Studi e riscoperte. 1
Araldica e Medioevo nelle automobili

nobili
antenati

Chi avrebbe mai detto che alcuni elementi decorativi dell’automobile avessero origini lontane, addirittura medievali?
Basta osservare la statuetta sopra il radiatore della Rolls-Royce, solo per fare un esempio, per cogliere questa curiosa ma verosimile associazione.

Marco Bussagli

Per quanto rappresenti un chiaro segno d’assoluta genialità, il celebre saggio di Erwin Panofsky dedicato a I precedenti ideologici della calandra Rolls-Royce rischia, però, d’essere deludente in quanto non svolge pienamente l’argomento annunciato nel titolo, sviluppato solo nelle premesse e poi per nulla applicato - per verificarne la giustezza dell’assunto - all’oggetto che dovrebbe costituire il tema conclusivo del saggio(1). Per la verità, ciò che interessava il fondatore dell’iconologia riguardava il tentativo d’individuare quelle linee-guida della creatività britannica che rivelavano una capacità d’evocare la componente irrazionale dell’arte anglosassone grazie allo studio della decorazione medievale, attraverso esempi quali il Salterio di Rutland, l’Evangeliario di Lindisfarne, oppure il Libro di Kells, passando per le volte “floreali” della cattedrale gotica di Gloucester. Al contrario, lo spirito razionale si esplicitava nell’adozione del palladianesimo come stile di derivazione classica, dalla Chiswick alla Hopetoun House (entrambe settecentesche). Il punto nevralgico della questione, però, secondo Panofsky, risiedeva nel fatto che un architetto quale Robert Adam, accanto a opere come la ricordata Hopetoun House, «progettava anche ponti “gotici”, torri, “follie” e chiese» il che veniva accostato a quell’atteggiamento culturale, in senso ampio, per cui «in Inghilterra, la vita sociale e istituzionale risulta più strettamente controllata dalla tradizione e dalla convenzione e tuttavia, l’eccentricità individuale trova più spazio che altrove»(2). Emblema della “psicologia” britannica, perciò, sarebbe la calandra (radiatore) della Rolls- Royce il cui aspetto blasonato deriva dalla consonanza formale con modelli come il fronte dei templi classici(3). Ora, tutti gli esegeti di Panofsky si sono preoccupati di minimizzare l’atteggiamento del grande studioso, considerando l’accostamento della calandra della Rolls-Royce con il fronte dei templi classici poco più di una boutade. Nella recensione al testo scritta da Ernst Gombrich nel 1996, infatti, il collega e amico del ricercatore tedesco concludeva con il timore che gli studenti potessero prendere troppo sul serio questo «capriccio di Panofsky»(4). Sulla stessa linea Irving Lavin - autore della postfazione alla più recente traduzione italiana del testo - che considera l’esempio della calandra «un epilogo “divertente” per usare un termine che Panofsky ama applicare a ciò che è ironico ma profondo»(5). Nessuno, però, ha approfondito il tema andando a indagare le componenti culturali che concorsero (e concorrono, ma qui il tema finirebbe per configurarsi in un libro) alla concezione stilistica dell’automobile, le cui radici affondano nella storia dell’arte e nella storia della tecnica. Solo Gombrich accenna a precedenti più specifici per la Silver Lady (nota anche come Spirit of Speed o Spirit of Ecstasy), la statuetta che sovrasta il radiatore della Rolls-Royce, riferendola alla celebre Nike di Paionios, alla quale, volendo, si può aggiungere anche quella di Samotracia.


Francesco Baracca vicino al suo aeroplano, sul cui fianco c’è il cavallino rampante, simbolo di uno dei reparti cui l’aviatore apparteneva.


Marchio della Ferrari.

(1) E. Panofsky, The Ideological Antecedents of the Rolls-Royce Radiator, in “Proceedings of the American Philosophical Society”, 107, 4, 1963, pp. 273-288. L’edizione utilizzata in questo articolo è quella tradotta in italiano: E. Panofsky, Tre saggi sullo stile. Il barocco, il cinema, la Rolls-Royce, a cura di I. Lavin, Milano 2011, pp. 99-140.
(2) Ivi, p. 107 per entrambe le citazioni.
(3) Ivi, p. 131.
(4) E. H. Gombrich, Review of Panofsky, Three Essays on Style and Perspective as Symbolic, in “The New York Review of Books”, 15 febbraio 1996, pp. 29-30.
(5) E. Panofsky, op. cit., p. 151.

Tuttavia, il grande studioso non sembra cogliere l’importanza del tema, gettato sul tavolo dell’esegesi scientifica con quella semplicità e quella naturalezza che sono tipiche degli intelletti speculativi del livello di Erwin Panofsky. Molto probabilmente fu la scarsa dimestichezza con il mondo delle automobili, conosciuto solo nelle linee generali da tutti i grandi studiosi appena citati, che influì sulla diffidenza, più o meno celata, nei confronti del testo di Panofsky e del suo singolare (quanto geniale) accostamento. Prima di tutto va precisato che l’indicazione di Panofsky relativa all’immutabilità della calandra della Rolls-Royce a partire dal 1911 va rivista nel senso che la decorazione ad aste cromate, poste in successione come moderne “colonne” di un antico tempio greco, sormontate da un “timpano” che si fregia della doppia R del marchio e concluso dalla Silver Lady (questa sì aggiunta in quell’anno e realizzata da Charles Sykes), compare soltanto con il modello Phantom I del 1925-1926. In precedenza, il radiatore era a vista, impreziosito da una cornice cromata che finiva con due spioventi come il tetto di un tempio, ma senza “colonne”(6). È solo da questa data che si può condividere, in parte, l’affermazione di Panofsky secondo cui «il muso della Rolls-Royce non è cambiato da allora»(7). Dico in parte perché, sebbene fino al 1968 - anno della scomparsa dello studioso - la calandra non avesse subito cambiamenti, col tempo variò nelle proporzioni avvicinandosi ulteriormente al frontone dei templi greci(8)

Un’altra riflessione, poi, è doverosa. La foto che Panofsky pubblica nel suo articolo, e quindi nell’edizione italiana, non è una Rolls-Royce del 1960 «circa», come recita la didascalia, ma una Phantom IV del 1956. Non si tratta di un’osservazione dettata da pura pignoleria, ma di una precisazione utile perché permette di rilevare come ci fosse una volontà di avvicinare lo stile della Rolls- Royce a quell’idea di classicità nel cui ambito rientra anche un voluto riferimento alla carrozza a cavalli, considerata il massimo dell’eleganza e della raffinatezza. Non si pensi a un’illazione perché, ancora oggi, i principi d’Inghilterra, eredi al trono, si recano alla cerimonia del proprio matrimonio in carrozza. Infatti, la Phantom IV presenta i fari staccati dal corpo della carrozzeria e dai parafanghi, come nelle vetture a cavalli. Individuare con esattezza il modello e l’anno della Rolls-Royce pubblicata da Panofsky permette di riflettere sul fatto che, nel 1956, quella soluzione era stata completamente abbandonata da tutte le altre case automobilistiche dal momento che fin dal 1945 i fari venivano integrati nel parafango, come dimostra, per esempio, una vettura di pari livello come la Jaguar Mark VII del 1954(9). Si trattò allora di una scelta voluta da parte dei progettisti della Rolls-Royce che desideravano richiamare visivamente l’aspetto delle antiche carrozze e, quindi, appropriarsi di quella nobiltà blasonata implicitamente connessa a quel tipo di veicoli. Il che, aggiunto al profumo di classicità intrappolato nella calandra, contribuì a consolidare il mito Rolls-Royce. 

Tuttavia, il riferimento alla carrozza così insistito nell’automobile (che dell’altra è l’evoluzione tecnologica) ci permette d’introdurre un altro aspetto di questo argomento. Infatti, se Panofsky ha condotto la riflessione sul tema della classicità per i motivi detti, bisogna sotto lineare che, nella concezione stilistica dell’automobile, c’è anche una componente medievale connessa tanto con la carrozza, antenata diretta dell’automobile e inventata in quell’epoca, quanto con l’idea stessa di blasone e di nobiltà.


Il Biscione dipinto sulla torre del Filarete a Milano, fonte di ispirazione dello stemma dell’Alfa Romeo.


Stemma dell’Alfa Romeo.

(6) In proposito, si veda: M. Sedgwick, s.v. Rolls-Royce, in Milleruote. Grande Enciclopedia dell’automobile, IX, Novara 1975, p. 133.
(7) E. Panofsky, op. cit., p. 140.
(8) M. Sedgwick, op. cit., p. 140. Si pensi alla Camargue del 1975.
(9) Si veda in proposito: Parafango, in Milleruote, cit., VIII, pp. 172-173.

Silver Lady (nota anche come Spirit of Speed o Spirit of Ecstasy), la statuetta sopra il radiatore della Rolls-Royce, associata da Ernst Gombrich alla Nike (450 o 420 a.C.) di Paionios, qui a destra.


Rolls-Royce Phantom IV del 1956 con Letizia Ortiz Rocasolano a Madrid in occasione del matrimonio con Felipe di Spagna.


I progettisti della Rolls-Royce desideravano richiamare visivamente l’aspetto delle antiche carrozze


Il Medioevo, infatti, rispetto al mondo della Roma antica, ebbe modo di sviluppare, perfezionandolo, un linguaggio che secoli dopo sembrò fatto apposta per certificare la qualità (e dunque il blasone) dell’automobile: quello araldico che venne ampiamente utilizzato per creare i marchi automobilistici. Non per nulla, molti di questi hanno la conformazione di uno scudo nobiliare. Emblematica (è il caso di dirlo) la vicenda della NSU Motorenwerke (oggi gruppo Volkswagen), la nota casa automobilistica tedesca che produsse un’utilitaria cui arrise un certo successo anche in Italia, la Prinz. Il suo fondatore, il meccanico Christian Schmidt che spostò nel 1880 a Neckarsulm, vicino a Stoccarda, la sua officina di macchine da cucire per produrre biciclette, motociclette e automobili, scelse come emblema uno scudo partito (ossia diviso in due) con il motivo araldico dei «rami di cervo» (un palco di corna stilizzato) da una parte e la croce dei cavalieri dell’Ordine teutonico dall’altra(10). La scelta voleva sottolineare la vicinanza con il territorio (la croce era l’emblema della città), ma la disposizione in uno scudo partito e pinnato riprendeva proprio il linguaggio dei cavalieri medievali. 


La Packard Cavalier del 1953 fu la prima auto dotata di rostri, che rammentano particolari delle armature gotiche


Gli esempi si possono moltiplicare, a cominciare da quello della Ferrari, il cui cavallino rampante, si sa, deriva dal simbolo di Francesco Baracca che, tuttavia, non campeggiava al centro di uno scudo medievale, come invece accade alle automobili da corsa di Enzo Ferrari che lo collocò in uno stemma corrispondente al cosiddetto “francese antico”(11). Una tipologia di scudo (ma qui è il “francese moderno”) scelta pure per la Simca, la fabbrica d’oltralpe nata da una costola della Fiat(12). Non basta, però. Si pensi al caso dell’Alfa Romeo, il cui stemma, sebbene circolare, è diviso a metà lungo il diametro longitudinale e contiene, a sinistra, una croce rossa su fondo bianco, emblema del Comune di Milano e, a destra, il biscione dei Visconti, ossia il blasone della nobile casata che governò la signoria milanese. Fu Romano Cattaneo, collaboratore del disegnatore Giuseppe Merosi (felice della proposta), a suggerirgli d’ispirarsi al Biscione dipinto sulla torre del Filarete a Milano. Al di là del riferimento al territorio, però, la citazione medievale si palesa anche per la presenza dello scudo centrale della calandra che si trova su tutti i modelli a partire dalla 6C 2500 Super Sport del 1939 fino a oggi(13). Si pensi poi al marchio della Lancia, creato dal conte Carlo Biscaretti di Ruffia, che la terminologia araldica definirebbe stemma “parlante” perché l’asta che tiene la bandiera con la scritta «Lancia» è costituita da questa arma bianca(14). Infine, non si può evitare un riferimento alla Porsche il cui marchio, a forma di “francese antico”, fu disegnato nel 1949 e presenta, al centro, un cavallino rampante, ossia l’insegna di Stoccarda, sormontata, appunto, dalla scritta «Stuttgart». Il blasone campeggia su uno scudo inquartato (ossia diviso in quattro) di bande rosse e nere e «rami di cervo»(15).


I rostri della Packard Cavalier del 1953;


Esemplare di armatura Gotischer Plattenpanzer (1485 circa) appartenuta all’imperatore Massimiliano I.

(10) H. H. von Fersen, s. v. NSU, in Milleruote, cit., VIII, pp. 75-81.
(11) Si veda, per esempio: G. Rancati, F. Carsico, Ferrari che macchine, Milano 1996.
(12) M. Centenari, s. v. Simca, in Milleruote, cit., IX, pp. 268-273.
(13) Sull’argomento: L. Ardizio, Alfa Romeo. Cuore sportivo, Milano 2010, pp. 15 e 29.
(14) W. O. Weernink, La Lancia. A Century of History, Wernhout 2006.
(15) Sull’argomento e sulla casa automobilistica tedesca: P. Casucci, M. Centenari, s.v. Porsche, in Milleruote, cit., VIII, pp. 301-317.

I motivi di una simile vicinanza al mondo culturale del Medioevo hanno varie motivazioni, alcune profonde e altre più superficiali, come quella della necessità di rendere immediatamente riconoscibile un’automobile così come doveva accadere per i cavalieri celati dietro l’austera protezione dell’armatura chiusa. In questo caso, lo stemma utilizzato identificava il nobile guerriero, mentre per le vetture il blasone si riferisce alla fabbrica del mezzo di trasporto. Le ragioni profonde di questa relazione in apparenza improbabile, invece, vanno individuate da una parte nel recupero dell’architettura medievale come momento innovativo rispetto alla “dittatura” del classicismo e nella riscoperta delle identità nazionali, e, dall’altra, nella congruenza fra scelte estetiche dettate dalle nuove tecnologie costruttive (con l’uso di materiali inediti come il cemento, il vetro e il ferro, ghisa e derivati) e le soluzioni proposte dall’architettura medievale(16). Altrimenti non si capirebbe perché il ponte di Brooklin sia caratterizzato da due immense ogive in cemento, derivate dai gotici archi a sesto acuto, e per quale motivo un grattacielo come il Chrysler Building si concluda con un pinnacolo “assistito” da quattro aquile sporgenti che ricordano molto da vicino i gocciolatoi delle cattedrali medievali(17). Insomma, il Medioevo finiva per essere identificato con il futuro (come dimostrano la nascita del Neogotico e l’opera di Viollet-le-Duc) mentre il Classico rimaneva, nella gran parte dei casi, emblema del passato. Un esempio concreto, in tal senso, si può trovare nei fumetti degli anni Trenta del XX secolo come Flash Gordon (con l’imperatore megagalattico e la principessa perfida), che inaugurerà un filone fortunato di fantascienza i cui esiti, in questo senso, si trovano fin nella saga di Guerre stellari(18). L’influsso medievale sullo stile automobilistico, un tema certo da approfondire, rientra, perciò, in questo clima. S’intrecciarono, allora, le esigenze aerodinamiche con quelle stilistiche che portarono all’adozione di “pinne” ogivali per i parafanghi posteriori delle automobili americane come per esempio la Chevrolet Bel Air del 1957 i cui fari somigliano tanto a una vetrata medievale quanto all’ugello di un razzo. 

Una moda che influì anche sul design italiano, come dimostra la serie della Giulietta Alfa Romeo degli anni Sessanta: berlina, coupé e spider(19). Anche le calandre “gotiche” e cromate, come quelle della Cadillac Eldorado Brougham del 1957, i cui rostri rammentano gli umboni degli scudi, oppure certi particolari degli spallacci, delle cubitiere o delle scarpe di armature (come la Gotischer Plattenpanzer il cui esempio più elegante fu realizzato per l’imperatore Massimiliano I), sono da riferire a questo clima. Questa soluzione stilistica fu adottata per la prima volta dalla Packard che utilizzò i rostri nella Cavalier del 1953(20). Vale la pena segnalare che il nome di quest’auto, in inglese, indica il cavaliere che accompagna una signora. Se a questo poi s’aggiunge il fatto che lo stemma della Packard è un blasone vero e proprio con tanto di cimiero che sormonta uno stemma affine alla tipologia araldica dello “scudo polacco”, si potrà intuire che il tema meriterebbe un ulteriore approfondimento e che l’intuizione di Panofsky sulla relazione fra le scelte stilistiche nel design delle automobili e la cultura artistica è sostanzialmente giusta.


lo stemma della Packard (1955-1956).

(16) In proposito: M. Bussagli, Capire l’architettura, Firenze 2003, pp. 84-85.
(17) Ivi, pp. 54-55, 160-161.
(18) Si veda: M. Bussagli, Fumetto, Milano 2003, pp. 116-121.
(19) Sulle caratteristiche dello stile americano nelle automobili: G. Madaro, s.v. Americana, in Milleruote, cit., I, pp. 188-191.
(20) Si veda in proposito la voce Packard, in Milleruote, cit., VIII, pp. 148-155. Sulle armi e le cosiddette “armature gotiche”: O. R. Ewart, European Weapons and Armours from the Renaissance to the Industrial Revolution, New York 2000, pp. 43-69.

ART E DOSSIER N. 312
ART E DOSSIER N. 312
LUGLIO-AGOSTO 2014
In questo numero: AI WEIWEI Più forte del silenzio; IL TRIONFO DELLA DECORAZIONE Il medioevo in automobile; Propaganda e scatole di fiammiferi; Crane, l'illustratore; Victoria and Albert Museum. IN MOSTRA: Michelangelo/Pollock, Veronese. Direttore: Philippe Daverio I profeti del campanile di Martino MascherpaEstate al muba di Ilaria Ferrarisstorie a strisce - A Linus tutti debbono qualcosa di Sergio Rossitriennale di yokohama di Cristina Baldacciblow up - Capellini, Capitale umano, Xerra di Alberta Gnugnoliarte in confitto - Petrolio e potere di Federica ChezziXXI secolo - Ai Weiwei - Canterei con la gola arrochita di Elena AgudioGrandi mostre. 1 Pollock e Michelangelo a Firenze - La pittura e il furore di Sergio RisalitiXX secolo - Grafica pop comunista nell’Est Europa - Dio si nasconde nel dettaglio di Duccio DogheriaStudi e riscoperte. 1 Araldica e Medioevo nelle automobili - Nobili antenati di Marco BussagliStudi e riscoperte. 2 Charles Rennie Mackintosh acquerellista - Non solo per diletto di Monica BracardiStudi e riscoperte. 3 Walter Crane - L’artista operaio di Beatrice FerrarioMusei da conoscere - Il Victoria and Albert Museum a Londra - La grotta di Alì Babà di Massimo NegriStudi e riscoperte. 4 Il concetto di “decorazione totale” - Magnifica follia, illimitata fantasia di Mauro ZanchiGrandi mostre. 2 Paolo Veronese a Verona - Gioia, bellezza, riso e non solo di Gloria Fossila pagina nera - In caserma è prigioniero un tesoro tutto intero di Fabio IsmanAste e mercato a cura di Daniele Liberanomein tendenza -Geneticamente rivoluzionario di Daniele Liberanomeil gusto dell’arte - Birra mon amour di Ludovica SebregondiLibri a cura di Gloria Fossi100 mostre a cura di Chiara Senesi In allegato il dossier ''William Morris'' di Alberta Gnugnoli: una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia