Grandi mostre. 1 
Horst P. Horst a Londra

FOTOGRAFARE
LO STILE

Il fotografo tedesco Horst P. Horst si colloca - fra gli anni Trenta e gli anni Sessanta - in un cruciale punto di snodo fra cinema, moda e fotografia. Si deve in gran parte a lui se l’immagine del cinema ha assunto molto presto i connotati di lusso, rigore estetico, perfezione del dettaglio che hanno caratterizzato la Hollywood degli anni d’oro.

Matteo G. Brega


Per essere «fotografo dello stile» - così viene definito Horst P. Horst nel titolo della mostra a lui dedicata - occorre, auspicabilmente, attraversare varie stagioni culturali affinché le analogie e le differenze sulle quali lo “stile” si fonda spicchino con maggiore rilievo. Ed è proprio ciò che accadde a Horst, scomparso nel 1999, al quale il V&A - Victoria and Albert Museum di Londra dedica una retrospettiva, Horst: Photographer of Style, dal 6 settembre 2014 al 4 gennaio 2015.

Durante la sua vita il fotografo tedesco seppe cogliere i momenti determinanti dell’estetica legata alla moda, alla società, all’arte, al teatro, essenzialmente perché, oltre a essere uno dei principali fotografi del lungo periodo 1930-1970, seppe trovarsi sempre - come si suol dire - al posto giusto nel momento giusto. I due poli di attrazione rimanevano New York e Parigi ma, all’interno di questo arco geografico, Horst seppe fermare, attraverso i suoi scatti, tutto lo stile di un mondo intero in veloce evoluzione. Secondo la prassi del V&A la mostra, oltre alle duecentocinquanta fotografie, si avvale della presenza di capi d’abbigliamento, oggetti e filmati, a supporto del percorso espositivo, al fine di ricreare il clima dello “stile” testimoniato da Horst. Un fotografo che, pur non disdegnando l’aspetto “mondano” delle amicizie con Coco Chanel o Salvador Dalí, non abbandonò mai il “côté” di ricerca della propria produzione fotografica, della quale si ricordano in particolare l’uso della luce in senso drammatico o i pionieristici esperimenti degli anni Trenta sul colore. Una sapienza tecnica che consentirà a Horst di affrontare gli anni Sessanta con una sorprendente freschezza se lo pensiamo, solo pochi anni prima, come il ritrattista di Marlene Dietrich. Ecco dunque emergere con disinvoltura la stessa maestria sia nell’uso dei tagli di luce posizionati in modo da conferire ai suoi scatti una valenza drammatica, pressoché teatrale, sia, qualche anno dopo, nell’utilizzo del colore morbido utilizzato per ritrarre la composta eleganza di Edoardo VIII immerso nella campagna inglese. Nella mostra veniamo a conoscenza della poliedricità degli interessi di Horst grazie al ritrovamento di scatti di nudo sinora inediti o di paesaggi mediorientali dove emergono con chiarezza l’inclinazione formale e la preparazione tecnica del fotografo, un uomo che conosceva profondamente l’arte antica e ne sapeva cogliere le influenze nelle forme della cultura contemporanea. Ennesima riprova che nulla di ciò che appare futile - men che meno il mondo della moda - per assurgere a livelli qualitativi elevati necessita di una consapevolezza estetica il cui ampliamento va di pari passo con il suo nascondimento. Alla luce di ciò si può intendere meglio come l’influenza dell’estetica Bauhaus abbia accompagnato lo stile di Horst e ne sia stata forse la principale, seppur sottesa, ispirazione.

È come se una consapevolezza stilistica dominasse
sempre il suo lavoro



Senza scomodare Benjamin, è intuibile come un fotografo, perdipiù pubblicato sulle più prestigiose riviste del mondo, possa aver sia colto che condizionato gli stili di un’epoca e, a guardare le foto della mostra, molti sono gli influssi di Horst nell’immaginario collettivo. Alcune immagini, di grande impatto iconico, evidenziano come un fotografo come Horst svolgesse il decisivo ruolo di “trait d’union” tra moda e cinema, facendo scatti per “Vogue” e incontrando al contempo stelle del cinema quali Rita Hayworth, Bette Davis, Vivien Leigh, Ginger Rogers, Marlene Dietrich e Joan Crawford. Non ci si stupirà dunque nel cogliere l’impianto “cinematografico” di alcuni servizi di moda o, viceversa, il “glam” di alcuni ritratti delle stelle del cinema. È a Horst infatti che si deve l’estetica teatral-cinematografica così tipica del mondo della moda degli anni Quaranta e Cinquanta, estetica che pose le basi per la successiva evoluzione dell’immagine della donna negli anni Sessanta. Forse il merito maggiore di Horst - e in questo caso il suo retroterra culturale svolge un ruolo assolutamente decisivo - è stato quello di riuscire sempre a estetizzare i soggetti ritratti senza mai scadere né nel banale né nell’ammiccante. È come se una consapevolezza stilistica dominasse sempre il suo lavoro, anche e soprattutto a contatto con i dettagli della piega di un vestito o di un’acconciatura. La scelta della posa e la composizione degli spazi, rigorosissima ma allo stesso tempo aperta alla fruizione estetica, ricorda certi esiti fotografici dell’ultima Leni Riefenstahl, ma con un’apertura maggiore, se possibile, nei confronti del significato culturale dell’immagine del lusso e della bellezza come componenti irrinunciabili di ogni epoca e di ogni stile.


Marlene Dietrich, New York (1942).

Horst dirige uno shooting con Lisa Fonssagrives (1949);

Costumi di Salvador Dalí per Bacchanale di Leonid Massine (1939).


Muriel Maxwell, per “Vogue” America (1939).


Abito di Hattie Carnegie (1939);

Round the Clock, New York (1987).

È con Horst che l’estetica di Hollywood si raffina e conquista la moda, per poi annettersi l’immaginario della donna sino agli anni Sessanta


L’incontro tra fotografia e pittura, dato oggi per scontato in fotografi come Mapplethorpe o LaChapelle o in registi come Greenaway, deve più di qualcosa a Horst e al suo essere allo stesso tempo “parigino” e “newyorchese” pur con il retroterra culturale tedesco. La mostra del V&A consente di ammirare questo accostamento anche grazie all’esposizione di rimandi pittorici e di veri e propri esperimenti a metà strada tra la pittura e la fotografia che il giovane Horst seppe interiorizzare nella Parigi degli anni Trenta, a contatto con quel movimento surrealista che riconobbe le potenzialità della fotografia sino ad accostarla alla pittura; evento ben simbolizzato dall’amicizia e collaborazione tra Horst e Dalí, testimoniata da scatti memorabili presenti nella mostra londinese.
L’incontro tra fotografia e pittura, dato oggi per scontato in fotografi come Mapplethorpe o LaChapelle o in registi come Greenaway, deve più di qualcosa a Horst e al suo essere allo stesso tempo “parigino” e “newyorchese” pur con il retroterra culturale tedesco. È con Horst che l’estetica di Hollywood si raffina e conquista la moda, per poi annettersi l’immaginario della donna sino agli anni Sessanta e creare il mito planetario della “femme fatale” veicolata dalle riviste cosiddette “patinate”. Il tutto contaminato all’interno di un’unica intuizione stilistica che portò Horst, nell’ultima parte della sua produzione, a ritrarre le più belle case del mondo sia per “House & Garden” che per “Vogue”, diretta da Diana Vreeland. Una sorta di ritorno alle visioni giovanili per il fotografo tedesco che aveva intuito come il concetto di design potesse espandersi oltre i confini iniziali per arrivare a contaminare la moda e la cultura, inaugurando così un periodo nel quale viviamo tuttora.

Summer Fashion, copertina per “Vogue” America (1941);


Abito e copricapo da sera di Elsa Schiapparelli (1947).

ART E DOSSIER N. 314
ART E DOSSIER N. 314
OTTOBRE 2014
In questo numero: CHIC! ARTE, STILE ED ELEGANZA Dai dandy del Cinquecento alla scultura dell'Illuminismo da Montesquiou a Iké Udé. IN MOSTRA: Horst, Arte islamica, Dossi.Direttore: Philippe Daverio