Musei da conoscere
Il Victoria and Albert Museum a Londra

la grotta di
alì babà

Dalla sua nascita, legata all’intraprendenza della regina Vittoria e del principe Alberto, a oggi il più grande museo di arti decorative del mondo si è arricchito sempre di più, diventando un vero e proprio scrigno di tesori con collezioni, tra le altre, di mobili, ceramiche, stampe, costumi, sculture e dipinti.

Massimo Negri

Il 1° maggio 1851 la regina Vittoria (1819-1901) e il principe Alberto (1819-1861), in testa a un corteo di nove carrozze, inaugurano la Grande esposizione universale di Londra al Crystal Palace in Hyde Park. Su una superficie di circa 75.000 metri quadrati, in un padiglione tutto in ferro e ghisa appositamente progettato da Joseph Paxton e realizzato in pochi mesi, essa presenta i prodotti dell’industria, della natura e dell’ingegno di trentaquattro paesi, ma in effetti si tratta di un’imponente celebrazione del ruolo dominante dell’impero britannico nel mondo. Nel 1899 la regina Vittoria pone la prima pietra dell’attuale grande edificio all’angolo tra Cromwell Road e, appunto, Exhibition Road: il Victoria and Albert Museum, subito familiarmente ribattezzato V&A. In queste due date sono riassunti tutti i temi delle ragioni, dei contenuti tangibili e dei loro significati del più grande museo di arti decorative del mondo. Vittoria è per tutta la vita devotissima al cugino-marito Alberto di Sassonia-Coburgo- Gotha e l’intitolazione del museo alla coppia reale pare estremamente appropriata, anche se dapprima la sovrana voleva che esso fosse dedicato esclusivamente alla memoria del consorte. E a ragione, potremmo dire, poiché senza il febbrile spirito di iniziativa di Alberto (principe tedesco che voleva far dimenticare ai sudditi di Vittoria, che pure era di Sassonia-Coburgo-Gotha, le sue origini nazionali) e la sua totale dedizione alla causa dello sviluppo economico britannico non ci sarebbe probabilmente stata la Grande esposizione universale e quindi il Museum of Ornamental Art o Museum of Manufactures, nucleo primigenio (da cui provengono, tra gli altri, anche duecentoquarantaquattro oggetti considerati di design d’eccellenza presentati alla Grande esposizione universale) del South Kensington Museum (1857) da cui gemmerà il V&A di oggi.


Tutte le illustrazioni di questo articolo riguardano il Victoria and Albert Museum di Londra. La hall del museo con il grande lampadario in vetro.

La Grande esposizione universale aveva infatti avuto sei milioni di visitatori e i conti si erano chiusi in attivo: con una parte di questi utili il principe Alberto promuove la creazione del nuovo museo e dello Science Museum che sarà poi dirimpettaio del V&A nella sua sede attuale. Unitamente al Natural History Museum, originariamente una costola del British Museum e aperto nel 1881 dopo quasi dieci anni di lavori su un lotto di terreno adiacente allo Science, i tre istituti formano un complesso museale formidabile anche per il XXI secolo. Il legame tra la Grande esposizione universale e il V&A è particolarmente profondo sia perché la prima è stata anche un grande laboratorio di comunicazione incentrato sugli infiniti possibili modi di presentare e comunicare oggetti della civiltà moderna, se vogliamo una specie di grande laboratorio museografico ante litteram, sia perché entrambi erano animati dallo stesso spirito: la celebrazione di quello che sarà l’eredità culturale della rivoluzione industriale, uno dei fattori fondativi di una nuova identità culturale europea, quella borghese. 


Rendere accessibili a tutti diverse tipologie di oggetti d’arte, educare la classe lavoratrice britannica e costituire una fonte di ispirazione per i progettisti e per l’industria manifatturiera


Come i padiglioni in ghisa e vetro sono, con la fabbrica manchesteriana e le stazioni ferroviarie, le “invenzioni” più rappresentative della borghesia industrialmente rivoluzionaria, dapprima britannica e poi mondiale, così il V&A è il museo più vittoriano possibile, dove sono stabilite nuove gerarchie estetiche e vengono esposte le più diverse collezioni artistiche: dai tappeti alle ceramiche, dai mobili ai costumi, dalle stampe alla scultura. In origine le sale erano stracariche di oggetti in pretto gusto vittoriano secondo cui non un centimetro quadrato del salotto deve restare vuoto. In questa grotta di Alì Babà dell’espressione artistica universale si muovono fin da subito folle di “blue collars” (operai) poiché la “dichiarazione di missione”, diremmo oggi, fin dal Museum of Manufactures è quella di rendere accessibili a tutti diverse tipologie di oggetti d’arte, di educare la classe lavoratrice britannica e di costituire una fonte di ispirazione per i progettisti e per l’industria manifatturiera fiorente nei diversi paesi dell’impero. Riformare e migliorare il gusto nazionale, liberarlo dai complessi di inferiorità rispetto alla Francia e all’Italia, fornire «esempi del lavoro inglese attentamente selezionati dai diversi dipartimenti che formeranno, noi crediamo, una mostra bellissima ed altamente istruttiva»(*). Questa la filosofia del V&A per molti decenni e forse anche oggi che la sua collezione è ulteriormente cresciuta anche al di là delle origini imperiali e il suo pubblico è diventato globale e in misura decisiva turistico.


Veduta del museo londinese.

(*) Royal Commission on National Museums & Galleries, Final report part II, Londra 1930.

Veduta del museo londinese.


La galleria dove sono conservati i cartoni di Raffaello raffiguranti le storie dei santi Pietro e Paolo.

Questa sua ambivalenza come luogo topico della cultura britannica moderna e insieme “sancta sanctorum” del divenire del gusto a livello mondiale è sicuramente una delle chiavi dell’autorevolezza e della capacità di attrazione del V&A. Se vogliamo percorrere il filo di questa vicenda culturale possiamo ricordare che negli stessi spazi sono esposti buona parte dei millequattrocento dipinti in collezione - da Constable a Tiepolo, da Ingres a Turner, da Corot a Gainsborough passando per Rodin, per molti altri grandi nomi europei - e allo stesso tempo l’iconica sedia in ghisa per esterni di Karl Friedrich Schinkel (1781-1841) o la Hob-grate sempre in ghisa di Robert Adam (1728-1792), oggetti di uso quotidiano che rappresentano la definizione di nuovi canoni estetici anticipatori della ricerca formale applicata alla produzione industriale di massa (Schinkel produce nel 1825 i suoi primi disegni di mobili da giardino in ghisa per il re di Prussia). Applicazione resa possibile da quel pionieristico uso della ghisa prestata alla rivoluzionaria concezione costruttiva dovuta ad Abraham Darby che fa del suo primo ponte in ferro della storia (1777) il manifesto dell’architettura della civiltà industriale da cui decenni dopo nascerà il modo di costruire i grattacieli di Manhattan così come le panchine e i lampioni di tutto il mondo. 


Sono le vicende del collezionismo e delle politiche di acquisizione che si succedono nel tempo a dar forma a un così multiforme e affascinante percorso visivo


In questo fantasmagorico “bouillon” di immagini non entrano in contraddizione le storie dei santi Pietro e Paolo dei cartoni di Raffaello (sala 48) e la scultura policroma di Matthew Cotes Wyatt (1777-1862) raffigurante il cane Bashaw, “the faithful friend of man” di John William Ward, primo conte di Dudley (sala 120), già esposto al Crystal Palace, oppure le teiere e i coniglietti di Beatrix Potter (sala 102).


Antonio Canova, Le tre Grazie (1814-1817).

Considerazione analoga per il Great Bed of Ware di Hans Vredeman de Vries (1527- 1604), già citato da Shakespeare nella Dodicesima notte rappresentata la prima volta nel 1601, e la Vista di Venezia dalla Giudecca di Turner (pittore ben poco apprezzato al suo esordio) entrambi esposti nelle British Galleries. Come in tutti i musei sono le vicende del collezionismo e delle politiche di acquisizione che si succedono nel tempo a dar forma a un così multiforme e affascinante percorso visivo, ma ciò che più conta è la infinita varietà di itinerari che ciascun visitatore può costruire immergendosi nel succedersi complicato delle mode e dei gusti, il che vuole dire, in ultima analisi, dei modi di vivere e delle passioni estetiche che attraversano tutte le classi sociali. Ma cosa determina il costante successo del V&A anche presso le nuove generazioni, mentre gli altri musei di arti applicate sono in genere considerati noiosi e per amatori o specialisti? Sicuramente un fattore inusuale nei grandi musei di tradizione e cioè il coraggio di sperimentare continuamente nuove forme di comunicazione e di ordinamento e interpretazione dell’enorme patrimonio delle collezioni che la potenza imperiale inglese e anche un po’ di fortuna hanno portato nella disponibilità dei curatori del V&A nel corso dei decenni. Il caso più emblematico è costituito dall’allestimento delle British Galleries (Premio europeo Museo dell’anno nel 2003) incentrate sulla storia dell’arte del design britannico dai Tudor al vittorianesimo, gallerie fatte non solo per la contemplazione, ma dove si possono sperimentare l’uso dei diversi materiali (dal legno all’ottone, dai tessuti alla carta), modi di vestire nei secoli, o di costruire architetture (le famose Discovery Rooms), senza per questo trascurare l’accuratezza filologica esemplificata dalla pianificazione dei diversi colori del plinto (sala 119 delle British Galleries) a seconda che sostenga Le tre Grazie (1814-1817) di Canova (1757-1822) oppure La ninfa dormiente (opera canoviana postuma completata dalla sua bottega tra il 1820 e il 1824 circa) che esce dal magazzino quando Le tre Grazie vanno a Edimburgo essendo state comperate congiuntamente con le Scottish National Galleries. Anche la dimensione digitale del V&A è esemplare, per intensità, completezza ed efficacia delle postazioni multimediali che accompagnano il visitatore. Il database della collezione offre a tutti infinite possibilità di scoperta prima e dopo la visita, la web TV del museo è un esempio eccellente di “edutainment” tra cronaca e analisi critica dei fenomeni artistici, la mappa interattiva consente una visita virtuale esauriente, facile e libera, di ogni filmato ci sono persino gli script e le schede e i testi storico-critici sono sempre firmati, un’assunzione pubblica di responsabilità culturale raramente praticata anche dai musei maggiori. Uno di quei casi nei quali ti trovi a concludere: Internet è meraviglioso!


Carlo Marochetti, Principe Alberto (1862);


Count Gleichen, Regina Vittoria (1888).

V&A - Victoria and Albert Museum

Londra
www.vam.ac.uk

ART E DOSSIER N. 312
ART E DOSSIER N. 312
LUGLIO-AGOSTO 2014
In questo numero: AI WEIWEI Più forte del silenzio; IL TRIONFO DELLA DECORAZIONE Il medioevo in automobile; Propaganda e scatole di fiammiferi; Crane, l'illustratore; Victoria and Albert Museum. IN MOSTRA: Michelangelo/Pollock, Veronese. Direttore: Philippe Daverio I profeti del campanile di Martino MascherpaEstate al muba di Ilaria Ferrarisstorie a strisce - A Linus tutti debbono qualcosa di Sergio Rossitriennale di yokohama di Cristina Baldacciblow up - Capellini, Capitale umano, Xerra di Alberta Gnugnoliarte in confitto - Petrolio e potere di Federica ChezziXXI secolo - Ai Weiwei - Canterei con la gola arrochita di Elena AgudioGrandi mostre. 1 Pollock e Michelangelo a Firenze - La pittura e il furore di Sergio RisalitiXX secolo - Grafica pop comunista nell’Est Europa - Dio si nasconde nel dettaglio di Duccio DogheriaStudi e riscoperte. 1 Araldica e Medioevo nelle automobili - Nobili antenati di Marco BussagliStudi e riscoperte. 2 Charles Rennie Mackintosh acquerellista - Non solo per diletto di Monica BracardiStudi e riscoperte. 3 Walter Crane - L’artista operaio di Beatrice FerrarioMusei da conoscere - Il Victoria and Albert Museum a Londra - La grotta di Alì Babà di Massimo NegriStudi e riscoperte. 4 Il concetto di “decorazione totale” - Magnifica follia, illimitata fantasia di Mauro ZanchiGrandi mostre. 2 Paolo Veronese a Verona - Gioia, bellezza, riso e non solo di Gloria Fossila pagina nera - In caserma è prigioniero un tesoro tutto intero di Fabio IsmanAste e mercato a cura di Daniele Liberanomein tendenza -Geneticamente rivoluzionario di Daniele Liberanomeil gusto dell’arte - Birra mon amour di Ludovica SebregondiLibri a cura di Gloria Fossi100 mostre a cura di Chiara Senesi In allegato il dossier ''William Morris'' di Alberta Gnugnoli: una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia