Studi e riscoperte. 3
Chiese romaniche in Lombardia

LUOGHI
DI BEATITUDINE

È possibile provare quel senso di felicità assoluta che ci fa sentire pienamente appagati e in armonia con l’universo? Tema intrigante che chiama in causa la nostra formazione, i nostri desideri, la nostra attitudine e, forse, anche il caso. Per esemplificare il concetto parliamo qui di alcune chiese lombarde.


Mauro Zanchi

Chi desidera provare l’esperienza della beatitudine attraverso la bellezza probabilmente deve prima trovare il luogo deputato per l’incontro. E per ognuno è una questione molto personale e intima. Chi cerca l’assoluto può trovarlo attraverso l’alterità spirituale, contemplando un’opera d’arte o un paesaggio, dentro un capolavoro letterario, in uno spazio architettonico, o in altre forme di estasi. Dipende dalla formazione culturale, dalla predisposizione, dalle aspettative delle proiezioni, dal gusto, da un caso fortuito o da che altro? È necessario preparare il momento, precedentemente nella propria interiorità e poi nel tempo della storia, per far accadere l’incontro con l’esperienza estatica? O la beatitudine giunge in maniera inaspettata? Non credo che esista una legge unica, ma se esiste si presenta ogni volta in modo da stupire gli interlocutori. In questo momento, se arretro nella mia memoria e ripercorro a occhi chiusi i luoghi visitati, l’esperienza più vicina alla beatitudine l’ho vissuta nell’atmosfera di alcune chiese romaniche e paleocristiane. L’emozione giunge dall’infanzia, abbastanza intatta. E la fascinazione si è mantenuta nel tempo, nei momenti diversi dell’evoluzione del pensiero.

Nel territorio lombardo ricordo l’armonia e l’atmosfera presenti sia all’esterno sia all’interno della rotonda di San Tomè, ad Almenno San Bartolomeo (Bergamo), una costruzione a pianta circolare, con una struttura formata da tre volumi cilindrici sovrapposti, concentrici e digradanti, esempio lirico ed essenziale di eleganza formale dell’architettura romanica. La lanterna circolare, ritmata da quattro eleganti bifore, contribuisce all’orchestrazione dei sottili spostamenti delle luci e delle ombre all’interno del luogo sacro, come se fosse in atto un concerto silente scaturito dalla co-azione tra la luce del luogo spirituale e il moto del sole, della luna e delle stelle. La posizione delle monofore e delle bifore è stata pensata anche in funzione delle proiezioni delle luci e delle ombre portate dalle colonne, avendo bene in mente la posizione del sole in cielo nelle diverse stagioni e ore della giornata.


Lasciar volare lo sguardo e i pensieri nel suggestivo verticalismo all’interno della chiesa


In occasione degli equinozi, il tabernacolo posto nell’abside è illuminato da un raggio di sole che attraversa la monofora rivolta a occidente. Il presbiterio e l’abside sono nella parte orientale della rotonda, secondo la tradizione romanica. L’edificio dà l’impressione di appartenere al contempo anche a una dimensione teatrale, contenuta armonicamente in un paesaggio campestre, alla sommità di un pendio boscoso. Filari di alberi e un bosco circoscritto entrano in dialogo silente con San Tomè, mentre sullo sfondo, in lontananza, si scorgono le Orobie, entro una lirica sovrapposizione di fondali e di toni. Appena si varca la soglia, nella penombra dell’interno si è accolti da otto colonne che disegnano un percorso circolare – e che evocano al contempo anche il significato simbolico degli edifici ottagonali – creando due spazi concentrici con effetti chiaroscurali di suggestivo fascino, in accordo con i giochi d’ombre che si vengono a creare sulla parete circostante, scandita da nicchie e semicolonne su cui poggiano eleganti capitelli. Anche il piano superiore presenta otto colonne, che scandiscono il deambulatorio. Ricordo anche gli altri edifici circolari lombardi, la loro sobria solennità, il lirismo dei loro equilibri formali, i toni delle pietre, il sapore spirituale della loro atmosfera interna: la rotonda di Brescia (costruita a partire dall’XI secolo su una precedente basilica) e quella di Mantova, chiesa che fu realizzata probabilmente dalla ricostruzione di un preesistente edificio romano, databile al IV secolo, un tempio o una tomba a thòlos. In queste strutture, più che in altre, si percepisce un mistero che trapassa le ere, che ha accolto sommatorie di energie e di rituali avvenuti in periodi diversi della storia, messi in azione dai sacerdoti delle religioni pagane e di quella cristiana.

Gli affreschi trecenteschi nella basilica di Sant’Abbondio (1050-1095), semicerchio dell’abside, Como.

Ritorno sempre volentieri a visitare la basilica di Sant’Abbondio a Como - come se al contempo mi trovassi anche in un edificio sacro della Renania, con i due tipici campanili gemelli posti nella zona absidale - per lasciar volare lo sguardo e i pensieri nel suggestivo verticalismo all’interno della chiesa, tra la moltitudine di colonne composte con conci di pietra, sormontate da una notevole varietà di capitelli, alcuni semplici, altri con forme geometriche, altri ancora corinzi o decorati con vari motivi. Nel semicerchio dell’abside (presbiterio), un artista anonimo ha affrescato uno dei cicli pittorici più integri (e interessanti a livello iconografico) del primo Trecento in Lombardia.

E ritorno con la memoria anche all’abbazia romanica di San Pietro al Monte, sulle pendici del Cornizzolo, nella valle dell’Oro, presso il comune di Civate (Lecco), in un luogo pittoresco dove si può arrivare solo a piedi, percorrendo un sentiero che attraversa un fitto bosco. Dall’alto si gode il panorama che spazia sulla Brianza, sui monti Resegone e Barro, sul lago morenico di Annone. L’accesso alla basilica avviene attraverso una scalinata, che conduce in un ampio atrio semicircolare illuminato da bifore, costruito su due piani: il primo è a livello della chiesa, mentre il secondo è a livello della cripta, che veniva utilizzata anche per dare alloggio ai pellegrini. Nelle volte sono affrescate la Gerusalemme celeste, il Seno di Abramo, la personificazione dei Fiumi celesti; sulla controfacciata orientale (sopra la porta d’ingresso) la Visione dell’Apocalisse, con la figura di Dio in maestà, circondato da san Michele e gli angeli che trafiggono il dragone, significati trascendenti e riferimenti simbolici di alta astrazione, che sanno irretire lo sguardo di chi cerca la beatitudine attraverso il medium della bellezza sublime. La figura femminile è da identificarsi nella «donna vestita di sole», il suo bambino appena nato è Gesù, che viene presentato al Signore. Nella scena tratta dall’Apocalisse (XII), l’anima bambina, colta in momenti diversi della storia, si può considerare anche immagine del viaggio di ogni cristiano verso il cielo: prima viene salvata dalle fauci del drago e poi innalzata al cospetto della Maestà divina, divenendo simbolo dello stato di piena, perfetta e costante felicità, quella delle anime elette in paradiso, in grado di trovare la beatitudine nella pace e nella contemplazione.

ART E DOSSIER N. 381
ART E DOSSIER N. 381
NOVEMBRE 2020
In questo numero: LUOGHI MAGICI: Il castello del Buonconsiglio a Trento. Le nuove gallerie del Museo scienza e tecnologia di Milano. Le beatitudini del Romanico. IN MOSTRA: Untitled, 2020 a Venezia. Accardi a Milano. Van Gogh a Padova. Tiepolo a Milano. Gentileschi a Cremona.Direttore: Philippe Daverio