La pagina nera

IL VIALONE DEL SOVRANO
LO MINACCIA IL MULTIPIANO

Viale Cesare Battisti, a Monza, dove si trovava un ex feltrificio del primo Novecento, è minacciato da un insano progetto: la costruzione di tre palazzi alti oltre trenta metri e la demolizione di una storica ciminiera. Ma è proprio necessario? Non va meglio per la reggia, in sofferenza economica dopo la chiusura forzata.


di Fabio Isman

AMonza, lo sanno tutti, oltre all’autodromo (e ancora prima) c’è la Villa reale (dove arrivò moribondo Umberto I la sera dell’attentato il 29 luglio 1900), sorta ai tempi dell’occupazione austriaca, nel 1777, a opera di Giuseppe Piermarini, l’architetto della Scala di Milano. Attorno, oltre ai giardini, ha il più grande parco pubblico recintato: un perimetro di quattordici chilometri; la villa, però (ma questo lo sanno forse meno persone), vive tempi non propriamente felici. Lo vedremo. Vi si arriva da un grande viale intitolato a Cesare Battisti: lo scenografico “vialone” alberato, quattro carreggiate, pensato da Ferdinando d’Asburgo e creato dallo stesso Piermarini, anche se molti lo accreditano a Napoleone e realizzato dall’architetto Luigi Canonica; suoi, tra l’altro, anche l’Arena e il Foro Buonaparte del capoluogo lombardo, e la sistemazione dello stesso parco di Monza. Il “vialone” collegava la città a Milano; ospita alcuni monumenti rilevanti: la prima stazione della ferrovia tra le due città (la seconda in Italia, dopo la Napoli-Portici, riservata solo ai reali), e la Cappella espiatoria eretta nel luogo in cui fu ucciso Umberto I, ideata da Giuseppe Sacconi, autore anche del Vittoriano a Roma. Troviamo pure parecchie, e deliziose, villette liberty: quelle già delle nobili dame di compagnia della regina Margherita.

Della Villa reale, il “vialone” è parte integrante: un “cannocchiale” paesistico che la inquadra. A lato, edifici alti di solito due piani, che non corrompono questo autentico “unicum”. Ma ora, proprio accanto al viale di alti platani, dov’era una fabbrica di cappelli con più immobili di cui due ancora vincolati, un progetto prevede la nascita di tre palazzoni alti nove e dieci piani, per centoquaranta appartamenti. A seicento metri dalla villa tanto amata dal re che l’anarchico Gaetano Bresci uccise. Ovviamente, poco oltre i cento metri dal “vialone”: fascia di rispetto sottoposta a una rigida tutela.


Un enorme e ingombrante “fuori scala”, in una zona che invece è urbanisticamente assai misurata, e zeppa di memorie


Il progetto prevede anche «l’abbattimento di una ciminiera alta quarantadue metri, una delle due ultime rimaste di quando Monza era un rilevante polo produttivo: la “capitale del cappello”», racconta Antonella Gaddi, che coordina un Comitato di residenti sorto in opposizione al progetto. Nel 1920, la città produceva sei milioni di copricapi all’anno; dei suoi trentacinquemila abitanti, oltre un terzo era impegnato a fabbricarli. Un’arte purtroppo sparita; ma una lavorazione iniziata in città nel XIII secolo. Al suo apice, Monza possedeva quaranta cappellifici; e sfornava venti milioni di feltri all’anno: otto decimi erano esportati. Nel 1716, dei quattromiladuecento cappelli venduti a Milano, ben quattromila provenivano dall’ex capitale estiva della regina longobarda Teodolinda.


Lo scenografico viale Cesare Battisti con la Villa reale.

La ciminiera che dovrebbe essere demolita in base al nuovo progetto. È una delle ultime due rimaste di quando Monza era un importante centro industriale nella produzione di cappelli.

Enrico Scotti fonda il feltrificio nel 1919; otto anni dopo, ha già cinquecento dipendenti. Ma nel secondo dopoguerra, è tra i quattro stabilimenti rimasti, anche se, nel 1954, Monza esportava ancora il trentanove e cinque per cento dei copricapi italiani. La Scotti chiude all’inizio degli anni Sessanta; e nel 1970, l’area è venduta al senatore democristiano Ubaldo De Ponti, di Como.

Un primo intervento è approvato nel 2015; ma era ben diverso da quest’ultima proposta. Da quattro edifici alti nemmeno diciannove metri si passa a tre stabili, però assai più impattanti sotto il profilo visivo: arrivano fino a trentadue metri dal suolo. In origine, erano previsti un auditorium da quattrocento posti e un parcheggio interrato: spariti nel nuovo progetto. Quanto alla storica ciminiera, pur se la Soprintendenza ne ha approvato l’atterramento, l’Ordine degli ingegneri ha espresso una dura opposizione alla sua distruzione: già troppe sono state abbattute, «costa certamente meno che riqualificarle» spiega Pierpaolo Cicchiello, che presiede la categoria; e ormai, ne sopravvivono assai poche, magari monche, in quella che era detta «la città delle cento ciminiere».


La Villa reale, lato ovest.


Due edifici dell’ex feltrificio sono intoccabili, perché vincolati: quella che è stata la Casa delle aste e villa Azzurra resteranno nel complesso residenziale di undicimilaquattrocento metri quadrati, il nove per cento (ma, ed è ironico, non sarà troppo?) dedicato alle «attrezzature culturali».

Insomma, si vorrebbe far nascere un enorme e ingombrante “fuori scala”, in una zona che invece è urbanisticamente assai misurata, e zeppa di memorie. Infatti, oltre alla deliziosa stazione reale della linea ferrata con Milano (già in parte interrata nel 1840, alla nascita), resistono la società ginnica Forti e Liberi, ultimo appuntamento di Umberto I, dove lo raggiunsero le tre revolverate fatali (ma l’attuale edificio è successivo al regicidio); e la Cappella espiatoria richiesta dalla regina Margherita: una croce di alabastro alta trentacinque metri e inaugurata nel 1910, cancellata in ferro battuto di Alessandro Mazzucotelli e transenne bronzee di Giovanni Lomazzi. Con delle ville pregevoli, anche circondate da parchi lussureggianti.

Ma se il “vialone” piange, la stessa Villa reale non ride. Dopo il “lockdown” (ma non è meglio dire confinamento o clausura?), non ha riaperto, se non per eventi privati; agibili unicamente gli appartamenti storici del sovrano, che sono un museo dello Stato. Bianca Montrasio, presidente del Comitato per il Parco intitolato ad Antonio Cederna, racconta: «A dicembre, il concessionario, il costruttore Navarra, ha presentato la richiesta di recesso. Vorrebbe otto milioni di euro come indennizzo, per i mancati guadagni rispetto a quelli previsti nell’originario atto di affidamento». E intanto, è ancora da restaurare tutta l’ala nord dell’immenso edificio, e il complesso, continua Montrasio, «non è certo usato come si dovrebbe. Se ne potrebbero recuperare i mobili antichi, farne un museo di quello che la Villa è stata nel tempo».


La piccola stazione reale di Monza in viale Cesare Battisti.

I visitatori, ormai, non sono più quelli di quando aveva appena riaperto i battenti, nel 2014: il primo anno, erano trecentomila; oggi, soltanto un sesto. Perfino le mostre organizzate nelle sale storiche del complesso, e nel “Serrone” lungo cento metri e ideato da Piermarini, eterogenee e un po’ casuali, non hanno offerto gli esiti sperati: «È mancata qualsiasi progettualità; forse, è il caso che i proprietari, cioè lo Stato, la Regione e il Comune di Monza, tornino a essere i gestori di questa meraviglia». Ma intanto, a un passo e sul suo sfondo, nascono quasi dei grattacieli.

ART E DOSSIER N. 381
ART E DOSSIER N. 381
NOVEMBRE 2020
In questo numero: LUOGHI MAGICI: Il castello del Buonconsiglio a Trento. Le nuove gallerie del Museo scienza e tecnologia di Milano. Le beatitudini del Romanico. IN MOSTRA: Untitled, 2020 a Venezia. Accardi a Milano. Van Gogh a Padova. Tiepolo a Milano. Gentileschi a Cremona.Direttore: Philippe Daverio