Grandi mostre. 2
Paolo Veronese a Verona

GIOIA BELLEZZA RISO
e non solo

Nella prima grande mostra in Italia sull’artista veronese, dopo quella di Venezia nel 1939, dipinti e disegni da tutto il mondo, indagati con occhi diversi dopo anni di studi, offrono nuove interpretazioni critiche sulla cultura del pittore e l’organizzazione della sua bottega.

Gloria Fossi

Verona, 1528: nasce «Paulino pittore », figlio d’un tagliapietre, come scrive Vasari (1568), il primo a parlare di Paolo Caliari detto il Veronese come di un giovane artista autonomo e di talento («È in Vinezia in bonissimo credito»). Paolo, che a Venezia morirà a sessant’anni dopo una feconda carriera, si era formato nella città natale: ricca di edifici romani, dove dai tempi scaligeri chiese e monumenti inglobavano antiche vestigia. Agli inizi del Cinquecento, sotto la Serenissima, Verona si era rinnovata col cosmopolita architetto veronese Michele Sanmicheli (1487 circa - 1559), dotato di una solida cultura classicheggiante. 

Verona prosperava e in questa felice congiuntura «Paulino» entra nel 1541 nella bottega di Antonio III Badile (1518-1560) stimata per ritratti e dipinti religiosi. Collabora probabilmente anche con Giovanni Caroto (1480-1555 circa), specializzato nel disegno di antichità veronesi, e con lui forse lavora a quei fogli, pubblicati nel 1560. E sempre sarà attento osservatore di architetture e antichità, fino a “sintonizzare” magistralmente le sue composizioni col contesto architettonico (un altare o una cappella nel caso di tele religiose; un vano, una sovrapporta, un soffitto nel caso di dipinti per palazzi nobiliari). Agli esordi Veronese collabora con i decoratori delle fabbriche di Sanmicheli, anche fuori città. Nel 1551 è poi a villa Soranza (Castelfranco Veneto), e in seguito affresca la palladiana villa Barbaro a Maser (Treviso). In quegli anni l’erudito committente della villa, Daniele Barbaro, traduce il De architectura di Vitruvio, illustrato da Palladio stesso (1556). In questo clima cresce la fama di Veronese, che è anche un valido disegnatore, aspetto non sempre riconosciutogli ma fondamentale, non solo per comprendere la genesi delle sue composizioni. D’altra parte già a fine Settecento collezionava suoi disegni uno dei più raffinati “connoisseur” del tempo, William Beckford (1760-1844), l’ultimo inglese illustre a descrivere nel monastero palladiano dell’isola di San Giorgio a Venezia le Nozze di Cana (a Parigi dal 1797).


Allegoria d’Amore. L’unione felice (1570-1575 circa), particolare, Londra, National Gallery.

Studio per il dipinto di Venere, Marte e Cupido ora a Edimburgo, National Gallery of Scotland (1580), Londra, British Museum.


Haeredes Pauli Veronensis, Convito in casa di Levi (1588-1590), Venezia, Gallerie dell’Accademia, in deposito presso il Comune di Verona, dopo il restauro terminato a maggio 2014. Particolare della parte destra, dove si riconosce la mano di Paolo.


Haeredes Pauli Veronensis, Convito in casa di Levi (1588-1590), Venezia, Gallerie dell’Accademia, in deposito presso il Comune di Verona, dopo il restauro terminato a maggio 2014. Intero;

Agli occhi del pittore «il mondo appariva come in un arazzo sontuoso e lieve che per un alito di vento, sollevandosi dalla parete, cangi colore»


Il 3 agosto 1780 Beckford giunge in gondola a San Giorgio, dove i monaci vivono come principi «fra giardini e ariosi porticati ». Ed ecco, nel refettorio, il capolavoro di Veronese: «Mai avevo visto vesti nuziali e panneggi tanto variati», e personaggi «signorili, abbigliati alla moda del tempo», che noncuranti paiono perfino «avvezzi ai miracoli»(1). Un secolo dopo, alle Nozze di Cana ormai al Louvre s’ispira più volte Henry James, che invece a Venezia ammira altri dipinti di Veronese, come il Ratto d’Europa, già tornato in laguna dopo le razzie napoleoniche(2). Dopo la grande mostra veneziana su Veronese del 1939, all’isola di San Giorgio si tenne nel 1988 un evento espositivo per il quarto centenario della morte dell’artista. 

I quarantanove disegni esposti attestarono agli occhi degli studiosi una gran maestria grafica, nonostante quasi sempre Paolo dipingesse direttamente sulla tela: con pennellate rapide, e casomai grazie a cartoni e modelli di schemi ben riusciti. Le diverse tecniche (penna, pennello, gessetto, bistro, biacca, acquerello) assecondavano ora la necessità di un rapido schizzo, ora d’un segno più definito ora d’un insieme compiuto per la composizione finale. Ma «cosa sa veramente la vasta famiglia umana dei visitatori di mostre di un pittore come Veronese?» chiedeva allora Giuliano Briganti (“Repubblica”, aprile 1988), alludendo a una fuorviante comprensione, a «un’empatia pericolosa», anche per il luogo comune, spesso ripetuto, della formidabile triade veneta «Tiziano Tintoretto Veronese».


Marco Curzio (1551 circa), Vienna, Kunsthistorisches Museum.


La conversione di san Pantaleone (1587), Venezia, chiesa di San Pantaleone.

(1) W. Beckford, Dreams, Waking Thoughts and Incidents, lettera II, 2 agosto [1780], in Italy; with Sketches of Spain and Portugal [...], Londra 1834; cfr. G. Fossi, Il vero e il falso di Beckford, in W. Beckford, Memorie biografiche di pittori straordinari, Firenze 1995, pp. 149-158; Ead., Gli ultimi raggi sul tempio della Sibilla. Desiderio, sogno e viaggio nel giovane Beckford, in Natura e sentimenti, atti del convegno (Bologna, Università degli studi, dipartimento di filosofia, marzo 1999), a cura di R. Miliani, Milano 2000, pp. 121-133.
(2) Prima di giungere a Venezia James passa da Milano, Verona, Padova (H. James, Travellers companions, in “Atlantic Monthly”, novembre-dicembre 1870, cfr. G. Fossi, Henry James e il Cenacolo di Leonardo, in Tutte le opere non son per instancarmi, scritti per C. Pedretti, a cura di F. Frosini, Roma 1998). Fra i romanzi e racconti in cui evoca Veronese: H. James, The wings of the Dove (1902), New York 1909; Italian Hours, New York-Boston 1909; cfr. A. R. Tintner, Henry James and the Lust of the eyes, Baton Rouge-Londra 1993.

I luoghi comuni, d’altra parte, poggiano spesso su inconfutabili considerazioni, e tuttora sarebbe difficile negare i caratteri di “luce, colore, pennellata veneziana” a fronte del “disegno” centroitaliano. 

Per Veronese in particolare non si può far a meno di rievocare una pittura atmosferica, teatralmente concepita nel contesto «sereno della Serenissima». Non a caso Roberto Longhi, che amava Veronese («uno dei grandi pittori del mondo»), e detestava Tintoretto, riteneva che agli occhi di Paolo il mondo apparisse semplicemente «come in un arazzo sontuoso e lieve che per un alito di vento, sollevandosi dalla parete, cangi colore» e che «sarebbe stato difficile con tali occhi veder passare, svariando, altro che trionfi e apoteosi». Nel suo Viatico sulla pittura veneta, saggio memorabile ma per molti versi non più condivisibile, Longhi pare leggere la pittura veronesiana principalmente nella chiave pomposa e lieve della quale già parlava Carlo Ridolfi nel 1648: «Paolino [seconda] la gioia, [rende] pomposa la bellezza, più festevole il riso». Eppure Veronese era schivo, a dispetto di questa sua pittura “mondana”, anche se risoluto nel difender le licenze «dei poeti e dei matti», come nel noto episodio, indagato con nuovi indizi da Maria Elena Massimi (2012), dell’Ultima cena per il monastero veneziano dei Santi Giovanni e Paolo (ora alle Gallerie dell’Accademia), ritenuta non in sintonia con la morale controriformistica, e reintitolata in modo più consono Cena in casa di Levi. Ma questo non basta a capire Veronese. Ed ecco, a soccorrerci in una visione assai più ampia e problematica del grande artista e della sua officina, la splendida mostra di Verona, curata con passione e competenza da Paola Marini e Bernard Aikema, la più vasta dopo quella del 1939. 


«Paolino seconda la gioia, rende pomposa la bellezza, più festevole il riso»


Nel palazzo della Gran Guardia sessantuno dipinti testimoniano ogni aspetto e periodo dell’attività di Veronese. Altrettanti disegni stanno in puntuale confronto con le tele: allegorie, temi religiosi ma anche ritratti, come il Gentiluomo del Getty Museum, ultimo dipinto importante di Caliari ad aver lasciato Verona, nel secondo Ottocento, come ci dice Paola Marini: «Abbigliato con una luminosa sinfonia di neri, contro uno sfondo architettonico che è una firma dell’autore, dimostra l’accostabile naturalezza dei ritratti del Veronese, orgogliosi e operosi protagonisti di una società i cui valori furono illustrati dallo stesso artista nei soffitti di Palazzo ducale. Lo spadino e l’immagine sfatta della basilica di San Marco in basso a sinistra escludono possa trattarsi, come voleva la tradizione, di un autoritratto». Sono molti i nuovi spunti critici su questo grande artista, che seppe mediare la cultura della sua terra con la conoscenza dell’arte centroitaliana, e che di recente è stato oggetto di un’altra grande mostra, in collaborazione con i curatori veronesi (Londra, National Gallery, a cura di Xavier Salomon). Come spiega Paola Marini, Veronese mostra non solo altissime qualità pittoriche ma anche un impegno di contenuto religioso e un «uso consapevolissimo e simbolico del partito architettonico». Lo si vede, fra l’altro, nella Cena in casa di Simone (Torino, Galleria sabauda), che «segna il punto d’arrivo del decennio di formazione e il primo esempio del genere dei conviti, poi specialità riconosciuta di Veronese». 

Oppure nell’incombente Marco Curzio, «quasi ignorato dalla critica, che dopo il restauro ha rivelato qualità inaspettate», come ci dice Bernard Aikema: qui «l’illusionismo mantovano è rielaborato sulla falsariga del Giulio Romano di palazzo Te, con grande effetto sullo spettatore, come schiacciato dal cavallo che gli salta addosso ». Esempio poi di un tema caro a Veronese, la Fuga in Egitto, che illustra il concetto del “pellegrinaggio della vita”, molto attuale all’epoca delle Riforme religiose in Europa. Ben indagati anche i rapporti con Verona e il territorio, cruciali per comprendere certi orientamenti. Inoltre, le aperture sull’armonioso lavoro di équipe dell’officina, guidata dopo la morte improvvisa del maestro dagli «Haeredes Pauli» (il fratello e due figli). Lo si vede nel Convito in casa di Levi ora restaurato (da tempo in deposito presso il Comune di Verona dalle Gallerie dell’Accademia). Qui Paolo dovette far in tempo a dare lo schema generale e a metter mano solo alla parte destra.


Allegoria d’Amore. L’unione felice (1570-1575 circa), Londra, National Gallery.


Riposo durante la fuga in Egitto (1570-1572 circa), Sarasota (Florida), John and Mable Ringling Museum of Art;


Gentiluomo (1560 circa), Los Angeles, John Paul Getty Museum (sullo sfondo, in basso a sinistra, la basilica di San Marco).

LA MOSTRA
Cinque anni di preparazione, una serie di conferenze e perfino una tesi di dottorato per approfondire le questioni della grande officina di Veronese, oltre a un impeccabile restauro, durato un anno, del Convito in casa di Levi (a cura di Barbara Ferriani), tela iniziata da Paolo e proseguita dagli «Haeredes Pauli» in deposito presso il Comune di Verona. Queste alcune delle premesse per la grande mostra in corso dal 5 luglio al 5 ottobre, nel palazzo della Gran Guardia di Verona: Paolo Veronese. L’illusione della realtà, a cura di Paola Marini e Bernard Aikema, promossa e prodotta dal Comune di Verona, in collaborazione con l’Università degli Studi di Verona, la Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza, in associazione con la National Gallery di Londra, a completamento della mostra londinese Veronese: Magnificence in Renaissance Venice (19 marzo - 15 giugno). Fra i sessantuno dipinti esposti, oltre all’enigmatica serie delle Allegorie dell’Amore dalla National Gallery di Londra, spiccano il Marte e Venere da Edimburgo (e il relativo disegno), il Riposo dalla fuga in Egitto del Ringling Museum di Sarasota, La Bella Nani dal Louvre, l’Autoritratto dall’Ermitage di San Pietroburgo, la Visione di sant’Elena della Pinacoteca vaticana. Anche i cinquanta disegni esposti vengono da collezioni e musei di tutto il mondo, con preziosi nuclei dal British Museum di Londra e dal Kupferstichkabinett di Berlino. Catalogo Electa. A Vicenza, dal 5 luglio al 5 ottobre al Palladio Museum, Le allegorie ritrovate, mostra su due tele di Veronese raffiguranti la Scultura e la Geografia (www.palladiomuseum.org). 

G.F.

ART E DOSSIER N. 312
ART E DOSSIER N. 312
LUGLIO-AGOSTO 2014
In questo numero: AI WEIWEI Più forte del silenzio; IL TRIONFO DELLA DECORAZIONE Il medioevo in automobile; Propaganda e scatole di fiammiferi; Crane, l'illustratore; Victoria and Albert Museum. IN MOSTRA: Michelangelo/Pollock, Veronese. Direttore: Philippe Daverio I profeti del campanile di Martino MascherpaEstate al muba di Ilaria Ferrarisstorie a strisce - A Linus tutti debbono qualcosa di Sergio Rossitriennale di yokohama di Cristina Baldacciblow up - Capellini, Capitale umano, Xerra di Alberta Gnugnoliarte in confitto - Petrolio e potere di Federica ChezziXXI secolo - Ai Weiwei - Canterei con la gola arrochita di Elena AgudioGrandi mostre. 1 Pollock e Michelangelo a Firenze - La pittura e il furore di Sergio RisalitiXX secolo - Grafica pop comunista nell’Est Europa - Dio si nasconde nel dettaglio di Duccio DogheriaStudi e riscoperte. 1 Araldica e Medioevo nelle automobili - Nobili antenati di Marco BussagliStudi e riscoperte. 2 Charles Rennie Mackintosh acquerellista - Non solo per diletto di Monica BracardiStudi e riscoperte. 3 Walter Crane - L’artista operaio di Beatrice FerrarioMusei da conoscere - Il Victoria and Albert Museum a Londra - La grotta di Alì Babà di Massimo NegriStudi e riscoperte. 4 Il concetto di “decorazione totale” - Magnifica follia, illimitata fantasia di Mauro ZanchiGrandi mostre. 2 Paolo Veronese a Verona - Gioia, bellezza, riso e non solo di Gloria Fossila pagina nera - In caserma è prigioniero un tesoro tutto intero di Fabio IsmanAste e mercato a cura di Daniele Liberanomein tendenza -Geneticamente rivoluzionario di Daniele Liberanomeil gusto dell’arte - Birra mon amour di Ludovica SebregondiLibri a cura di Gloria Fossi100 mostre a cura di Chiara Senesi In allegato il dossier ''William Morris'' di Alberta Gnugnoli: una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia