Arte contemporanea


StudioBerlin

Cristina Baldacci

La collaborazione tra uno dei club underground più esclusivi al mondo e una delle coppie di collezionisti di arte contemporanea più influenti d’Europa non poteva che produrre un evento che è già leggendario: la mostra STUDIO BERLIN. Nata in risposta alla pandemia e alla conseguente chiusura della maggior parte dei luoghi della cultura berlinesi, la collettiva di opere della comunità artistica “locale” di cui Karen e Christian Boros si sono fatti promotori (la loro collezione è esposta nel centro città in un ex bunker della seconda guerra mondiale, già usato negli anni Novanta per raduni “rave”) occupa fino a fine anno i circa tremila e cinquecento metri quadrati del Berghain. 

Il tempio della musica techno, che ha sede in una vecchia centrale elettrica della Berlino Est, tra i quartieri di Kreuzberg e Friedrichshain, da cui prende il nome (vedi l’unione tra le finali “Berg” e “Hain”, che in tedesco significano rispettivamente montagna e boschetto) e che durante una delle sue serate, spesso della durata di più giorni, accoglie migliaia di persone, ha esorcizzato il lockdown celebrando l’unione tra le arti. Perché bisogna ricordarlo, la techno non è certamente soltanto intrattenimento ma anche cultura, come dimostra un recente film dell’artista britannico Jeremy Deller (Everybody in the Place, 2018), che ripercorre la storia sociale del suo paese, nel decennio 1984-1992, proprio attraverso la scena “rave” e la musica elettronica. 

Più del progetto espositivo in sé, il punto di forza della mostra è l’idea comunitaria e partecipativa che ne sta alla base, che è anche uno dei tratti distintivi della capitale tedesca. Il gigantesco e temporaneo “studio” ospita circa centoventi opere di artisti internazionali accomunati dall’appartenenza, più per adozione che per nascita, a Berlino, che ormai da anni è l’epicentro europeo delle arti. A cominciare dalla scritta a caratteri cubitali del thailandese Rirkrit Tiravanija, che accoglie come un monito il visitatore all’ingresso: “Morgen ist die Frage” (Il domani è la domanda). Si può criticare il debole filo conduttore, il fatto che molti dei nomi presentati, tra cui Monica Bonvicini, Jimmie Durham, Olafur Eliasson, Elmgreen & Dragset, Isa Genzken, Wolfgang Tillmans, Danh Vo¯, sono tutt’altro che artisti in difficoltà in questo momento di crisi. E ancora, il caro prezzo del biglietto, che con i suoi diciotto euro (prezzo base), più che aiutare la sopravvivenza della comunità artistica berlinese, garantisce quella del Berghain: ma per quanto tempo ancora e perché no, dato che nell’ultima manciata di anni molti dei luoghi anticonformisti storici di Berlino sono stati chiusi dalle inarrestabili politiche di gentrificazione? 

Rimane il fatto che STUDIO BERLIN al Berghain è un caso virtuoso di resilienza dell’arte che andrebbe preso come esempio, semmai migliorandolo. È stato riconosciuto anche dal Senato di Berlino, l’organo che governa la città, che lo ha sostenuto con un finanziamento di duecentocinquantamila euro, sancendo l’unione tra responsabilità pubblica e intraprendenza privata.


Al Berghain di Berlino, tra i club underground più esclusivi al mondo, prosegue una mostra, che è già leggenda, come risposta alla pandemia


Rirkrit Tiravanija, Morgen ist die Frage (2020). (Berlino, Berghain, STUDIO BERLIN, settembre - dicembre 2020).

STUDIO BERLIN

fino a fine 2020
Berghain, Berlino
www.studio.berlin

ART E DOSSIER N. 382
ART E DOSSIER N. 382
DICEMBRE 2020
In questo numero: ATTIVISMO, ARTE E SOCIETA': Intervista a William Kentridge. Banksy: l'artista invisibile. IN MOSTRA: Banksy a Roma, Enzo Mari a Milano, Cartier-Bresson a Venezia, Derain/Le Corbusier a Mendrisio, I Macchiaioli a Padova, Michelangelo a Genova.Direttore: Philippe Daverio