XXI secolo
Ai Weiwei

CANTEREI CON
la gola
arrochita

Un artista scomodo che non perde occasione per rompere il silenzio nel suo paese, la Cina, un regime dove ingiustizia, corruzione omertà regnano sovrane.
Un artista censurato, imprigionato per la sua ostinata volontà di smascherare la verità e che, come già suo padre, l'illustre poeta Ai Qing, continua a lottare per i diritti umani.

Elena Agudio

«Se fossi un uccello / io canterei con la gola arrochita / questa terra battuta dalle tempeste / questi fiumi vorticosi gonfi della nostra collera / questo vento furioso che soffia incessante / e l'alba dolcissima che si fa strada tra i boschi... / - poi morirei / e anche le piume si decomporrebbero nella terra»(1). Con queste parole - che certamente in lingua originale suonerebbero più liriche - il grande poeta Ai Qing, padre di Ai Weiwei, cantava l'amore per la sua terra - la Cina -, la necessaria quanto dolorosa presa di coscienza della sua straboccante energia e del suo drammatico destino, delle feroci tempeste e degli atroci e taciuti soprusi che la nomenclatura politica, come una natura-matrigna, esercita tutt'oggi noncurante sulla sua popolazione. Tre volte candidato al premio Nobel, nel 1978, dopo la morte di Mao Zedong e dopo vent'anni di forzato silenzio e relegazione a lavori forzati nella remota regione dello Zinjiang a pulire latrine, Ai Qing viene rilasciato e torna a scrivere. La sua poesia Un pesce fossile (riportata qui nell'ultima pagina) rimane lapidaria e pietra miliare nella storia della poesia cinese: descrive la sua miserrima condizione sotto al censura, la necessità della lotta e della militanza quotidiana, e narra della sua personale rinascita poetica. Così Ai Weiwei, memore dei versi del padre e della sua celebrazione del movimento e della lotta, continua ad agitarsi, ad accendere dibattiti internazionali e provocare disordini interni, per arginare l'omertà del suo paese, l'ipocrisia della sua politica e l'iniquità della sua classe dirigente e del partito.


Tranne dove altrimenti specificato, tutte le immagini riguardano opere di Ai Weiwei, esposte nella mostra Evidence (Berlino, Martin-Gropius-Eau, 3 aprile - 7 luglio 2014). Gao Yuan, Ai Weiwei (2012).

(1) I versi sono tratti dalla poesia Io amo questa terra, in Ai Quing, Bandito e poeta, trad. di A. Bujatti, Milano 1990, p. 15.

«Penso di rappresentare più gente in Cina o di parlare a una più larga audience cinese di qualunque altro – artista – nella storia»


In Cina la sua opera è stata bandita da ogni museo, il suo nome oscurato da ogni motore di ricerca non appena digitato, ma Ai Weiwei ha saputo rispondere alle strategie del governo trasformando la rete in uno spazio espositivo permanente, senza filtri curatoriali o compromessi politici. Nel suo blog scrive: «Penso di rappresentare più gente in Cina o di parlare a una più larga audience cinese di qualunque altro - artista - nella storia».


Particolare di Stools (2014).

Pochi giorni dopo la visita a Berlino del presidente cinese Xi Jinping a fine marzo, e dopo gli ultimi accordi presi con Frau Merkel per un giro di affari cinesetedesco che è stato valutato di circa 140 miliardi di euro, alla Martin-Gropius-Bau si è inaugurata la più grande mostra del dissidente Ai Weiwei. La coincidenza potrebbe apparire assurda, ma è facile capire l’operazione diplomatica della Germania, che da anni sta lavorando per costruire la più forte relazione economica con la Cina e che allo stesso tempo vuole continuare a comunicare al mondo la sua immagine di paladina dei diritti umani, della democrazia e della giustizia internazionale. Lo speciale rapporto di Ai Weiwei con la Germania dura, in effetti, ormai da anni: il suo lavoro è stato mostrato nelle più grandi manifestazioni artistiche e istituzioni museali, da Documenta 12 a Kassel, alla Haus der Kunst di Monaco di Baviera, fino a rappresentare lo Stato tedesco alla scorsa Biennale di Venezia. 

Alla Martin-Gropius-Bau di Berlino, fino al 7 luglio, su una superficie di 3.000 metri quadrati, Ai Weiwei ha portato prove, come recita il titolo della mostra Evidence: prove della sua innocenza - dopo la sua prigionia di ottantuno giorni nel 2011 e il ritiro del suo passaporto da più di tre anni (cosa che non gli ha permesso di recarsi in Germania) -, ma soprattutto le prove dei misfatti del governo cinese. Come in molti ricordano, la goccia che fece traboccare la furia repressiva del governo cinese fu la denuncia di corruzione e di inadeguatezza costruttiva delle scuole del Sichuan crollate con il terremoto del 2008 seppellendo migliaia di studenti. Dopo la catastrofe, il governo cinese aveva lasciato impronunciato il numero e il nome delle vittime; Ai Weiwei, alla ricerca di verità e trasparenza, si era recato nella regione e aveva aperto una vera e propria inchiesta online, chiedendo l’appoggio dei cittadini e l’aiuto delle loro informazioni attraverso il blog Citizens’ Investigation. Il 3 aprile del 2011, senza alcuna spiegazione formale se non quella poco credibile dell’evasione fiscale, Ai Weiwei veniva fermato e imprigionato.


Particolare di Stools (2014).


Han Dynasty Vases with Auto Paint (2014).

Ai Weiwei riproduce in materiali preziosi gli strumenti della sua sorveglianza, come una delle diciassette telecamere posizionate dalla polizia fuori dal suo studio e replicata in marmo


Nella mostra di Berlino l’artista denuncia, per l’ennesima volta e senza mezzi termini, la violenza del regime cinese, ricrea la cella in cui per quasi tre mesi è stato detenuto (81, 2013), installa resti del suo studio di Shanghai demolito nel novembre 2010 (Souvenir from Shanghai, 2012) accanto a migliaia di granchi in porcellana a ricordare la festa di protesta in cui aveva servito agli ospiti deliziosi e saporiti granchi (l’omofona parola cinese per granchio viene usata dal governo per descrivere l’ideale cittadino “armonioso”). Irriverente con la serie di Study of Perspective, fotografie di luoghi del potere e dell’immaginario collettivo davanti a cui fa comparire il suo dito medio in primo piano, alla Martin-Gropius-Bau Ai Weiwei mette in scena la ricchissima e millenaria tradizione cinese: nella corte centrale del museo installa circa seimila sgabelli della dinastia Ming e Qing recuperati nelle infinite campagne cinesi, reinterpreta le dodici teste bronzee di animali dello zodiaco cinese che una volta stavano nei giardini imperiali di Yuanming Yuan, e - però - smalta originali vasi neolitici della dinastia Han con vernici per carrozzerie di automobili. Riproduce in materiali preziosi gli strumenti serviti alla sua sorveglianza, come una delle diciassette telecamere posizionate dalla polizia fuori dal suo studio e replicata in marmo, le manette di giada o le grucce utilizzate per appendere gli abiti in cella e replicate dall’artista in cristallo. Seguendo quasi alla lettera le parole del padre, lo vediamo anche cantare, cantare «con la gola arrochita» la sua rabbia e la sua indignazione, nel videoclip dai toni metal Dumbass (Idiota) dove con uno stile pop - e forse non troppo artistico o esteticamente sofisticato - mette in musica e vocalizza liriche scritte da lui, a parodizzare i suoi mesi di prigionia.


A Marble Surveillance Camera (2014);


Souvenir from Shanghai (2014).

Thomas Eller - artista, curatore e agitatore della scena culturale berlinese(2) - nel saggio pubblicato in catalogo si interroga sulla retorica dei materiali nel lavoro di Ai Weiwei e sull’estetica della resistenza. Eller fa un ragionamento analitico e si chiede perché agli occhi di un critico occidentale l’utilizzo di materiali preziosi come la giada, il marmo, il cristallo che Ai Weiwei fa può assumere un tono anacronistico e un carattere un poco kitsch: nella storia dell’arte europea, spiega Eller, il lungo percorso di liberazione del materiale è stato un percorso di liberazione dell’arte. Se nel passato la ricerca di perfezione si manifestava con l’impiego di materiali preziosi e con opere d’arte che raggiungevano la qualità di altissimo artigianato, dopo la rivoluzione industriale e la possibilità di creare oggetti perfetti attraverso l’uso delle macchine, l’arte si è lentamente allontanata dalla ricerca del bello e dall’utilizzo di materiali pregiati. Per farsi riflessione critica, la sperimentazione artistica, dalle avanguardie in poi, ha scelto i materiali più poveri, antiretorici per eccellenza, come i materiali di scarto o di uso comune dell’Arte povera e delle ricerche più contemporanee. Ma in Cina l’industrializzazione ha avuto tempi diversi e la tradizione confuciana ha mantenuto un forte gusto per la semplicità dei manufatti; per di più il rapporto con gli oggetti e con l’opera d’arte non è mai esclusivamente visivo ma è sempre un rapporto tattile e sensuale, come spiega Eller citando Sensous Surfaces. The Decorative Object in Early Modern China di Jonathan Hay. Per questo Ai Weiwei, alla domanda di Thomas Eller: «Perché il marmo?», ha risposto: «Funziona in altro modo qui che nell’Occidente». La retorica dei materiali è una lingua che assume declinazioni e nuances diverse, da cultura a cultura.


Circle of Animals (2011).

(2) Esperto di arte contemporanea cinese, curatore della mostra Die 8 der Wege. Kunst in Beijing sulla scena dell’arte contemporanea di Pechino, in corso fino al 13 luglio nel centro culturale UferHallen di Berlino.

Un pesce fossile
Come era vivace il tuo moto
la tua fresca furia
guizzante nelle onde,
ti immergevi e risalivi le ampie distese marine.
Un’eruzione vulcanica,
o forse un terremoto fatale
ti privò della libertà,
ti seppellì nella cenere.
Dopo centinaia di migliaia d’anni una squadra
di geologi
ti ha scoperto tra strati di rocce
intatto, come vivo.
Però tu sei muto,
non hai neanche sospiri.
Le squame e le pinne ci sono tutte
ma non puoi muoverti.
Sei immobile,
indifferente al mondo esterno.
Non vedi il cielo né l’acqua,
non senti il rumore dell’onda.
Guardando questo pezzo di fossile
anche uno sciocco capirà,
senza moto
non c’è vita.
Finché si è vivi bisogna lottare
e progredire nella lotta.
Non risparmiamo l’energia,
fino al sopraggiungere della morte.
(Ai Quing, 1978)

ART E DOSSIER N. 312
ART E DOSSIER N. 312
LUGLIO-AGOSTO 2014
In questo numero: AI WEIWEI Più forte del silenzio; IL TRIONFO DELLA DECORAZIONE Il medioevo in automobile; Propaganda e scatole di fiammiferi; Crane, l'illustratore; Victoria and Albert Museum. IN MOSTRA: Michelangelo/Pollock, Veronese. Direttore: Philippe Daverio I profeti del campanile di Martino MascherpaEstate al muba di Ilaria Ferrarisstorie a strisce - A Linus tutti debbono qualcosa di Sergio Rossitriennale di yokohama di Cristina Baldacciblow up - Capellini, Capitale umano, Xerra di Alberta Gnugnoliarte in confitto - Petrolio e potere di Federica ChezziXXI secolo - Ai Weiwei - Canterei con la gola arrochita di Elena AgudioGrandi mostre. 1 Pollock e Michelangelo a Firenze - La pittura e il furore di Sergio RisalitiXX secolo - Grafica pop comunista nell’Est Europa - Dio si nasconde nel dettaglio di Duccio DogheriaStudi e riscoperte. 1 Araldica e Medioevo nelle automobili - Nobili antenati di Marco BussagliStudi e riscoperte. 2 Charles Rennie Mackintosh acquerellista - Non solo per diletto di Monica BracardiStudi e riscoperte. 3 Walter Crane - L’artista operaio di Beatrice FerrarioMusei da conoscere - Il Victoria and Albert Museum a Londra - La grotta di Alì Babà di Massimo NegriStudi e riscoperte. 4 Il concetto di “decorazione totale” - Magnifica follia, illimitata fantasia di Mauro ZanchiGrandi mostre. 2 Paolo Veronese a Verona - Gioia, bellezza, riso e non solo di Gloria Fossila pagina nera - In caserma è prigioniero un tesoro tutto intero di Fabio IsmanAste e mercato a cura di Daniele Liberanomein tendenza -Geneticamente rivoluzionario di Daniele Liberanomeil gusto dell’arte - Birra mon amour di Ludovica SebregondiLibri a cura di Gloria Fossi100 mostre a cura di Chiara Senesi In allegato il dossier ''William Morris'' di Alberta Gnugnoli: una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia