DA SARAGOZZA A MADRID
ATTRAVERSO L’ITALIA

«Darò una prova per dimostrare coi fatti che non ci sono regole in pittura», sosteneva Francisco Goya.

L

ibertà dunque in ogni senso per raccontare la società spagnola, e l’umanità in genere, con le sue contraddizioni, assurdità, superstizioni e crudeltà. Dal Rococò al neoclassicismo, dall’illuminismo al romanticismo, Goya sfiora tutti i movimenti contemporanei elaborando una sua originale poetica, che anticipa artisti come Munch e Bacon. Capricci, Disastri, Follie sondano con spietatezza l’animo umano, mettendolo a nudo con coraggio, mentre i ritratti immortalano il mondo dell’Ancien régime con le sue luci e ombre. Brillante cortigiano e uomo anticonformista, attento alla tradizione ed eccezionale innovatore, Goya è uno dei più illuminati artisti europei.

Nasce il 30 marzo 1746 a Fuendetodos, a una quarantina di chilometri da Saragozza. Il padre, Braulio José Goya y Franque era maestro doratore, il nonno notaio, la madre Engracia Lucientes apparteneva a una famiglia della piccola nobiltà aragonese. Lui era l’ultimo di molti figli.

Studia nel collegio delle Scuole pie dei padri Scolopi di Saragozza, dove conosce Martín Zapater, suo amico per tutta la vita. A quattordici anni entra nella bottega del pittore José Luzán e impara a disegnare copiando stampe. Tre anni dopo, nel dicembre del 1763, è a Madrid, introdotto a corte da Francisco Bayeu, compatriota trasferitosi quell’anno nella capitale alle dipendenze del re. Partecipa a un concorso dell’Accademia di belle arti di San Fernando per «giovani poveri e abili», ma gli va male. Nel gennaio 1766 ritenta, ma a vincere il premio è Ramón Bayeu, fratello di Francisco.

A Madrid regnava dal 1759 Carlo III di Borbone (1716-1788), già duca di Parma e Piacenza e re delle Due Sicilie, promotore di una politica riformista che gli valse la fama di monarca assoluto ma illuminato. La vita artistica ruotava intorno all’Accademia di San Fernando, fondata da Ferdinando VI nel 1752 sul modello francese. Dominante era la figura del pittore boemo Anton Raphael Mengs, chiamato a corte nel 1761, come ritrattista, da Carlo III per il quale aveva lavorato a Napoli. 

Ballo sulle rive del Manzanarre (1777); Madrid, Prado. Il dipinto è uno dei dieci cartoni per arazzi destinati alla sala da pranzo dei principi delle Asturie nel palazzo del Pardo, i futuri regnanti Carlo IV e Maria Luisa. Due coppie danzano, mentre altri personaggi, seduti, li accompagnano battendo le mani e suonando la chitarra. È una scena di “majismo”, che riflette il desiderio di spensieratezza dell’aristocrazia spagnola. Goya scrive a Zapater di aver dipinto il cartone «in modo più accettabile» rispetto ai primi lavori per l’Escorial. La scena, curata nei dettagli e realizzata con tocchi di colore freschi, luminosi, acquerellati, si estende in lontananza al di là del fiume e ricorda le Fètes vénitiennes di Jean-Antoine Watteau.


Annibale vincitore che per la prima volta guarda l’Italia dalle Alpi (1771); Cudillero (Asturie), Fundación Selgas-Fagalde.

Nel 1766 Mengs, nominato tre anni prima direttore onorario di pittura dell’Accademia, era diventato primo pittore di camera, con vari incarichi, tra cui la decorazione ad affresco del soffitto di Palazzo reale. Aveva portato a Madrid l’estetica neoclassica, fredda ed equilibrata, teorizzata a Roma dall’amico Winckelmann, in deciso contrasto con quella rococò, ricca, mossa, piena di luce di Giambattista Tiepolo, allora in auge nella corte spagnola. Il pittore veneziano era giunto a Madrid nel 1762 con i due figli Giandomenico e Lorenzo.

Non erano gli unici esempi che agli occhi di Goya si presentavano come vincenti. C’era anche il napoletano Corrado Giaquinto, che durante la sua attività madrilena dal 1753 al 1762 come pittore ufficiale di Ferdinando VI, aveva lasciato sui muri dei palazzi reali e di Aranjuez la sua pittura scintillante e lieve, un’apoteosi di colori in un turbinio di luci. Il ventenne Goya ne avrà discusso a lungo con Francisco Bayeu, maggiore di lui di dodici anni e anche lui allievo di Luzán, ma più fortunato perché protetto da Mengs. Si convince che solo in Italia avrebbe potuto migliorare, per poi entrare così nell’Accademia di San Fernando e far carriera.

Decide di intraprendere un viaggio di studio a Roma. Parte nell’aprile 1770 e si ferma sino al giugno 1771 a spese sue e della famiglia. Un’esperienza riemersa con contorni più precisi recentemente, quando si è scoperto il Cuaderno italiano e individuato il quadro con Annibale vincitore che per la prima volta guarda l’Italia dalle Alpi, destinato al concorso indetto dall’Accademia di Parma del 1771. Il dipinto della Fondazione Selgas Fagalde (Cudillero, Asturie), attribuito nel passato a Giaquinto, scomparso per anni e ritrovato, fu esposto nel 1994 a Madrid, nel 1996 a Indianapolis e New York, e nel 2000 a Roma (palazzo Barberini).


L’aquilone (1777-1778); Madrid, Prado.

Il Cuaderno italiano, entrato al Museo del Prado nell’ottobre del 1993 e sino ad allora sconosciuto, è un taccuino di appunti con disegni, commenti, itinerari, presi da Goya durante il soggiorno italiano e dopo il ritorno a Madrid, sino al 1780. Comprende schizzi per l’Annibale del concorso, studi dell’Ercole Farnese e del Torso del Belvedere, come di molte altre opere, elenchi di città visitate (Roma, Venezia, Genova, Ancona, Civitavecchia, Parma, Piacenza, Modena, Macerata, Pavia). Tra gli artisti ricordati Raffaello, Veronese, Correggio, Bernini, Algardi, Reni, Guercino, Maratta e Rubens (due quadri visti a Genova). Non mancano note curiose sulla vita di Goya stesso, il viaggio per stabilirsi a Madrid con la famiglia, il giorno del matrimonio nel 1773, le date di battesimo dei figli e i nomi dei rispettivi padrini. Fatti che indicano come quest’agenda lusinghiero per «l’uso spigliato del pennello, un certo calore d’espressione e, nel viso e nell’atteggiamento di Annibale, un carattere grandioso» con qualche critica per le «tinte non vere».

Non poco in definitiva, considerato il prestigio dell’Accademia parmense, sostenuta da Filippo di Borbone, nipote di Carlo III. L’opera aveva molto impegnato l’artista come dimostrano i pentimenti nella radiografia, i disegni e un paio di bozzetti riapparsi recentemente. Il pittore venticinquenne si sforza in un’elaborazione classicista con un esito non privo di fascino, grazie proprio ai colori insoliti e alla luce artificiale.

Roma, dove Goya vive nel palazzo del pittore polacco Taddeus Kuntz in via Sistina, è un’esperienza fondamentale per la sua arte. Non solo gli permette di ammirare straordinarie antichità, o i grandi artisti del Rinascimento, ma di venire in contatto con interessanti artisti contemporanei che influenzeranno la sua pittura. Giovanni Battista Piranesi, per esempio, lascerà un segno nell’artista con le sue incisioni Carceri d’invenzione del 1760, ricche di contrasti di luce e ombra, atmosfere cavernose e inquietanti, molte collezionate dallo stesso Goya. L’accademico di Francia Hubert Robert gli fornisce mirabili testimonianze di rovine dipinte e incise e lo svizzero Johann Heinrich Füssli immagini visionarie in cui a far baldoria ci sono mostri e streghe.

Nell’ottobre 1771 Goya è già tornato in Spagna. Il prestigio dell’esperienza italiana gli procura subito commissioni. Tra le prime, la pittura del soffitto della cappella del coro della Vergine nella basilica del Pilar a Saragozza con L’adorazione del nome di Dio, terminata il 1° luglio 1772, e nel 1774 gli affreschi con le Storie della Vergine nella certosa Aula Dei nei dintorni della stessa città, realizzati con forme brillanti, ariose, ravvivate da tocchi vivaci.

Nel luglio 1773 Goya sposa Josefa Bayeu, sorella dei due pittori citati, e con lei si stabilisce a Madrid, dove arriva il 10 gennaio 1775 dopo cinque giorni di viaggio, come annota nel Cuaderno italiano. Il motivo è l’incarico di dipingere una serie di cartoni per gli arazzi destinati a decorare, con scene di caccia, il palazzo di San Lorenzo all’Escorial, residenza d’autunno dei reali di Spagna. Un’impresa che si estenderà al Palazzo reale del Pardo e durerà diciassette anni, con interruzioni.


L’altalena (1779); Madrid, Prado.

Da questo impegno scaturiscono sessantatré cartoni, alcuni di oltre sei metri di lunghezza. A chiamarlo era stato Mengs, tornato in Spagna e direttore dal 1774 della Real Fábrica di Santa Barbara, fondata nel 1713 dopo la perdita delle Fiandre, da cui provenivano gli arazzi reali. Lo dirà lo stesso Goya nel 1779 e lo ribadirà nel 1826, in una memoria diretta a Ferdinando VII per ottenere la pensione: «Ho servito 53 anni i suoi genitori e suo nonno, dopo che Mengs mi fece venire da Roma». Mengs impone dure condizioni ai pittori, una paga scarsa e l’obbligo di lavorare solo per il re.

Nel 1776 Goya ha uno stipendio fisso e il compito di realizzare cartoni per grandi arazzi che, come si è accennato, dovevano decorare, con un’iconografia spagnola e non più fiamminga, gli appartamenti dei principi delle Asturie (i futuri Carlo IV e Maria Luisa) nel palazzo del Pardo, lavoro che sarà compiuto nel 1780. Il risultato, opere di grande freschezza che riflettono una società spensierata, ignara dei mali futuri. Balli campestri, passeggiate, idilli nei boschi, giochi. “Majos” e “majas”, ragazzoni spavaldi e donnine allegre, con abiti fruscianti e colorati, pieni di verve popolaresca, inseriti in paesaggi delicati battuti dal sole o dalla luce della sera.

Il Ballo sulle rive del Manzanarre, destinato alla sala da pranzo dei principi delle Asturie, era parso “accettabile” allo stesso Goya, che doveva adattarsi ai soggetti richiesti dalla corte e interpretarli in modo abbastanza realistico, con esiti che risultano non lontani da Antoine Watteau. La passeggiata in Andalusia, consegnato all’arazzeria di Santa Barbara il 12 agosto 1777, è descritto dal pittore, che ne rivendica l’“invenzione”. Si tratta del momento che precede una lite tra l’accompagnatore della donna e l’uomo seduto, spalleggiato da due uomini in piedi. Goya rende con abilità la tessitura della luce tra gli alberi e i colori scintillanti degli abiti. Molto noto, innovativo rispetto alle altre opere, Il parasole, dipinto come il precedente tra il 3 marzo e il 12 agosto 1777, rappresenta le figure in un gruppo a piramide, con uno sfondo piatto di grande modernità. Gioioso e solare nella brillantezza dorata dell’abito della donna, fa tesoro di esempi italiani.

Agli appartamenti dei principi erano destinati anche L’aquilone, L’altalena, Le lavandaie, consegnati nel 1778 e 1780. Dipinti che illustrano aspetti della vita della Castiglia, come La fiera di Madrid, Il gioco della pelota, Il venditore di vasellame, La rissa alla “Locanda Nuova” e che facevano impazzire i tessitori, che non riuscivano a rendere i colpi di luce nei loro effetti cangianti. L’esecuzione dei cartoni continua nel 1786-1788 e nel 1791-1792 e rappresenta per il pittore un eccezionale esercizio tecnico. Non solo, ma gli permette di sviluppare al massimo la fantasia, pur mantenendo contatti con la realtà e la quotidianità. Ispirati alla natura, in linea con le idee di Rousseau, fondono la formazione barocca su Giaquinto e Tiepolo con il razionalismo illuminista.


Le lavandaie (1779-1780); Madrid, Prado.

GOYA
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Maurizia Tazartes
Un dossier dedicato a Francisco Goya. In sommario: Da Saragozza a Madrid attraverso l'Italia; Nobiltà "fin-de-siècle"; "Pintor del rey"; Stregonerie e capricci; Primo pittore di camera; Disastri, follie e Pitture nere. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione ricca di riproduzioni a colori, completa di un quadro cronologico e di una bibliografia.