Grandi mostre. 1 
Pollock e Michelangelo a Firenze

la pittura e il
furore

Una mostra a Firenze accosta imprevedibilmente, ma con risultati sorprendenti, due artisti apparentemente molto lontani fra loro: Pollock e Michelangelo. Ce ne parla qui uno dei curatori.

Sergio Risaliti

In occasione del quattrocentocinquantesimo anniversario della morte di Michelangelo la città di Firenze celebra l’artista con una mostra che esalta l’importanza del Buonarroti nella formazione del giovane Jackson Pollock, un “titano” del XX secolo, l’artista che coi suoi “drip paintings” ha scardinato le regole dell’arte figurativa occidentale. L’evento ha assunto un carattere speciale, visto che le sedici opere di Pollock, concesse in prestito da istituzioni pubbliche e da collezioni private dell’Italia e del mondo, vengono esposte in Palazzo vecchio, dove la memoria del Buonarroti è consegnata a uno dei suoi più celebri marmi, il Genio della Vittoria, opera emblematica della sua scultura a tutto tondo, paradigma già nel XVI secolo della “furia della figura”, ovvero di quella costruzione spiraliforme che qualifica molte delle invenzioni michelangiolesche. Con quell’espressione - furia della figura - si era inteso dar conto, come notava Giovanni Paolo Lomazzo, della «maggior grazia e leggiadria che possa avere una figura» mostrando «di muoversi in un moto simile alla fiamma […] la quale è più atta al moto di tutte, perché ha il cono e la punta acuta con la quale par che voglia rompere l’aria ed ascender alla sua sfera». Per l’appunto, tra le opere giovanili di Pollock si fa apprezzare un piccolo dipinto intitolato The Flame (1934-1938), al Museum of Modern Art di New York, evocazione forse di disastri, di apocalissi o d’immagini più quotidiane, tipiche della mitologia familiare americana, di un paesaggio abitato ancora da pionieri o da amanti della natura selvaggia alla Thoreau e alla Whitman. In ogni caso, Pollock era interessato al guizzare della fiamma, al continuo movimento della linea incandescente, al dissolversi della materia nel furore della luce. Un groviglio di linee sinuose che preparano l’esplosione del suo espressionismo astratto e in qualche modo rappresentano sintomaticamente la sua vulcanica personalità artistica, sempre tesa tra vitalità e disperazione, tra lotta e depressione, tra tenerezza e furore.


Jackson Pollock, Senza titolo (1937-1939), New York, Metropolitan Museum.

A memoria, questo evento in Palazzo vecchio è il “debutto” di Jackson Pollock (Cody, Wyoming, 28 gennaio 1912 - Long Island, 11 agosto 1956) nella città di Michelangelo; soprattutto è la prima volta che può essere dimostrato con prove inconfutabili l’interesse di Pollock per il Buonarroti, in un contesto storicamente segnato dall’estetica rinascimentale. Emerge pure una rilettura della critica ufficiale per quanto attiene a Pollock in rapporto agli antichi maestri da lui studiati e assimilati nella giovinezza, e una ridefinizione della storia dell’arte americana dopo gli anni Trenta, in relazione alla tradizione europea, e più in particolare alla Maniera italiana, quella stagione del Cinquecento che ha avuto in Buonarroti il suo faro e nella ricerca di belle forme antropomorfiche uno dei principali obiettivi artistici. Come ci ricorda Cristina Acidini nel suo saggio nel catalogo della mostra, a un possibile confronto Pollock- Michelangelo aveva accennato un intuitivo Eugenio Battisti, il quale, in una conferenza tenuta alla Pennsylvania State University nel 1975, si era spinto a dire che «il maestro più michelangiolesco di tutti, in questa seconda parte del secolo, è stato per ora Jackson Pollock […] impressionatissimo dall’energia e dalla violenza dell’anatomia michelangiolesca ». Energia e violenza del segno che ha condizionato la lettura critica dell’opera di Pollock, assurto ben presto a protagonista della pittura d’azione americana. 

Pare che il termine “Action Painting” sia stato coniato nel 1952 da Harold Rosenberg, personalità di spicco tra i critici e gli intellettuali a New York, per meglio definire gli esiti pittorici più veementi e furiosi all’interno dell’espressionismo astratto. Con “pittura d’azione”, Rosenberg intendeva descrivere un metodo di lavoro basato essenzialmente sul gesto del pittore quando fosse coinvolto fisicamente e psicologicamente nell’azione risolutiva del dipingere, come in una lotta, in un corpo a corpo con la tela, o in una danza frenetica. 

In cuor suo Rosenberg non pensava a Jackson Pollock quale principe della pittura d’azione. Sta di fatto, però, che in “Jack the Dripper” si è identificato l’eroe dell’Action Painting, il «dio dell’evento pittorico», simile in questo a «Dioniso che irrompe nel mondo delle forme e le sconvolge». In effetti, Pollock seppe andare ben oltre la critica dell’arte figurativa più tradizionale, quella per esempio messa in atto da Picasso e Braque con la decostruzione cubista della realtà visibile. Non perseguì la gradevolezza musicale degli espressionisti, l’ascetica padronanza del linguaggio dei pittori astratti, la logica filosofica dei suprematisti. Pollock preferì guardare al surrealismo, al mondo dell’inconscio. 

Il vero cambiamento arrivò verso il 1947, quando Jackson scelse un metodo di lavoro abbastanza inconsueto, anche se, in effetti, qualcosa del genere era stato già tentato da Max Ernst, che aveva dipinto Homme intrigué par le vol d’une mouche non euclidienne agitando una scatola di colori aperta al di sopra della tela. Pollock ingigantì quel tipo di operazione surrealista e si avventurò in un territorio di sperimentazione che non avrebbe permesso deviazioni e inversioni. Con gesti apparentemente improvvisati e frenetiche circumnavigazioni della tela si mise a spargere colore dall’alto in basso, trasformando la creazione pittorica in un singolo atto irripetibile, anzi in una somma perfetta di azioni convulse eseguite per esprimere l’uomo moderno e la sua vita interiore. Godeva e soffriva a dipingere la tela direttamente appoggiata sul pavimento. In tante foto lo vediamo eseguire le sue partiture con una serie di gesti intensi, impetuosi, con ferine movenze, come in trance.


Jackson Pollock, Senza titolo (1937-1939), New York, Metropolitan Museum.

Pollock seppe andare ben oltre la critica dell’arte figurativa più tradizionale


Figlia di intensità e furore, l’azione pittorica di Pollock apparve all’epoca come una specie di danza sciamanica eseguita intorno al sacro cerchio, nel genere di certe cerimonie dei nativi americani, da cui Pollock era stato fortemente impressionato in gioventù. Un comportamento dionisiaco che qualifica per altri versi anche l’opera del Buonarroti, il quale, a differenza di altri artisti “apollinei” come il suo rivale Raffaello, fu “schiavo” delle sue passioni sentimentali, della sua irrequieta vita spirituale. Una forma di inquietudine che caratterizza la soggettività neoplatonica ed ermetica secondo Marsilio Ficino, che del giovane Buonarroti fu riferimento intellettuale nella Firenze medicea. Una condizione di mistico furore, inoltre, che spinse il quadruplice artista fiorentino a cercare forme corrispettive al suo “terribile” sentire, reinventando costantemente canoni e modelli estetici, sperimentando limiti figurativi, regole prospettiche, proporzioni e contrasti di piani, luci, colori, emergenze anatomiche: dalla Battaglia dei centauri fino alla Pietà Rondanini, dal Tondo Doni al Giudizio universale.


Jackson Pollock, Senza titolo (1937-1939), New York, Metropolitan Museum.

Lo studio dell’opera michelangiolesca dev’essere maturato in Pollock nel periodo in cui frequentò la scuola d’arte


Una tensione intellettuale e spirituale tradotta all’epoca con “furia della figura”, quella torsione fisica dei corpi quando l’anima celeste vuole liberarsi dal peso della materia informe. Qualcosa di simile si legge nelle dichiarazioni di Pollock. Nell’artista americano l’energia creativa trova però una via di fuga nel dripping; dal conflitto inconscio nascono immagini di pura armonia in cui il contorno figurativo e la riconoscibilità antropomorfa non hanno più ragion d’essere. 

L’espressionismo astratto o informe di Pollock, pietra miliare del Novecento in arte, viene così, idealmente, confrontato con il “non finito” di Michelangelo. 

Lo studio dell’opera michelangiolesca dev’essere maturato in Pollock nel periodo in cui frequentò la scuola d’arte dove tra il 1930 e il 1932 insegnò Thomas Hart Benton, uno dei protagonisti della pittura regionalista americana della prima metà del Novecento. Da Benton, grande ammiratore dell’arte del Buonarroti, il giovane Pollock apprese a lavorare sui pieni e sui vuoti, sui flussi di energia psicofisica, sui ritmi essenziali della composizione pittorica rinascimentale e barocca. Ebbe modo di ammirare l’eroismo espressivo dei nudi di Michelangelo, per scartare forme di arte più languide, un tipo di bellezza per lui troppo aggraziata. Ne sono testimonianza superba una serie di disegni conservati al Metropolitan Museum, sei dei quali generosamente prestati in occasione della mostra fiorentina. 

L’interesse per la potenza espressiva delle anatomie michelangiolesche - come quelle degli Ignudi sulla volta sistina -, e quello per la composizione di gruppi e masse come nel Giudizio, si rafforzò in Pollock attraverso lo studio di foto, per esempio quelle di Alinari, e poi a seguito della diretta conoscenza delle opere dei muralisti messicani (Siqueiros, Orozco), profondamente pervasi da ideali sociali, e suggestionati dalle composizioni del Buonarroti, di cui ammiravano, in particolare, le grandi pitture parietali. In un testo del 1981, sfuggito ai più, Morton Feldman, musicista tra i grandissimi del Novecento, autore della colonna sonora di un film (1951 circa) di Hans Namuth, conferma il profondo interesse dell’artista americano per l’arte del Buonarroti: «Via via che conoscevo meglio Pollock (grazie soprattutto a certe conversazioni in cui lui stesso faceva dei collegamenti tra il proprio lavoro e i disegni di Michelangelo o i disegni rituali con la sabbia degli indiani d’America), cominciai a cogliere altre associazioni che avrei potuto esplorare nella musica». A questo dovremmo aggiungere il fatto che il giovane Pollock immaginasse per sé una carriera da scultore, come dimostra una lettera inviata ai familiari in cui manifesta tutto il suo impeto creativo. Una furia di scultore che condizionerà anche la sua Action Painting. Nuove ipotesi di lettura, che la mostra in Palazzo vecchio ha inteso avviare.


Jackson Pollock, Senza titolo (1937-1939), New York, Metropolitan Museum.

Jackson Pollock, Senza titolo (1937-1939), New York, Metropolitan Museum;


James Anderson, fotografia del 1920-1930 con un dettaglio del Giudizio di Michelangelo, Archivi Alinari.

Il testo è un estratto-rielaborazione del saggio in catalogo di S. Risaliti, Nella fine si trova l’inizio. Jackson Pollock a Palazzo vecchio, in Jackson Pollock. La figura della furia, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo vecchio, 16 aprile - 27 luglio 2014), a cura di S. Risaliti con F. Campana Comparini, Firenze 2014.

Jackson Pollock. La figura della furia

a cura di Sergio Risaliti con Francesca Campana Comparini
Firenze, Palazzo vecchio. Fino al 27 luglio
Orario 9-24, giovedì 9-14; telefono 055-2768325; www.pollockfirenze.it
Catalogo Giunti Arte mostre musei

ART E DOSSIER N. 312
ART E DOSSIER N. 312
LUGLIO-AGOSTO 2014
In questo numero: AI WEIWEI Più forte del silenzio; IL TRIONFO DELLA DECORAZIONE Il medioevo in automobile; Propaganda e scatole di fiammiferi; Crane, l'illustratore; Victoria and Albert Museum. IN MOSTRA: Michelangelo/Pollock, Veronese. Direttore: Philippe Daverio I profeti del campanile di Martino MascherpaEstate al muba di Ilaria Ferrarisstorie a strisce - A Linus tutti debbono qualcosa di Sergio Rossitriennale di yokohama di Cristina Baldacciblow up - Capellini, Capitale umano, Xerra di Alberta Gnugnoliarte in confitto - Petrolio e potere di Federica ChezziXXI secolo - Ai Weiwei - Canterei con la gola arrochita di Elena AgudioGrandi mostre. 1 Pollock e Michelangelo a Firenze - La pittura e il furore di Sergio RisalitiXX secolo - Grafica pop comunista nell’Est Europa - Dio si nasconde nel dettaglio di Duccio DogheriaStudi e riscoperte. 1 Araldica e Medioevo nelle automobili - Nobili antenati di Marco BussagliStudi e riscoperte. 2 Charles Rennie Mackintosh acquerellista - Non solo per diletto di Monica BracardiStudi e riscoperte. 3 Walter Crane - L’artista operaio di Beatrice FerrarioMusei da conoscere - Il Victoria and Albert Museum a Londra - La grotta di Alì Babà di Massimo NegriStudi e riscoperte. 4 Il concetto di “decorazione totale” - Magnifica follia, illimitata fantasia di Mauro ZanchiGrandi mostre. 2 Paolo Veronese a Verona - Gioia, bellezza, riso e non solo di Gloria Fossila pagina nera - In caserma è prigioniero un tesoro tutto intero di Fabio IsmanAste e mercato a cura di Daniele Liberanomein tendenza -Geneticamente rivoluzionario di Daniele Liberanomeil gusto dell’arte - Birra mon amour di Ludovica SebregondiLibri a cura di Gloria Fossi100 mostre a cura di Chiara Senesi In allegato il dossier ''William Morris'' di Alberta Gnugnoli: una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia