Il gusto dell'arte

un tripudio
di frutti e verdure

All’avvenente venditrice fa da contrappunto la copiosità
dei prodotti della terra

Ludovica Sebregondi

Una forte componente simbolica, racchiusa in forme di vigorosa carnalità: così appare la Fruttivendola di Vincenzo Campi. La giovane e avvenente venditrice offre, con gesto altamente erotico, un grappolo di uva nera, mentre - sopra il grembiule azzurro-verde dal bordo ricamato, che copre le gambe aperte a formare quasi una conca -, sostiene delle mele, o pesche, impegnata, con la sinistra, a impedire che cadano. Indossa un abito giallo dal corsetto scollato, bordato di blu e decorato con nastri rossi e una camicia candida che si apre sui seni prosperosi (che appaiono, in mezzo a tanta frutta, come due ulteriori prodotti dell’abbondanza giunti a maturazione): un abbigliamento elegante, cui si accompagna un’accurata pettinatura, certamente poco appropriato per una venditrice di campagna. La circonda un tripudio di frutti e verdure: la copiosità dei prodotti della terra fa da subliminale contrappunto alla prosperosità della donna. Sul terreno sono appoggiati carciofi e asparagi, piselli e un cavolo, mentre ciotole di ceramica accolgono ciliegie di tre varietà e due cesti sono riservati alle pere: in uno rivestito di foglie è riunita una qualità più variegata, mentre le altre sono forse delle cosiddette “volpine”, piccole e con un grande picciolo. Uva bianca e nera dai grossi chicchi è contenuta in un basso mastello per mosto i cui manici sono ricavati dal prolungamento di due delle doghe, munite di fori per permetterne il trasporto con l’inserimento di un bastone. Due piatti di metallo sono riservati a susine e albicocche, appoggiate, queste ultime, sopra una grande zucca arancione; tre cesti di forme diverse sono assegnati il primo a fave (baccelli in Toscana) ornate con rose, il secondo a nocciole ancora rivestite dell’involucro e a mandorle, e l’ultimo a zucche verdi e bitorzolute, alcune aperte a mostrare la polpa arancione e i semi. Sopra una sporta è appoggiato un piatto di ceramica bianca con delle more, e su un vassoio sono accuratamente disposti dei fichi neri, mentre ai fichi dottati, cui la maturazione ha conferito un tono giallastro, è destinato un tagliere rotondo in legno. In una cassetta sul fondo sono riunite pere e zucchine col fiore.
Mancano mais, pomodori e patate, il cui uso si diffonderà molto tempo dopo la scoperta del Nuovo Mondo: il granoturco, da cui si ottiene la polenta di farina gialla, verrà introdotto nell’alimentazione dal 1630 a Venezia, mentre i pomodori saranno utilizzati nel Nord Italia a Seicento inoltrato e le patate valorizzate a opera del farmacista e agronomo francese Antoine Augustin Parmentier nell’Età dei lumi.
La Fruttivendola è stata commissionata - al pari delle altre tele raffiguranti la Pescivendola, la Pollivendola e la Cucina, che vanno a costituire una serie - dal banchiere Hans Fugger per il castello bavarese di Kirchheim. Vincenzo Campi, membro di una famiglia di pittori cremonesi, ha introdotto l’uso di simili raffigurazioni con venditori che, seduti da soli in paesaggi agresti, offrono una molteplicità di prodotti. Le scene di mercato sono un’invenzione fiamminga, ma in quel contesto i commercianti appaiono inseriti in un’affollata cornice cittadina e sul fondo si svolgono episodi evangelici. Campi conserva la scansione in due parti, ma sostituisce la scena sacra con la raffigurazione di come vengono procurati i generi alimentari smerciati in primo piano: nella Fruttivendola, a sinistra un giovane si è arrampicato su una scala appoggiata a un albero e sta cogliendo dei frutti, mentre una donna, ai piedi della pianta, li sistema in un grande e basso cesto.
Per il dipinto - che appartiene alla fase più matura dell’artista, morto cinquantacinquenne nel 1591 - Campi si è ispirato alle opere di Pieter Aertsen e Joachim Beuckelaer, conosciute in virtù dei contatti stabiliti a Cremona, la cosiddetta “piccola Anversa”, con i Paesi Bassi dalla famiglia dei banchieri Affaitati. Grazie a Vincenzo si sono diffuse nell’Italia del Nord e nel mondo tedesco simili rielaborazioni di pitture fiamminghe: scene di genere in cui sulla figura umana quasi primeggia una natura morta (frutta, verdura, prodotti ittici o pollame) che assume un proprio valore autonomo. La descrizione della sontuosa esposizione e dei diversi contenitori, su cui l’artista si sofferma con meticolosa minuzia, attesta l’attenzione tutta nordica e lombarda per il dato reale, una sensibilità che ispirerà il giovane Caravaggio, mentre il paesaggio con le figurette appena riconoscibili rappresenta l’immediato precedente della pittura di Annibale Carracci.
I prodotti raffigurati nella Fruttivendola maturano in periodi differenti dell’anno, e suggeriscono qui un superamento, ideale e vagheggiato, dell’alternarsi della produzione agricola: una sorta di eden in cui sono valicate le limitazioni imposte dalla stagionalità e in cui vengono offerti copiosamente frutti e verdure prodotti da una natura che non rispetta le sue stesse leggi. Un tempo, sogno idealizzato e simbolico di ricchezza e di una “età felice”, oggi realtà di qualunque supermercato.


Vincenzo Campi, Fruttivendola (1580 circa), intero, Milano, Pinacoteca di Brera.

Particolare Milano, Pinacoteca di Brera.

LA RICETTA
Pere volpine al vino

kg 1 di pere volpine con il picciolo
gr 400 di zucchero 1 cucchiaio di miele
1/2 litro di vino rosso Sangiovese
1/4 di litro di acqua
foglie di alloro
scorza di 1/2 limone
un pizzico di sale grosso
La pera volpina va consumata solo cotta e deve essere addolcita, poiché il gusto è aspro. Lavare le pere (non vanno sbucciate), metterle in una casseruola con il picciolo in alto, coprirle con il vino e l’acqua in cui si sarà sciolto lo zucchero, un pizzico di sale grosso e il miele; aggiungere le foglie d’alloro, la scorza di mezzo limone e cuocere lentamente fino a quando le pere avranno assorbito la maggior parte del liquido che diventerà quasi uno sciroppo. Fare intiepidire e servire con della ricotta freschissima.

ART E DOSSIER N. 314
ART E DOSSIER N. 314
OTTOBRE 2014
In questo numero: CHIC! ARTE, STILE ED ELEGANZA Dai dandy del Cinquecento alla scultura dell'Illuminismo da Montesquiou a Iké Udé. IN MOSTRA: Horst, Arte islamica, Dossi.Direttore: Philippe Daverio