LA RED HOUSE E LA NASCITADELL’IMPRESA COLLETTIVA

In attesa della nuova casa per lui e per Jane, Morris aveva comprato della terra a Bexleyheath nel Kent,

circondata di frutteti e sulla strada medievale per i pellegrini che si spostavano da Londra a Canterbury, particolare storico significante per Morris, che aveva commissionato all’amico architetto Philip Webb di costruirvi in caldi mattoni rossi - donde il nome di Red House - una casa il cui stile fosse tanto vernacolare quanto medievale e il cui effetto globale fosse informale quanto accogliente. Red House diverrà il prototipo di tutta la successiva produzione di Morris, ai cui principi si sarebbero ispirati gli interni del successivo movimento delle Arts and Crafts. Ogni stanza, sebbene diversa per carattere e funzione, relazionava con l’insieme, come una variazione sul tema, un’integrazione, in marcato contrasto con la tendenza vittoriana di adottare ampiamente stili e caratteri differenti nelle varie stanze di una casa, come se ciascuna fosse una sorta di palcoscenico per una differente rappresentazione. Per la sua integrazione fra struttura, forma e funzione, fra architettura e arti decorative, Red House è la prima abitazione moderna del XIX secolo che ispirerà Frank Lloyd Wright e tutto il design rivoluzionario transeuropeo. Paragonata agli interni vittoriani, Red House è un prodigio di essenzialità e di armonia del gusto che esalta solo ciò che è bello e necessario. In termini di arredamento e decorazione, Red House fu il centro di un intenso comune sforzo da parte di Morris e dei suoi amici. Webb disegnò tavole e sedie. Il mobilio fu dipinto da Rossetti e Burne-Jones con scene narrative ispirate ai romanzi e alle saghe. Morris e Jane ricamarono le tende per la camera da letto e il salotto. Ogni elemento, dalle grate, ai candelieri, ai ferri per il caminetto fu creato espressamente per quella casa rivelando tutta la vitalità e lo splendore di un lavoro artigianale. In particolare uno straordinario armadio guardaroba, disegnato da Webb e dipinto a olio da Burnes-Jones - il suo primo dipinto a olio, ispirato al Racconto della priora, dai Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer - come regalo di nozze di quest’ultimo a Jane Morris, esemplare di come un armadio guardaroba possa essere un oggetto domestico e insieme un’opera d’arte, secondo il principio di Morris di trattare il mobilio innanzitutto come superficie per una pittura-decorazione indipendente dallo scopo d’uso dell’oggetto.


Philipp Webb, disegno con la decorazione della Green Dining Room (1866); Londra, Victoria and Albert Museum.

Veduta della Red House, Bexleyheath, Londra. La Red House fu progettata dall’architetto Philip Webb per William Morris, che vi si trasferì dopo il suo matrimonio con Jane Burden.

Drawing Room, Wickam Hall, Kent (Regno Unito) (1897). Si tratta di un esempio di interno tardo vittoriano dominato da una notevole varietà di ispirazioni stilistiche e da un grande affollamento di arredi e suppellettili di ogni tipo. Sontuosi tendaggi, archivolti, modanature e stucchi incorniciavano l’ambiente.


Il piano superiore della Red House, Bexleyheath, Londra.

Dopo la felice realizzazione di Red House, che fu enormemente influente nel cambiare l’orientamento della casa inglese, era naturale che Morris e il suo gruppo pensassero a costituire un’impresa che fornisse l’arredamento alle case di altri. In realtà Morris e i suoi collaboratori intendevano elevare lo status del design alla dignità delle arti tradizionali enfatizzando la natura collettiva e cooperativa della produzione artistica nelle arti decorative, modellata su una visione idealizzata dell’artigiano medievale. 

Ma qual era il carattere dell’età vittoriana che si rifletteva nello stile e nell’arredamento delle case? Una sorta di eclettismo in cui una fascinazione per il passato, che al suo estremo alimentava un antiquariato di lusso, coesisteva con il gusto dell’esotico. Una lista infinita di stili presi in prestito dal passato - barocco, rococò, neorinascimento, neogotico, moresco - alimentava un mercato sempre in espansione di beni per la casa che l’industrializzazione e una emergente middle-class sempre più esigente avevano creato. Affamati di avere uno status privilegiato e sensibili alla moda, questi nuovi benestanti erano ardenti consumatori dei prodotti di mobilieri, tappezzieri, costruttori, prodotti caratterizzati da una imprecisa terminologia stilistica. 

Mentre nuove tecniche manifatturiere e nuovi materiali erano introdotti durante il secolo, le abilità manifatturiere tradizionali venivano messe da parte fino a essere dimenticate. «Il dozzinale, lo scadente è sovrano! », commentava irosamente Morris. 

Benché essenzialmente sicura di sé e non priva di prospettive, la nuova middle-class vittoriana appariva decisamente insicura nel gusto, che era appartenuto formalmente alla ricca nobiltà di campagna. Unitamente alla spinta all’acquisto, questi due fattori portavano a un eccesso di oggetti in mostra nella casa, a una densità di mobilio e di tappezzeria da togliere il respiro con un effetto di soffocante, claustrofobico ammasso. Superficialmente il design di Morris poteva essere visto come un revival vittoriano in più, una fascinazione per lo stile medievale che conteneva indubbiamente un elemento di romantico idealismo, anche di evasione dalla realtà, ma l’intenzione di Morris era molto più seria: riportare l’arte e la bellezza nella vita della gente, di tutti, non di un’élite. «Perché, come un’educazione per pochi, [anche l’arte e la bellezza per un’élite] è sempre un fallimento!», affermava solennemente Morris nel 1877.


Cassapanca, Red House, Bexleyheath, Londra. I mobili che arredavano la Red House furono progettati da William Morris e Philip Webb. Questa cassapanca, prima di essere dipinta di bianco, era stata decorata da Rossetti e Burne- Jones con motivi di ispirazione medievale.


Red House, scala di accesso al piano superiore, Bexleyheath, Londra.

Pannello in vetro della serie Luna di miele del re Renato d’Angiò (1863 circa); Victoria and Albert Museum. Edward Burne-Jones, Pittura.


Pannello in vetro della serie Luna di miele del re Renato d’Angiò (1863 circa); Victoria and Albert Museum. Ford Maddox-Brown, Architettura.

Pannello in vetro della serie Luna di miele del re Renato d’Angiò (1863 circa); Victoria and Albert Museum. Dante Gabriel Rossetti, Musica.


Pannello in vetro della serie Luna di miele del re Renato d’Angiò (1863 circa); Victoria and Albert Museum. Edward Burne-Jones, Scultura.

Si era rivolto al periodo medievale come fonte di ispirazione, perché, come credeva Ruskin, rappresentava l’ultimo periodo di onesto “design”, di verità dei materiali, di esercizio dell’abilità e dell’artigianato. 

C’è un’ulteriore differenza fra Morris e gli altri designer che si ispiravano a fonti storiche: il fatto che Morris si opponesse violentemente alla riproduzione. Come disse l’amico Burne-Jones: «Odiava copiare perché era moralmente ingiusto verso il passato e inutile al presente. Il passato doveva essere soltanto fonte di ispirazione e di speranza!». Il genio di Morris è stata la sua abilità di creare qualcosa di interamente nuovo oltre il suo entusiasmo per il passato. Un’ultima ovvia distinzione è che nella visione di Morris tutto doveva essere fatto a mano, per rimarcare il segno dell’individualità assente dagli oggetti di produzione di massa. Ciò che lo rende unico è l’immenso sforzo da lui fatto durante la sua vita per dare pratica espressione (ed estenderle) alle idee di coloro che considerò sue guide: l’architetto neogotico Street che enfatizzava la decorazione come assolutamente integrale all’architettura e Ruskin che sosteneva con vigore che ogni aspetto di una casa dovesse contribuire a creare «una grande armoniosa interezza». 

Nel 1861 nasceva la Morris, Marshall, Faulkner & Company (MMF & Co.) cui si univano altri partner tra cui i preraffaelliti Rossetti, Ford Madox Brown, Burne-Jones, giovani che si avventuravano nel difficile campo del business con la suprema intenzione di trasformare l’apprezzamento del pubblico inglese per le arti decorative, per scoprire poi che la rivoluzione era già stata iniziata da altri, firme affermate con cui dovettero battersi in una fiera concorrenza. E questo fu già causa di problemi per la costituita società, la cui base operativa si inserì inizialmente nel sempre più crescente mercato dei prodotti ecclesiastici provocato da un’esplosione di revivalismo religioso, quale non si era mai data dal XIII secolo, per cui molte chiese antiche venivano restaurate e nuove chiese costruite. In particolare la continua richiesta di vetri colorati per le finestre di cui Morris e i suoi amici si assicurarono alcune commissioni. Lo splendido pannello del Battesimo di Cristo nel Giordano (1862) per il battistero di St. Michael and All Angels, a Brighton, fu disegnato da Burne-Jones per la MMF & Co. e per la brillantezza dei colori ottenuta dall’infaticabile Morris vinse una medaglia all’Esposizione internazionale del 1862, importante veicolo, non potendosi ancora servire della fotografia, per pubblicizzare la ditta. Genialmente Morris trasferì per primo l’impiego dei vetri colorati nell’arredo domestico e produsse i quattro straordinari pannelli illustranti la luna di miele del personaggio medievale di Renato d’Angiò, re di Napoli e d’Aragona, e la sua scoperta delle arti (da una novella di Scott), per la biblioteca di un celebre acquerellista nel Surrey, il cui schema compositivo rivela la felice collaborazione degli aderenti al circolo di Morris agli inizi degli anni Sessanta. Burne-Jones e Rossetti prepararono i disegni in bianco e nero che con eccezionale abilità Morris e i suoi assistenti dovettero convertire nel medium dei vetri colorati non certamente familiare agli altri artisti. Notevole l’intervento di Morris con il rosso rubino delle piastrelle del pavimento in primo piano e la decorazione floreale che inquadra i singoli pannelli. La caduta del mercato dei vetri colorati fu compensata da prestigiosi progetti di carattere “secolare” commissionati all’impresa, come la decorazione di St. James’s Palace e di una stanza al South Kensington Museum (più tardi Victoria and Albert Museum) secondo l’intenzione del suo fondatore, Henry Cole, perché il museo avesse una stanza che fosse in se stessa un’opera d’arte.


Battesimo di Cristo (1862), vetrata su disegno di Burne-Jones per la Morris, Marshall, Faulkner & Co; Londra, Victoria and Albert Museum.

Dante Gabriel Rossetti, Astarte Syriaca (1877); Manchester City Galleries.


Dante Gabriel Rossetti, Proserpina (1873-1877).

La Green Dining Room (ora Morris Room, Victoria and Albert Museum) fu nuovamente un esemplare sforzo comune (1867). Il blu e il verde furono scelti come colori predominanti per produrre un effetto riposante e insieme di grande raffinatezza. Webb disegnò il soffitto e il brillante fregio rosso con cani che rincorrono una lepre. Le pareti sottostanti furono ricoperte a intonaco secondo una delle tipologie, i rami d’olivo, che poi Morris impiegherà ampiamente come tema per la carta da parati. A livello dell’occhio corre una serie di pannelli dipinti su fondo oro in cui si alternano rami di frutta a figure simboleggianti i mesi. Il costo dell’esecuzione fu talmente astronomico che Morris dovette conteggiarlo al ribasso. Apparve chiaro che con progetti così prestigiosi ma così limitati nel tempo non era garantita la sopravvivenza della ditta né venivano assicurati larghi guadagni ai suoi partner i quali non ne erano troppo risentiti, perché al limite sarebbero tornati alle loro precedenti occupazioni, che non avevano abbandonato, vivendo, come diceva ironicamente Rossetti, la partecipazione all’impresa come quella a un club. Era Morris il più direttamente colpito dalle sfortune dell’impresa che venivano sciaguratamente a coincidere con il declino delle azioni minerarie che aveva ereditato dal padre. Fu dunque per necessità che Morris divenne un uomo d’affari decisamente impegnato a espandere il suo business per assicurare a sé e alla sua famiglia, attraverso più consistenti guadagni, un solido futuro finanziario. 

Aveva capito che l’azienda per prosperare aveva bisogno di cercare nuovi mercati e di consolidare la propria reputazione presso un’ampia generica clientela. Più facile a dirsi che a farsi. Agli inizi degli anni Settanta, pensando di offrire una completa decorazione di interni che puntasse su nuovi prodotti per qualità e design, Morris lavorò a lungo e duramente per produrre freschi brillanti soggetti per carta da parati e chintz, assicurandosi i fornitori che rispondessero alle sue necessità, ma soprattutto per conferire ai suoi interni uno stile caratteristico, inconfondibile. I ricchi risposero con entusiasmo e il business decollò. Ma la fama e il successo finanziario portarono nuovi problemi. L’impresa era nata come una società e ogni membro era legalmente titolare di un’eguale parte dei profitti, ma ora Morris non era più disposto a sacrificare la sua vita per generare profitti anche per i suoi “sleeping (sonnolenti) partners” e nel 1874 annunciò la sua intenzione di ricostituire l’impresa sotto la sua esclusiva proprietà. Per chiudere la prolungata disputa con gli altri partner, Morris acconsentì a liquidarli con una somma nettamente superiore a quanto ciascuno di essi aveva investito nella ditta. Solo alcuni, tra cui Burne-Jones, rifiutarono di riceverla. Dissolta la società, l’impresa assumeva il nome di Morris & Company, con Morris unico titolare. 

In quegli stessi anni si esauriva il rapporto di amicizia fra Morris e Rossetti a seguito della relazione fra quest’ultimo e Jane Morris sulla quale Morris preferì stendere un pietoso velo anche per non danneggiare la reputazione dell’azienda. Forse Morris era stato un marito troppo occupato e troppo poco amante ma di una generosità quasi sublime, tale da permettere che Dante Gabriel e Jane vivessero un’estate di passione nella residenza di campagna di Kelmscott Manour, un maniero elisabettiano restaurato da Morris. 

Alla fine, questi partì per l’Islanda, dove restò affascinato dalle saghe nordiche da cui trasse ulteriore stimolo alla sua poesia. Quanto a Rossetti, l’infatuazione eroticoidealizzante per Jane Morris lo salvò da un fatale declino dovuto alla depressione e alla dipendenza dal cloralio, un ipnotico usato in farmacologia come componente del cloroformio. L’idolatria per Jane Morris, sua unica modella fino alla morte, e la droga ridiedero stimolo alla sua pittura nell’ultima tragica decade della sua carriera, quella degli anni 1870-1880 (morirà nel 1882), ispirandogli alcune immagini femminili di una remota languida malinconia (Proserpina, Astarte Syriaca) in opposizione alle bellezze opulente ed erotiche, cariche di gioielli e di fiori, degli anni Sessanta che richiamavano i pittori postraffaelliti come Tiziano e Veronese.


Le grandi scalinate del St. James Palace a Londra in una foto d’epoca. Il palazzo è una delle residenze della famiglia reale inglese. Alcuni dei suoi ambienti sono stati decorati da William Morris fra il 1865 e il 1867.


Green Dining Room (ora Morris Room) (1867); Victoria and Albert Museum.

WILLIAM MORRIS
WILLIAM MORRIS
Alberta Grugnoli
Un dossier dedicato a William Morris. In sommario: L'uomo; La Red House e la nascita dell'impresa collettiva; Morris attivista politico; Morris e le arti decorative; L'artista come imprenditore; L'eredità di Morris. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione agile, ricca di belle riproduzioni a colori, completa di un utilissimo quadro cronologico e di una ricca bibliografia.