I TEMPI DELLA PESTE
E DELLA FEDE

Il quarto decennio del XVII secolo è un triste momento nella storia della Lorena e soprattutto di Lunéville che viene ripetutamente colpita dalla peste, conquistata dai francesi e messa a ferro e a fuoco dagli stessi per impedire all’esercito lorenese di tornare a occuparla.

In questa sfavorevole congiuntura Georges e la moglie cercano rifugio a Nancy. Da qui, forse già dalla fine del 1638, l’artista si reca a Parigi ove si assicura una posizione prestigiosa e commissioni eccellenti. Suoi dipinti sono elencati negli inventari personali di personaggi come lo stesso Luigi XIII(37), il cardinale Richelieu e il collezionista parigino Jean-Baptiste de Bretagne(38). Un documento attesta che nella capitale francese egli ha ottenuto il titolo di «peintre du roi»(39) e il diritto ad alloggiare nelle gallerie del Louvre(40).

È in questo decennio di morte e distruzione e nel seguente che La Tour dipinge i suoi più famosi notturni. In accordo con i dettami della Controriforma sono i santi, intermediari dell’incontro fra umano e divino, gli indiscussi protagonisti di questa fase della carriera dell’artista. Accanto a san Gerolamo e a santa Maddalena l’attenzione di La Tour si rivolge a san Giuseppe, a san Pietro, a sant’Alessio e a san Sebastiano. Rifiutando le forme agiografiche più scontate e la banale narrazione episodica, il pittore lorenese li propone come esempi di coerenza spirituale e di virtù interiore dotandoli di un’umanità vera e convincente, etica ed estetica.

Ha un valore didascalico la vicenda raffigurata nel dipinto Giobbe deriso dalla moglie, datato al 1650 circa. Non senza ambiguità iconografiche, il dipinto presenta, nelle forme stilizzate dei notturni maturi, una donna in piedi riccamente abbigliata china su un uomo in ascetica nudità su uno sgabello. Una scodella rotta sembra essere l’unico riferimento a Giobbe che, in accordo al racconto biblico, usava un coccio per grattarsi le ferite inferte da Dio. Messo alla prova da sventure di ogni genere, egli veniva deriso dagli amici e dalla moglie per l’ostinazione della sua fede. La Tour, con ineguagliabile finezza, segnala il materialismo ottuso della donna con una vistosa falsa perla, assai simile a quelle della cortigiana dei Bari. Giobbe, unico personaggio biblico nella sua produzione, era una figura chiave della devozione in tempi di peste, un esempio di resistenza al dolore e di fede così tenace da guadagnarsi la ricompensa divina, un modello di speranza cristiana.

(37) J. Thuillier, op. cit., p. 90.

(38) Id., Georges de La Tour, Parigi 1992, pp. 296-297; J.P. Cuzin, scheda di catalogo, in Georges de La Tour, catalogo della mostra, cit.,Tokyo 2005, pp. 205-206.

(39) J. Thuillier, Biographie et Fortune critique, in op. cit., Parigi 1972, p. 74

(40) Id., Georges de La Tour, cit., pp. 261-261.

Come Giobbe anche san Giuseppe è un esempio di fede poiché, pur non capendo appieno la portata soprannaturale della gravidanza di Maria, accetta il volere di Dio senza metterlo in discussione. Nel Sogno di Giuseppe, ascritto dalla critica alla metà degli anni Quaranta, La Tour lo mostra addormentato mentre riceve la visita dell’angelo. Nessun attributo rimanda inequivocabilmente al santo né al contenuto del sogno e tuttavia l’atmosfera mistica conferita dalla candela che illumina il volto di quell’angelo “femminile” dal raffinato abbigliamento non smentisce l’ipotesi del soggetto religioso. In linea con la spiritualità francescana, sensibile alle teofanie e agli interventi divini inaspettati, nel sogno di Giuseppe si scorge la condizione per poter accedere dal piano umano a quello divino, un passaggio le cui chiavi sono il gesto ieratico dell’angelo e il libro della parola di Dio aperto in grembo a Giuseppe(41). Il culto del santo, cui era devoto lo stesso duca Carlo IV(42), era promosso dai francescani e diffuso in tutta la Lorena anche grazie agli oratoriani e ai carmelitani scalzi. È possibile che proprio al quartier generale di questi ultimi a Metz fosse destinato il San Giuseppe falegname (1638-1643) conservato al Louvre(43). Commovente e poetica, l’opera propone il rapporto padre-figlio avvolto in un’atmosfera notturna carica di significante silenzio che sembra fugare ogni dubbio sulla natura del soggetto. La dignità caravaggesca del protagonista e lo stesso tema svolto anche dal fiammingo Gerrit van Honthorst corroborano l’ipotesi dell’opera sacra. Qui Giuseppe è presentato come istruttivo modello per il figlio e tuttavia, dietro al vigore fisico e alla competenza professionale di quel realistico falegname in azione, si affaccia un possibile riferimento alla costruzione della croce(44). Il Gesù infante portatore di luce ha la sua controparte femminile nella Vergine dell’Educazione della Vergine di New York (opera firmata, 1645-1650) ove è la piccola Maria dal volto serio e dal precoce portamento composto a recare la candela necessaria a quella notturna lezione di lettura(45).
L’ambiguità delle immagini latouriane, sempre in bilico fra il tema religioso e la scena di genere, se da una parte rende inagevole la lettura e incerta l’interpretazione, è tuttavia la cifra distintiva dell’artista, quella che più lo allontana dal caravaggismo fiammingo avvicinandolo, per contro, allo spirito dello stesso Caravaggio. Attraverso le scelte iconografiche e la personalissima declinazione della nozione di realismo, La Tour elabora un linguaggio originale ove la didattica gesuita si fonde con la meditazione francescana e i confini fra sacro e profano sfumano perdendosi irrimediabilmente.


Gerrit van Honthorst, Cristo nella falegnameria (1620 circa); San Pietroburgo, Ermitage.


L’educazione della Vergine (1650 circa); New York, Frick Collection.


Il sogno di Giuseppe (o L’apparizione dell’angelo a Giuseppe) (1640-1645); Nantes, Musée des Beaux-Arts.

San Giuseppe falegname (1638-1643); Parigi, Musée du Louvre.


Caravaggio, Il riposo durante la fuga in Egitto, particolare di san Giuseppe (1595-1596); Roma, Galleria Doria Pamphilj.


San Giuseppe è uno dei grandi protagonisti della Controriforma come intermediario fra umano e divino, un modello di coerenza spirituale e di virtù interiore scelto da Caravaggio e ripreso dal fiammingo Gerrit van Honthorst.

(41) D. Judovitz, op. cit., p. 60.

(42) S. Mc Clintock, op. cit., p. 157.

(43) E. Vickers, The Iconography of Georges de La Tour, New York 1950, p.113.

(44) S. Mc Clintock, op. cit., p. 150.

(45) Ivi, p. 151.

La valenza didascalica delle sue immagini non sta nell’illustrare il tema religioso ma nel ricrearlo umanizzando i santi e santificando gli umani, dotandoli di una speciale dignità(46). Per questi motivi risulta assai incerta la lettura di opere come il Fanciullo che soffia su un tizzone (conservato a Digione) ove il protagonista è raffigurato in atto di ravvivare un pezzo di brace incandescente con l’intenzione di accendere un lume. Si tratta evidentemente di una scena di genere e tuttavia l’isolamento del personaggio e la suggestione mistica dell’illuminazione notturna esalta quel gesto caricandolo di valore metaforico: l’azione materiale di soffiare equivale ad animare con la fede la luce divina perché illumini il proprio cammino(47). Veicoli di un analogo messaggio anagogico sarebbero anche la Fanciulla con il braciere e Il soffiatore con la pipa di Tokyo, assai simili per aspetto e concetto.


Fanciulla con il braciere (1640 circa).


Il soffiatore con la pipa (1640 circa); Tokyo, Tokyo Fuji Art Museum.

Verso il 1641 La Tour torna a Lunéville ove cerca di recuperare la posizione persa nel periodo dei difficili rapporti fra il ducato e la Corona francese, scatenati, nel trentennale conflitto fra le due potenze, dallo schieramento a favore dell’Impero del duca Carlo IV. Sappiamo che, forte dell’acquisito prestigio presso il re di Francia, La Tour si adopera per mantenere le esenzioni concessegli dal duca di Lorena all’epoca del trasferimento a Lunéville nel contempo rifiutandosi di pagare le tasse al sovrano(48). Nel 1646 la sua arroganza solleva le proteste dei cittadini di Lunéville che con queste parole ne denunciano lo sgradevole comportamento: «Il detto La Tour [...] si rende odioso al popolo per la quantità di cani che alleva, levrieri e spagnoli, e come se fosse il signore del luogo caccia le lepri fin nei campi di grano, li rovina e li calpesta»(49). All’accorata missiva si aggiungono altri due documenti da cui apprendiamo che nel 1648 La Tour bastona una guardia(50) e nel 1650 non esita a picchiare un agricoltore che ha provocato dei danni in una delle sue terre(51).

In aperta contraddizione con l’immagine di un aspirante aristocratico, prepotente e violento, impegnato a salvaguardare i propri privilegi, fra il 1644 e il 1648 vedono la luce La Natività e L’adorazione dei pastori, capolavori che raccontano la nascita con ineguagliabile tenerezza. La perdita precoce di sette figli su nove rappresenta certo un movente autobiografico alla riflessione sull’origine della vita e sulla fragilità neonatale e, tuttavia, si coglie in quelle opere un tono diverso sia dalla fredda oggettività delle scene di genere che dalla cupezza meditativa dei dipinti a soggetto religioso. Al contrario una gioiosa sacralità sembra qui esprimere la speranza in un futuro migliore del desolante presente.


La Natività (1646-1648); Rennes (Francia), Musée des Beaux-Arts.

(46) R. Picard, L’unité spirituelle de Georges de La Tour, in “Gazette des Beaux-Arts”, n. 114 1972, pp. 213-218.

(47) D. Judovitz, op. cit., p. 79.

(48) J. Thuillier, Georges de La Tour, cit., p. 265.

(49) Id., op. cit., Parigi 1972, p. 77.

(50) Ivi, p. 79.

(51) Ivi, p. 82.

Alla Natività del museo di Rennes, erroneamente attribuendola a Le Nain, lo scrittore Hippolyte Taine ha dedicato, nel suo Carnet de voyage del 1896, queste parole ispirate: «Quello che veramente appare sublime è un dipinto olandese, Il Neonato attribuito a Lenain: due donne vegliano un bimbo di otto giorni addormentato. Vi si scorge tutto ciò che la fisiologia può rivelare sugli inzi della vita umana. Nessuna parola può esprimere il sonno profondo, integrale, simile a quello che il piccolo dormiva solo otto giorni prima nel grembo della madre»(52).

Verosimilmente il tema dell’opera è la Natività ma l’assenza di Giuseppe e l’identificazione non agevole della seconda figura femminile rendono ancora una volta ambiguo il soggetto. Si tratta forse di sant’Anna, la madre della Vergine, cara ai francescani per il suo ruolo significativo nella tesi teologica dell’Immacolata concezione, di cui essi erano sostenitori. Schermando la candela, la presunta sant’Anna illumina il bambino dormiente fra le braccia della madre con un gesto simulante un’accennata benedizione. Contrasta con la stilizzazione dei personaggi adulti l’estremo realismo del tenerissimo volto infantile completamente rischiarato dalla fiamma divina, la cui vista diretta è impedita al riguardante profano.
L’uso della luce e il soggetto avvicinano la Natività alla Adorazione dei pastori. Come nel dipinto precedente la scena è debolmente illuminata ma il bambino risplende e tutti gli astanti sono rapiti da quello spettacolo allo stesso tempo ordinario e straordinario. L’iconografia dell’opera risulta meno ambigua grazie alla presenza di due distinte fonti di luce: la consueta candela schermata e lo stesso corpicino addormentato che rischiara gli astanti di una luce miracolosa. La donna in preghiera completamente illuminata è verosimilmente la Madonna laddove l’uomo con la candela mostra le fattezze di Giuseppe, già protagonista del Sogno. Nell’ombra, un pastore con il flauto e la mano al cappello accenna un benvenuto al nuovo nato, un altro ha portato l’agnello, l’“agnus Dei” giovanneo (Giovanni 1:29), simbolo della futura Passione, mentre una donna reca una terrina di latte. Dalia Judovitz ha segnalato come in essa si possa riconoscere sant’Anna, lo indicherebbe la “M” girata di novanta gradi formata dall’intreccio dei lacci del corpetto sul suo ventre(53). Essa reca una scodella di latte. Il candido nutrimento primigenio, rimandando insieme alla purezza e alla maternità, ribadisce il diretto coinvolgimento della madre della Vergine nella generazione del piccolo in fasce, verosimilmente richiamando la purezza ancestrale di Gesù.
Il diverso grado di illuminazione dei personaggi, interpretato non già come dato materiale ma spirituale, indica efficacemente negli astanti presenti il diverso grado di coinvolgimento nel mistero. Così Giuseppe rischiarato dalla sola candela avrebbe il dono massimo della fede, sant’Anna la duplice illuminazione dello Spirito e del Bambino, nella cui generazione sarebbe direttamente coinvolta, e la Vergine, dalla rossa veste di amore e carità, la piena luce del Figlio(54). Inizialmente attribuita a Gerrit van Honthorst, l’Adorazione dei pastori è stata identificata con una delle opere commissionate a La Tour dalla municipalità di Lunéville nel gennaio del 1645(55).

(52) J. Thuillier, L’opera completa di Georges de la Tour, Milano 1973, p. 10.

(53) D. Judovitz, op. cit., pp. 87-91.

(54) Ibidem.

(55) J. Thuillier, op. cit., Parigi 1972, p. 76.

Nonostante le difficoltà del clima bellico, la presenza francese in Lorena si andava rinforzando permettendo al pittore di raggiungere, proprio in quel quinto decennio del secolo, l’apice della sua carriera. Gli è favorevole il nuovo governatore francese, il marchese Henri de La Ferté-Senneterre, installato a Nancy nel 1643 dal cardinale Mazarino. La Ferté, appassionato collezionista di dipinti, esige da Lunéville come tributo annuale un dipinto di La Tour. Un’opera con tale soggetto è annoverata fra i sei documentati, donati a La Ferté fra il 1645 e il 1652 insieme a La scoperta del corpo di sant’Alessio(56).

Il culto del santo, collegato all’entusiasmo per l’ascetismo rifiorito in Lorena fra il XVI e il XVII secolo, era associato alle epidemie e alla peste(57). La Legenda aurea narra di questo nobile romano spinto da un’improvvisa vocazione ascetica ad abbandonare la promessa sposa la sera prima delle nozze per passare la sua vita in assoluta castità. Al rinvenimento del suo cadavere, un biglietto fra le sue mani rese noti i motivi della scelta di vivere per diciassette anni come mendicante sotto lo scalone del palazzo paterno senza farsi riconoscere(58).

Nell’opera la consueta luce notturna illumina il servitore in elegante livrea e il cadavere del santo il cui volto ha la bellezza e i colori di quello di Cristo. Questa volta, tuttavia, la fonte luminosa non è una candela ma una torcia, una differenza significativa sul piano simbolico. Se infatti nella candela lo stoppino genera una fiamma composta e controllabile, la torcia produce una fiamma intensa a fatica contenibile, cosicché la prima rappresenterebbe efficacemente la civiltà mentre la seconda, più primitiva, la barbarie(59). L’indicazione contribuisce alla lettura dell’immagine individuando nel giovane con la torcia il degno rappresentante degli abitanti del palazzo, così scarsamente evoluti da non riuscire a riconoscere con l’identità del santo la sua superiore natura spirituale.

Lo stesso strumento rischiara la scena del San Sebastiano curato da Irene al Louvre, un’opera ambiziosa per formato e impianto compositivo, anch’essa riconosciuta fra i doni di Lunéville a Henri de la Ferté(60).


San Sebastiano curato da Irene (1649); Parigi, Musée du Louvre.


San Sebastiano curato da Irene (1649 circa); Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie.

(56) Ivi, p. 80.

(57) E. Vickers, op. cit., p. 108.

(58) J. da Varazze, Legenda aurea, Firenze 2007, vol. I, pp. 696-701.

(59) P. Choné, La lanterne et le flambeau, in Georges de La Tour ou la nuit traversée, cit., Vic-sur-Seille 1993, pp. 145-158.

(60) J. Thuillier, op. cit., Parigi 1972, p. 81.

Come la precedente anche quest’opera ha per protagonista un santo protettore dalla peste. La leggenda narra infatti come Sebastiano, sopravvissuto alle frecce della sua tortura assimilate ai venefici dardi di Apollo responsabili della morte nera, divenisse il simbolo dell’immunità al contagio(61). Sappiamo che nel 1636 l’epidemia toccava la casa di La Tour e che in quell’occasione moriva un suo nipote, impiegato come apprendista presso l’atelier(62) e tuttavia, dacché la popolarità del protomartire, caro alla Controriforma e ai caravaggeschi, non può essere circoscritta agli anni dell’epidemia, la critica propende per assegnare l’opera non a quel momento ma alla fine del quinto decennio del Seicento(63).

I personaggi sono presentati come di consueto senza aureole e con costumi contemporanei ma ogni residua traccia di realismo è sparita in virtù di una stilizzazione che contribuisce a trasformare il racconto storico in esempio spirituale. Vissuto in epoca romana, Sebastiano era una guardia imperiale divenuta invisa all’imperatore per la sua conversione al cristianesimo. La vicenda del santo, narrata nella Legenda aurea(64), diviene esempio didascalico nella crociata contro l’idolatria e strumento prezioso nella propaganda cattolica contro la Chiesa protestante. Nell’opera, il compito di ricordare la storia del santo è affidato a un elmetto di lucente metallo, a una freccia e a un’unica goccia di sangue, a indicare come La Tour si tenga lontano dagli eccessi truculenti cari ai caravaggeschi e allo stesso Caravaggio.
Sviluppano il tema del tradimento e del pentimento le opere che hanno per protagonista san Pietro, un soggetto più volte raffigurato da La Tour nel corso della sua lunga carriera. La più antica notizia di una sua opera riguarda proprio un’immagine di san Pietro destinata alla chiesa dei frati minimi di Lunéville, pagata centocinquanta franchi dal duca Enrico II l’anno prima della sua morte(65).

(61) G. Ferguson, Signs and Symbols in Christian Art, New York 1961, p. 142.

(62) J. Thuillier, op. cit., Parigi 1972, p. 73.

(63) E. Vickers, op. cit., pp. 107-108.

(64) J. da Varazze, op. cit., vol.I, pp. 194-201.

(65) J. Thullier, op. cit., Parigi 1972, p. 67.

Lo stesso santo è protagonista del Pentimento di san Pietro, firmato e datato 1645. Pietro in preghiera è in preda al rimorso, eloquenti lacrime di compunzione ne rigano il volto segnato. Gli è accanto il gallo, a ricordare le profetiche parole di Cristo sull’ora in cui l’apostolo avrebbe per tre volte negato di conoscerlo. Appena visibile, sopra la testa dell’animale, un tralcio di vite rimanda alla frase: «Io sono la vite e voi i tralci» annotata nel Vangelo di Giovanni (Giovanni 15: 5-6), a indicare negli apostoli i propagatori della linfa del Messia.

La luce notturna questa volta non è generata da una candela ma da una lanterna accanto ai piedi del santo. Così ingabbiata in questo strumento dell’umana perizia, essa è contenuta e protetta come il divino è difeso dalla Chiesa di cui Pietro è il fondatore(66). La critica ha notato come i lineamenti del volto dell’apostolo ricordino quelli del mistico lorenese Pierre Fourier (1565-1640)(67), figura carismatica di educatore conosciuto da La Tour già all’epoca del suo trasferimento a Lunéville(68).
Tratti simili ricorrono nel protagonista del Rinnegamento di Pietro, opera firmata e datata 1650, altro possibile dono della città di Lunéville al governatore La Ferté(69). In essa la critica ha riconosciuto la consistente collaborazione di aiuti, forse del figlio Étienne la cui presenza è documentata nell’atelier del padre dal 1646(70).


Gerard Seghers, Il rinnegamento di san Pietro (1620-1625); Raleigh (North Carolina), North Carolina Museum of Art.


Hendrick Terbrugghen, Il rinnegamento di san Pietro (1628-1629?); Chicago, Art Institute of Chicago.


Il rinnegamento di san Pietro (1650); Nantes, Musée des Beaux- Arts.

(66) S. Mc Clintock, op. cit., pp. 165-166; 202-203.

(67) A. Bougier, Georges de La Tour et Saint Pierre Fourier, in “Gazette des Beaux-Arts”, n. 100 1958, pp. 51-62. .

(68) E. Vickers, op. cit., p. 106; J. Thuillier, op. cit., Parigi 1972, pp. 65 e 69.

(69) J. Thuillier, op. cit., Parigi 1972, p. 83.

(70) Id., ivi, p. 77.

Qui il fatto agiografico narrato nel Vangelo di Marco (Marco 14: 66-72) è relegato nell’angolo in alto a sinistra mentre domina, in primo piano, una scena di gioco di dadi. A dispetto delle norme tridentine che esigevano chiarezza didascalica, il soggetto sacro appare qui in netto subordine: l’espediente narrativo adottato, anomalo nell’opera di La Tour, sembra piuttosto rifarsi alla consuetudine fiamminga, popolare già dal secolo precedente, di lasciare sul piano arretrato il tema religioso dell’opera collocando in primo piano la scena di genere. L’obiettivo anagogico era perseguito nel guidare il riguardante dal livello della materia a quello dello spirito. Qui, tuttavia, i piani non sono nettamente distinti e stretto e consequenziale è il rapporto fra l’apostolo e i giocatori di dadi. Questi richiamano alla mente i soldati che nel passo del Vangelo di Giovanni (Giovanni 19 : 23-24) si divisero, tirandole a sorte, le vesti del Signore crocifisso(71).

Il trait d’union fra Pietro e i soldati giocatori è il sacrilegio, generato dalla leggerezza, dal prevalere della futilità delle istanze umane sulla gravità delle spirituali. La fede si è eclissata, lo indica la fiamma della candela schermata, un espediente sfruttato, presumibilmente per scopi simili, nell’opera Giocatori di dadi, una scena di genere priva di riferimenti scritturali. In un’atmosfera a un tempo sinistra e suggestiva tre soldati lanciano i dadi assistiti da due equivoci personaggi: a sinistra un cavaliere in armatura il cui profilo evoca le fattezze di Richelieu e a destra un’ambigua fanciulla nella quale la critica ha talora riconosciuto un ragazzo.

Qui regnano i piaceri effimeri e l’equivoca moralità, caratteristiche che nella figura maschile astante sono compendiate dal fumo della pipa, citazione frequente nelle “vanitas” fiamminghe, e dal furtivo gesto di sottrarre la borsa a uno dei giocatori. La fiamma della candela rischiara l’espressione partecipe e divertita del personaggio femminile, del quale il maschile copricapo segnala l’attitudine da virago e l’orecchino di perle la propensione alla vanità. Nella presenza di quei due astanti di sesso opposto La Tour sembra esprimere la convinzione che la propensione alle occupazioni futili e dannose non conosca distinzione di genere ma sia comune a entrambi i sessi. Quest’opera, nella quale la critica ha riconosciuto, nonostante la firma dell’artista, l’apporto consistente di aiuti, è uno degli ultimi lavori del pittore lorenese.

Nel 1652, pochi giorni dopo la moglie, Georges de La Tour muore di pleurite all’età di cinquantasette anni(72).

La Lorena è ormai stata completamente assorbita dalla Francia dove Charles Le Brun e il già maturo Nicolas Poussin imperversano, segnalando inequivocabilmente che lo stile di La Tour è ormai anacronistico. Il figlio Étienne prosegue sulla scia del padre replicandone le composizioni senza innovazione fino a cessare completamente l’attività della quale un documento del 1684 non conterrà più nemmeno il ricordo(73). Sarà tuttavia compito di quest’unico figlio sopravvissuto ottenere lo stemma e il titolo nobiliare tanto ambiti dal padre(74), emblemi di quella stessa vanità umana che egli aveva insistentemente denunciato nei suoi capolavori.


Giovanni Battista (1649-1651); Vic-sur-Seille, Musée Georges de La Tour.
L’opera ha forti contatti con la Maddalena di Houston: entrambi sono contraddistinti da una marcata semplificazione formale.
Il san Giovanni Battista è raffigurato con la croce in legno, suo attributo iconografico, e con l’agnello simboleggiante Cristo, dallo stesso definito «Agnus dei».

(71) R. Picard, op. cit., pp. 213-218.

(72) J. Thuillier, op. cit., Parigi 1972, p. 84.

(73) A. Reinbold, Firme e attribuzione: la questione della bottega, in op. cit., Milano 2011, pp. 63-73; D. Salmon, Georges de La Tour, cenni di cronologia, in Georges de La Tour a Milano. L’Adorazione dei pastori, San Giuseppe falegname, cit., Milano 2011, p. 201.

(74) J. Thuillier, op. cit., Parigi 1972, p. 88.

LA TOUR
LA TOUR
Silvia Malaguzzi
Georges de La Tour (Vic-sur-Seille 1593 - Lunéville 1652), lorenese, rappresenta una versione decisamente personale del caravaggismo che si diffonde in Europa nel corso del XVII secolo. Artista enigmatico, poco testimoniato dai documenti del tempo, ebbe una grande notorietà in vita e un incomprensibile oblio dopo la sua morte. “Ritrovato” solo nella prima metà del Novecento, è ora riconosciuto come un virtuoso della pittura a lume di candela, grazie alle sue quiete e malinconiche scene notturne, popolate di Maddalene penitenti o episodi dell’infanzia di Gesù o della Vergine. Ma non va dimenticata la sua parallela produzione “diurna”, con scene di genere caratterizzate da fulminei giochi di sguardi. A La Tour è dedicata in questi mesi una grande mostra milanese.