica del “détournement” situazionista. Gli sticker, al contrario dei murales, si apprezzano forse maggiormente nel loro accumulo indistinto su pali della luce, cabine telefoniche, cassette postali e altri supporti improvvisati, quasi fossero mostre collettive in spazi minimi. Rappresentano in questi luoghi una sorta di canto corale, di lavoro collettivo semioticamente affascinante, dove si affiancano in formato ridotto le più diverse accezioni di Street Art, dalle veloci tags scritte direttamente su carta adesiva ai patinati adesivi popolati da mostriciattoli pop, in una babele segnica che non può che far commuovere i semiologi della postmodernità.


sticker di Mamzelle Mamath (Francia), El Euro (Italia), Bo 130 (Italia), Space 3 (Olanda), Microbo (Italia), Dr Radio (Germania), Buff Monster (Stati Uniti), Cuoghi e Corsello (Italia), Anonimo di Meinz (Germania).

Blu, dipinto murale, Berlino, quartiere di Kreuzberg (2009).


Blu, dipinto murale, Lisbona (2010). Questo murale ha consacrato Blu, secondo “The Guardian” , come uno dei dieci migliori street artists al mondo.


Ericailcane, facciata del Museo de Arte Contemporáneo, Bogotá (2013).

Murales
Sebbene anche l’intervento pittorico su muro possa presentare un certo grado di ripetizione, o meglio, di “ripetizione differente” (abbiamo già accennato all’immaginario ripetuto con varianti di Cuoghi- Corsello, Microbo e De Feo; aggiungiamo perlomeno quello di Toaster, Above e André, quest’ultimo autore di Mr. A, figura umana stilizzata dalle lunghissime gambe filiformi), l’opera su muro per eccellenza è il pezzo unico di grandi dimensioni. Parliamo di dipinti murali che puntano sempre più alle stelle, allo spettacolare, agli occhi spalancati dalla meraviglia per  questi fuochi d’artificio pittorici, realizzati aggredendo con ogni mezzo (scale, trabattelli, bracci meccanici, impalcature, pennelli collegati a manici telescopici) anche interi palazzi.L’italiano Blu è tra i protagonisti assoluti di questo assalto al cielo; Tristan Manco, uno dei massimi conoscitori di Street Art, nel 2011 l’ha consacrato sulle pagine del “Guardian” come uno dei dieci migliori street artists al mondo. La sua attività artistica inizia alla fine degli anni Novanta a Bologna, con graffiti realizzati a bomboletta spray e popolati da umanoidi còlti nel corso di attività sempre paradossali. In pochi anni, sostituita la bomboletta con il pennello, le superfici attaccate da Blu iniziano a dilatarsi, assaltando palazzi di molti piani con soggetti spesso segnati da forti accenti di critica sociale, in chiave antimilitarista e anticapitalista. I suoi murales, realizzati durante incessanti tournée internazionali - dalle capitali d’Europa a tutta l’America Latina, dal Nord America (dove un suo pezzo commissionato dal MOCA di Los Angeles, raffigurante bare coperte da dollari, è stato censurato) alla Palestina -, rappresentano per molti versi dei colossali monumenti pubblici alle miserie dell’uomo occidentale. A Blu spetta inoltre il merito di aver fuso Street Art e animazione con il cortometraggio Muto, visualizzato a oggi su YouTube oltre undici milioni di volte. Tra i più assidui compagni di muro di Blu, ma personalità assolutamente distinta, è un altro dei massimi street artists italiani, Ericailcane. Come Blu (e spesso, appunto, assieme a Blu, in lavori a quattro mani), realizza enormi murales segnati da inquietanti iconografie non prive d’invettiva libertaria. Ma i suoi soggetti non contemplano mai l’uomo, quanto piuttosto la sua trasposizione in perfette forme animali, o l’ibridazione tra i due generi; temi, questi, ricorrenti anche nella sua raffinata produzione grafica e pittorica.
Tra i numerosi altri artisti che da anni realizzano murales di dimensioni spesso spettacolari ricordiamo perlomeno il greco iNO, la cui opera si caratterizza per un classicismo a tratti surreale dalle tonalità generalmente monocrome; il francese MTO e lo spagnolo Mesa, entrambi autori di murales iperrealisti che rasentano a tratti la fotografia; i gemelli brasiliani Os Gêmeos, i cui personaggi rimandano in parte all’immaginario figurativo dell’America Latina, in parte alle creazioni di un altro dei numi tutelari della Street Art, l’americano Barry McGee; la colombiana Bastardilla, così attenta all’universo femminile; lo spagnolo Sam 3, i cui lavori coniugano la Street Art con l’antica arte delle silhouettes; l’inglese D*Face, i cui ultimi murales riprendono, deformandole, le iconografie fumettistiche di Lichtenstein; il brasiliano Eduardo Kobra, capace di unire cromie psichedeliche a temi ecologisti; il russo Pasha 183, recentemente scomparso, definito per genialità nel realizzare lavori site specific “il Banksy russo”; lo spagnolo Ruben Sanchez, con il suo fresco decorativismo dalle accese cromie; il portoghese Vhils, autore di impressionanti ritratti incisi direttamente sui muri; la francese Miss Van, autrice di figure conturbanti, tra il sexy e il demoniaco; lo spagnolo Gonzalo Borondo, le cui monocrome figure evanescenti ricoprono talvolta insoliti supporti, dalle pensiline trasparenti degli autobus alle balle di fieno. Infine - ma, lo ripetiamo, sono solo alcuni nomi dei tanti possibili - gli italiani Dem, Mr. Vany (uno dei primi writers attivi in Italia), Agostino Iacurci, Laurina Paperina (una delle poche a provenire dal mondo dell’arte “ufficiale”), Alice Pasquini e Ozmo, figura centrale della Street Art milanese fin dalle sue origini, le cui opere sono spesso caratterizzate da un forte simbolismo, talvolta anche religioso. Se a prevalere nei murales (e nella Street Art in genere) sono le opere a carattere figurativo, non mancano le eccezioni. Tra le più singolari, segnaliamo i lavori astratti dell’americana Maya Hayuk e dello spagnolo Eltono (spesso attivo assieme alla sua compagna Nuria), oppure il versante della Street Art che, come nel writing, utilizza esclusivamente caratteri alfabetici, ma sotto una luce completamente nuova: è questo il caso delle poesie di strada del milanese Ivan, della calligrafia astratto-labirintica del francese L’atlas, oppure delle scritte a caratteri cubitali del londinese Ben Eine, che paiono riprendere certi font tipografici d’impatto, utilizzati nella comunicazione commerciale degli anni Trenta. Installazione Stencil, sticker, poster e dipinti murali non sono che alcune delle tecniche utilizzate dagli street artists contemporanei. Tutto ciò che è altro lo si può riassumere, senza il rischio di banalizzarlo, con il termine di “installazioni urbane”, o più sinteticamente Urban Art.


Ericailcane, dipinto murale per il festival Desordes Creativas, Ordes (Spagna) (2012).

MTO e IEMZA, Le grand Jeu, Reims (2013).

iNO, dipinto murale, Atene (2013).

Os Gêmeos, The Giant of Boston, Boston, Dewey Square (2012).

Gonzalo Borondo, dipinto murale per il festival Oltre il muro, Sapri (Salerno) (2009).


Mr. Vany, dipinto murale, Beirut (2013).

A tale categoria si può ricondurre innanzitutto il lavoro di uno dei più noti gruppi di street artists, il collettivo francese Space Invader, che dalla fine degli anni Novanta realizza a mosaico i celebri mostri spaziali del videogame della Taito Space Invaders, e, ultimamente, anche altri soggetti: dalla Slovenia al Bangladesh, da Roma a Tokyo, sono centinaia le “invasioni” che hanno portato a termine, tutte visionabili grazie a una mappa interattiva presente sul loro sito. Tra gli autori di installazioni urbane un altro cavallo di razza è l’americano Mark Jenkins: oltre ai cartelli stradali modificati - pratica, questa, utilizzata da molti altri artisti - e a sculture gonfiabili in plastica inserite nel contesto urbano, tra le sue opere più note (e crudeli!) ci sono figure umane nelle situazioni più incredibili e macabre, rese iperrealistiche dall’utilizzo di scarpe e vestiti imbottiti. Non meno inquietanti sono le installazioni di un altro americano, Dan Witz, che da vari anni dissemina negli angoli delle metropoli grate metalliche dalle quali sembrano affacciarsi relitti d’umanità, mentre più umoristiche e paradossali sono le micro-sculture dell’olandese Isaac Cordal, collocate nei più disparati contesti stradali, oppure gli interventi urbani del belga Plug, che, davanti a televisori, stampanti e altri macchinari elettronici abbandonati per strada, aggiunge con una bomboletta spray una presa di corrente. Installazioni urbane sono pure le frecce dell’americano Above (la freccia stilizzata ricorre anche nei suoi murales), appese tramite spago ai cavi della corrente elettrica; le città in miniatura del tedesco Evol, realizzate partendo da centraline telefoniche o blocchi di cemento trovati per strada; gli ironici interventi su semafori o tombini del francese OakOak; le colonne-totem disseminate a New York da Patrick Smith; le macrofotografie incollate dal collettivo tedesco Mentalgassi sulle campane del vetro e, per molti versi, i dipinti su pavimento dell’americano Kurt Wenner, capaci di ibridare pittura iperrealista, Street Art e l’antica arte dei madonnari. C’è perfino chi, come Scott Wade (Stati Uniti), realizza opere figurative spolverando con un pennello la polvere sedimentata sui parabrezza delle auto: un’alternativa artistica al più classico «Aiuto, lavatemi!».


Miss Van, dipinto murale, Tel Aviv (2014).

Ozmo, dipinto murale, Roma (2012).


Laurina Paperina, Invasion, Rovereto (2014), particolare.


Space Invader, mosaico, San Paolo (Brasile) (2011).

Above, dipinto murale, Malmö (Svezia) (2014).


Dan Witz, Black Rubber Mask, Roma (2013).


Mark Jenkins, installazione urbana, Malmö (Svezia) (2008).

Extra muros
Se, come abbiamo visto e sottolineato, la Street Art vive, “ça va sans dire”, sulla strada, essa si trova al contempo anche altrove. Nei musei, innanzitutto, che dal MoMA alla Tate sono sempre più attivi nel coinvolgere gli street artists in mostre personali e collettive: per l’Italia segnaliamo a titolo d’esempio due importanti mostre milanesi: Beautiful Losers (Triennale, 2006) e Street Art Sweet Art (PAC - Padiglione d’arte contemporanea, 2007). E poi nei festival internazionali di Street Art, alcuni a cadenza annuale, diffusi ormai a macchia d’olio in tutto il mondo, Italia compresa (Urban Edge Show, Illegal Art Show, Fame Festival, Memorie Urbane, InfArt, Icone e Pop Up, per citarne solo alcuni); sulla stampa internazionale, dalle riviste generaliste e di tendenza ai principali magazine d’arte, fino alle riviste di settore come la californiana “Juxtapoz”; nelle gallerie e nei siti di vendita on line (come Lazarides, Pictures on walls, Banksyforum; per l’Italia segnaliamo Patricia Armocida, D406 e, decisamente più underground, Studiocromie e Zooo), capaci di coinvolgere nuove generazioni di collezionisti; nel mondo delle aste internazionali, dove capita di veder battuti per centinaia di migliaia di euro alcuni stencil di Banksy, staccati dai muri con tecniche del tutto simili a quelle utilizzate per le pitture medievali, per la gioia dei proprietari degli immobili “vandalizzati”; nei progetti di riqualificazione urbana, in grado di trasformare le periferie degradate delle città in gallerie a cielo aperto; nel turismo, con tanto di guide specializzate e visite guidate in molte metropoli, da New York a Berlino (nella città tedesca è un’italiana a condurle, Stefania Pace); nell’influenza con il mainstream pubblicitario, che da una parte vede alcuni artisti collaborare a campagne pubblicitarie, dall’altra i pubblicitari “ispirarsi” al mondo della Street Art, come nel caso della pubblicità di una nota automobile derivata dall’idea di Blu del murale animato. Infine, ma non certo per importanza, il web, di fatto la principale vetrina e il principale archivio virtuale di opere di Street Art, grazie sia ai siti di artisti che documentano monograficamente il proprio lavoro, sia ai numerosi portali specializzati - i più noti sono forse Wooster Collective, Street Art Utopia, Ekosystem e Stencil Revolution -, recentemente approdati anche sui social media, che rappresentano di fatto delle formidabili banche dati d’immagini e informazioni; un’estensione immateriale della Street Art di estremo interesse anche per un approccio storico al movimento, grazie alla possibilità offerta a chiunque di visionare migliaia di opere spesso già scomparse e comunque collocate in ogni angolo del pianeta.


Bombing di stickers, Milano (2014).

WK Interact, opera per i dieci anni dell’11 settembre, New York (2011).

Murale collettivo (la figura principale è di Blu) realizzato per The Urban Edge Show, Milano (2005).


Ben Eine, Brighter Faster, dipinto murale, San Francisco (2013).

STREET ART
STREET ART
Duccio Dogheria
Un dossier dedicato alla Street Art. In sommario: Introduzione; Dalle grotte alle grottesche; Il muralismo tra ''instrumentum regni'' e ''vox populi''; Gli anni Settanta-Novanta; Street art, l'arte della strada 2.0. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.