XXI secolo. 1
Il caso Iké Udé

anarchia
sartoriale

Una delle più interessanti incarnazioni contemporanee del dandy è Iké Udé, artefice di una rielaborazione del vestire come strumento espressivo fuori da ogni uso codificato, il linguaggio politico di una nuova ribellione.

Elena Agudio


thomas Carlyle, nel Sartor Resartus (1833-1834), definisce - con un certo sprezzo puritano - il dandy come «un uomo il cui settore, ufficio ed esistenza consiste nell’indossare abiti»(1). Trent’anni più tardi Charles Baudelaire in Il pittore della vita moderna aggiunge: «Il dandismo appare in periodi di transizione in cui la democrazia non è ancora del tutto potente e l’aristocrazia ha appena iniziato a vacillare e cadere. Nei disordini di momenti come questi alcuni uomini socialmente, politicamente e finanziariamente a disagio, ma assolutamente ricchi di un’energia innata, possono concepire l’idea di stabilire un nuovo tipo di aristocrazia, ancora più difficile da abbattere perché basata sulle più preziose e durevoli facoltà e su doni divini che il lavoro e il denaro sono incapaci di donare»(2). Oltre i giudizi moralisti contro il travestimento effimero e l’attenzione per i costumi e gli abiti - nella riflessione di Carlyle sul tema dell’Uomo come Animale Nudo che usa mascherarsi con abiti -, il dandysmo e l’“arte sartoriale” nella storia hanno spesso rappresentato l’incarnazione di un gesto essenzialmente politico e culturale e di un pensiero militante.

Ai tempi di Baldassar Castiglione l’eleganza del gentiluomo doveva essere mostrata con “sprezzatura”, con ironia e distacco e con quella certa nonchalance che fa sì che qualsiasi cosa si dica o si faccia provenga da un innato bagaglio personale e non da uno studio posticcio o acquisito nel tempo («per fuggir quanto si po, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione»)(3). “Mutatis mutandis”, il concetto di sprezzatura si secolarizza nella nozione di glam e glamour dell’epoca dei divi e delle star del cinema, fino a sfiorare il concetto di “coolness” legato alla cultura black del jazz freddo e al suo linguaggio vestimentario codificato e allusivo degli anni Cinquanta e Sessanta, e alla più recente idea di “trendyness” che esplode negli anni Ottanta.

Nelle sue opere fotografiche posa in stravaganti e ricercatissimi autoritratti con abiti capaci di trascendere ogni idea di epoca
e di spazio



Il caso contemporaneo dell’artista newyorchese di origine nigeriana Iké Udé rappresenta oggi forse l’esempio più interessante e intrigante dell’artista dandy. Udé, che nelle sue opere fotografiche posa in stravaganti e ricercatissimi autoritratti con abiti capaci di trascendere ogni idea di epoca e di spazio, spiega di essere intollerante alle “restrizioni sartoriali” e alla tirannia del “dress code” della società contemporanea, e parla di una sua personale strategia artistica di “anarchia sartoriale”. Per questo si dichiara interessato a rinvigorire, problematizzare, rinnovare e riapprezzare il dandysmo come un’arte plastica multiforme. «Oggi le scelte globali possono essere mescolate con ingegno. Questo bricolage sartoriale produce un nuovo modo di espressione che riflette un’immagine del mondo, al di là della tassonomia dei costumi nazionalistici che ancora oggi prevalgono. Il passato e le epoche sono miniere d’oro da esplorare. Quali esempi di sartoria possiamo citare e riscoprire dai nostri predecessori, attraverso i secoli e il mondo? Con la tale inesauribile varietà di abiti senza tempo che abbiamo a disposizione, che bisogno c’è di drag? Lo scopo della mia anarchia sartoriale è di citare tutti i capi di abbigliamento maschili del passato e del presente. Mescolando diversi costumi in concerto con il passato e il presente, si può incominciare a realizzare quanto arbitrario, soggettivo, effimero, e addirittura assurdo sia il nostro “reale” costrutto culturale. L’anarchia sartoriale, essenzialmente e concettualmente un postdandismo, mostra un debito all’artificio mentre riconosce un continuo moto pendolare tra ambiguità culturalmente soggettive dei codici dell’abbigliamento e le sue relative bellezze, imperfezioni e contraddizioni. È pan-temporale e pan-culturale»(4).
L’arte e la poetica di Udé non possono essere lette come semplice fenomeno di dandysmo, estetismo e glamour, ma più propriamente come una pratica artistica ribelle, una strategia politica e culturale emancipatoria. Perché Udé non crea solo serie provocatorie come Cover Girls - in cui si presenta autoritratto sulle copertine di riviste popolari - ma, in veste di editore della rivista “aRUDE” e di uomo e artista di origine africana in un mondo occidentale in cui la discriminazione non è un problema che sembra appartenere al passato, riflette e scrive: scrive di sessualità e di identità nera, di africanità e postnazionalismo, del senso politico della performance, della differenza tra artista e spettatore, o del dualismo arte e moda. Come un Andy Warhol dell’inizio del Terzo Millennio, dicono di lui i critici, Udé gioca con le ambiguità del mercato e dell’arte per convertire il vacuo e il mediocre in pensiero, ispirazione, convinzione e discorso politico.



Sartorial Anarchy #12 (2013).

American Vogue (1994).


Sartorial Anarchy #24 (2013).


Newsweek (1998);


Sartorial Anarchy #2 (2013).

(1) T. Carlyle, Sartor Resartus, Oxford 2007.
(2) C. Baudelaire, Il pittore della vita moderna, Parigi 1863.
(3) B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, presentazione di E. Bonora, commento di P. Zoccola, Milano 1972.
(4) Iké Udé, Styles & Sympathies. New Photographic Works, catalogo della mostra (New York, Leila Heller Gallery, 10 ottobre - 9 novembre 2013), New York 2013.

ART E DOSSIER N. 314
ART E DOSSIER N. 314
OTTOBRE 2014
In questo numero: CHIC! ARTE, STILE ED ELEGANZA Dai dandy del Cinquecento alla scultura dell'Illuminismo da Montesquiou a Iké Udé. IN MOSTRA: Horst, Arte islamica, Dossi.Direttore: Philippe Daverio