disastri, follie
e pitture nere

Nel 1805, al matrimonio del figlio Javier, Goya conosce Leocadia Zorrilla, una ragazza di diciassette anni, quarantadue meno di lui, che diventerà la sua compagna sino alla morte.

Il pittore sta bene, possiede una casa nella calle de los Reyes e può dotare riccamente il figlio. Ma i tempi sono meno generosi: Napoleone, già imperatore dal maggio 1804, aspira a intervenire direttamente nella politica spagnola. Con il pretesto di recarsi in Portogallo, eserciti francesi entrano in Spagna, dove rivalità politiche interne scatenano tumulti. Nel marzo 1808 l’ammutinamento di Aranjuez provoca la caduta di Godoy e l’abdicazione di Carlo IV in favore del figlio Ferdinando VII, cui Napoleone sostituisce il fratello Giuseppe Bonaparte. Godoy viene arrestato e Jovellanos torna a Madrid.

L’invasione francese rappresenta per Goya una contraddizione, come per molti spagnoli simpatizzanti per le idee illuministe postrivoluzionarie, che si trovavano di fronte la politica di occupazione militare napoleonica. Molti intellettuali come Jovellanos prendono le distanze dagli invasori, alleandosi con la corrente più radicale dei realisti. Goya è fra questi, in una posizione difficile, Giuseppe Bonaparte gli concede l’Ordine reale di Spagna. Il 2 maggio 1808 il popolo reagisce con la “guerra de Independencia”, che termina con la proclamazione della Costituzione di Cadice del 1812, la cacciata di Bonaparte l’anno dopo e il ritorno di Ferdinando VII. La guerra è vinta, ma lascia ferite profonde, Ferdinando VII infierisce su liberali, filofrancesi e sul popolo stesso che ha voluto la Costituzione, richiama i gesuiti e ristabilisce l’Inquisizione. Nel 1815 il Congresso di Vienna riporta in Europa l’Ancien régime. Goya è nelle liste di proscrizione e i beni di intellettuali e ministri illuministi vengono sequestrati.

I drammi della guerra e le delusioni politiche trovano un immediato riflesso nell’arte del pittore. Il colosso del Museo del Prado è una delle opere più impressionanti e sconvolgenti di questo periodo, citato tra i beni di Goya nell’inventario steso alla morte della moglie Josefa Bayeu nel 1812. Oscura profezia di catastrofi future o rievocazione di quelle passate, rappresenta un gigante, simbolo della guerra, che dall’alto di un cielo plumbeo con il pugno alzato incombe su un’intera popolazione in fuga con animali, masserizie, carri. La visione è resa attraverso un altissimo uso del colore, steso sulla tela con pennellate, strisciate, forti colpi di materia fuligginosa.

La crudeltà, la violenza, l’ingiustizia, di cui tutti gli uomini sono vittime, sono testimoniate nel ciclo di stampe I disastri della guerra, realizzato tra il 1810 e il 1820. Le scene cruente, di impatto allucinante, sono descritte con obiettività e coraggio, come sino allora non era stato fatto. «Io l’ho visto [“yo lo vi”]», scrive Goya sotto un episodio tragico. Quell’affermazione quasi urlata non allude solo a una testimonianza diretta, ma a un’incursione nel proprio “io” più profondo e a una presa di coscienza delle paure, angosce, incubi di ciascun uomo. Alla crudezza, che anticipa la nuova oggettività tedesca di George Grosz e Otto Dix, si accompagna il grottesco, che sfocerà nell’ironia di maestri come Max Klinger e Joan Miró.


Grande impresa! Con morti!, dalla serie di incisioni I disastri della guerra (1810-1820).

Interno di manicomio (1812-1814); Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando.


Il tribunale dell’Inquisizione (1812-1814); Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando.

Amarezza e disincanto dominano anche tele e tavole dipinte nel 1812-1814 per l’Accademia di San Fernando, nelle quali sono rappresentati interni di manicomi, interni di prigioni, Il tribunale dell’Inquisizione, La processione dei flagellanti, Il seppellimento della sardina, fucilazioni, assassinii, scene di stupro, di brigantaggio e prostituzione. Antiche superstizioni e fanatismi sono riemersi in Spagna con la guerra, come testimonia Il tribunale dell’Inquisizione in cui gli ebrei sono rappresentati con i polsi legati, la cappa gialla del ludibrio, in testa cappelli a cono già visti nell’Auto da fé di Pedro Berruguete.

A evocare morte e sangue compaiono nature morte con teste e lombate di montone (Banco di macelleria), tranci di salmone, tacchini morti. Soggetti che non celebrano la cucina, ma anticipano i buoi squartati di Soutine, i frammenti anatomici di Géricault, carichi di pathos e realizzati con una pittura raffinata e vibrante «come fossero raso e madreperla», per dirla con Alfredo De Paz. A testimoniare la prostituzione, in un dipinto ci sono due belle Majas al balcone con eleganti mantiglie.

Finita la guerra, Goya cerca di recuperare il posto di pittore reale. Indirizza quindi nel 1814 al Consiglio di reggenza, un organo di governo creato tra la partenza da Madrid di Giuseppe Bonaparte e il ritorno di Ferdinando VII, la richiesta di rappresentare in due grandi tele le azioni eroiche del popolo madrileno insorto il 2 maggio 1808 contro l’invasore. Era un modo di riscattarsi dal sospetto di simpatie per alcuni bonapartisti, cui aveva fatto dei ritratti. Dipinge così due grandi tele, oggi al Prado, di soggetto storico: Il 2 maggio 1808 a Madrid: la lotta contro i mamelucchi e Il 3 maggio 1808: fucilazioni alla montagna del Principe Pio. La prima è una grande scena dinamica, preromantica, la seconda coglie l’attimo in cui un plotone di esecuzione sta falcidiando un gruppo di patrioti spagnoli. Considerato un capolavoro per la forza espressiva, quest’ultimo dipinto concentra in un’eccezionale sintesi la tragedia in quel bruno patriota con la camicia bianca, che alza le braccia con coraggio e dignità per accettare la sua sorte. La luce della lanterna lo illumina di eroismo tra i compagni disperati, mentre uno giace a terra in un lago di sangue.


Il 2 maggio 1808 a Madrid: la lotta contro i mamelucchi (1814); Madrid, Prado.

Nel 1819 il pittore, stanco, abbandona la corte e si trasferisce in una casa nei dintorni di Madrid, oltre il fiume Manzanarre, un luogo un tempo felice. La casa di campagna, indicata dai contemporanei come la Quinta del sordo vedrà le ossessioni dell’ultimo Goya. Il pittore, settantatreenne e vedovo dal 1812, vive con Leocadia Zorrilla di trentun anni, nel frattempo sposata con un mercante e separata. Da lei ha una figlia, Maria Rosario, nata nel 1814. L’unione è tormentata, Goya si ammala spesso e gravemente. Due meravigliosi autoritratti lo mostrano in questi anni, l’Autoritratto del 1815 circa, del Prado, firmato in basso, in cui il volto intelligente, ancora sensuale, appare in tutta la sua essenza, umana e profonda. Niente sfoggio di ruoli, ma solo un uomo determinato e disincantato, capace però ancora di amare la vita e la pittura. Nell’autoritratto con Goya assistito dal dottor Arrieta del 1820, conservato all’Institute of Arts di Minneapolis, il pittore appare esausto tra le braccia del suo medico, che gli fa bere la medicina, mentre sullo sfondo assistono alcune strane presenze. Nella lunga dedica sul lato inferiore del dipinto, il pittore ringrazia l’amico dottore per avergli salvato la vita l’anno della malattia, il 1819.

Fra il 1820 e il 1821 Goya dipinge a olio le pareti del primo piano della sua casa con scene allegoriche e nel 1821-1823 ne esegue altrettante al pianterreno. Amalgama spessi colpi di tinte chiare a olio su muro ad altre nere come la pece, ocre, gialli, rossi. L’esito delle Pitture nere (staccate e conservate al Prado) è impressionante per la forza di invenzione e per i temi. Le Parche, lugubri figure in cui si riconoscono Atropo, Lachesi e Cloto sono munite di attributi non convenzionali, sibillini. La lettura, Duello rusticano, Asmodea, Sabba, sono scene spettacolari e di difficile interpretazione, in cui si intrecciano simbolicamente i più tristi pensieri della mente umana, follia, magia, distruzione, deliri e morte.

Il 3 maggio 1808: fucilazioni alla montagna del Principe Pio (1814); Madrid, Prado.


Goya assistito dal dottor Arrieta (1820); Minneapolis, Institute of Arts.

dal ciclo delle Pitture nere (1821-1823) Sabba, Madrid, Prado.


dal ciclo delle Pitture nere (1821-1823) Il pellegrinaggio di San Isidro, Madrid, Prado.

Studi abbastanza recenti hanno rivelato che sotto quelle pitture Goya aveva inizialmente tracciato composizioni gioiose, riflesso di nuove speranze nel ristabilimento della Costituzione nell’aprile del 1820. Ma il rincrudire dell’assolutismo convince il pittore dell’impossibilità di ripristinare ordine e democrazia non solo in Spagna, ma nell’uomo stesso, nella natura e nella storia. Non rimangono che drammi e tragedie, da cui sparisce qualsiasi traccia di comico e grottesco, come racconta quello sbalorditivo Saturno che divora il figlio, culmine del male e precedente di tutta la pittura moderna e contemporanea europea, dall’Urlo di Munch all’Informale. In contemporanea a queste pitture Goya lavora a una serie di disegni, raccolti in vari album, conservati sino alla morte, e realizza nuove stampe con Follie, Proverbi o Sogni, dal tenore cupo e pessimista, in cui dominano l’irrazionale, l’assurdo dell’esistenza, la ferocia del male.

La repressione politica del 1823 obbliga il pittore a lasciare la Quinta del sordo e a stabilirsi presso un amico, il canonico Duaso. La casa, donata nel settembre di quell’anno al nipotino Marianito, figlio di Javier, sarà occupata negli anni successivi dal barone Emile d’Erlanger che farà strappare i murali per donarli nel 1881 al Museo del Prado. Nel 1910 la Quinta del sordo sarà demolita.

Nel maggio del 1824 l’amnistia concessa da Ferdinando VII è l’occasione per Goya, come pittore di camera, di richiedere il permesso di recarsi a Plombières, in Francia, per la cura delle acque e intanto prepararsi all’esilio volontario come tanti spagnoli. Ottenutolo, cambia direzione e va a Bordeaux, dove trova amici esiliati come il poeta Moratín, che lo descrive così: «Arrivò Goya, sordo, vecchio, torpido e debole e senza sapere neanche una parola di francese, ma tanto desideroso di vedere il mondo».

Dopo una breve sosta a Bordeaux, il pittore si trasferisce per due mesi a Parigi, dove al Salon può vedere opere di Ingres, Delacroix, Constable e aggiornarsi sulla nuova pittura francese. Stabilitosi definitivamente a Bordeaux, dove lo raggiungono Leocadia, i figli Guillermo e Rosario, continua a far viaggi in Spagna per sistemare la sua situazione a corte, prorogare i suoi permessi sino al ritiro definitivo nel 1826. Il re gli concede una pensione annuale di cinquantamila reali. Il nuovo pittore di camera, Vicente López, gli fa un magnifico ritratto oggi al Prado.

Ma Goya è instancabile, continua a spostarsi tra Bordeaux e Madrid, a realizzare litografie (I tori di Bordeaux), sperimentare nuove tecniche, fare ritratti, del nipote, di personaggi della colonia spagnola a Bordeaux, sempre più vivi, realizzati con pennellate sciolte e vibranti di luce, impressioniste. Emblematici Juan Bautista de Muguiro dipinto nel 1827 a ottantuno anni e La lattaia di Bordeaux, dello stesso anno, entrambi al Prado, messaggi di luce e speranza, dopo tanto orrore. Il 1° aprile Goya scrive da Bordeaux una lettera al figlio, dice di essere lievemente indisposto e di desiderare una sua visita. Il 16 dello stesso mese muore a ottantadue anni, lasciando ai posteri un eccezionale panorama delle bellezze e dei mali della sua terra e dell’umanità.


Saturno che divora un figlio, dal ciclo delle Pitture nere (1821-1823); Madrid, Prado. Opera di grande impatto, feroce e iconica, influenzerà l’arte figurativa europea. Il dio greco Crono (Saturno per i Romani), sta divorando un figlio (azione che rappresenta il Male assoluto) per paura di essere spodestato da uno di loro, come gli aveva predetto Gea (la Madre Terra). Il Male, cioè l’umanità stessa, l’assolutismo, la guerra, l’Inquisizione e altro ancora, prendono le forme brutali di Saturno, mentre il figlio, sanguinante e ridotto a pezzi, evoca tutte le vittime. La pennellata forte e superba, tra luce e ombra, si sta trasformando in informale precorrendo i tempi.

Vicente López, Ritratto di Francisco de Goya (1826); Madrid, Prado. È l’ultimo Goya, ottantenne, che, sordo e malato, continua a dipingere e a spostarsi tra Francia e Spagna. Severo ed elegante, è ritratto dal nuovo pittore di camera spagnolo Vicente López, durante uno dei trasferimenti del pittore a Madrid per chiedere il permesso di ritirarsi definitivamente dagli impegni di corte. L’amico scrittore Moratín l’aveva descritto un paio d’anni prima «sordo, vecchio, torpido e debole». Quest’immagine restituisce un volto fiero e dignitoso, amaro e disincantato per aver visto delusa ogni sua speranza di redenzione dell’umanità. Un anno dopo sarebbe morto, lasciando ai posteri un eccezionale bagaglio d’arte e in pittura nuovi messaggi di luce e freschezza.


La lattaia di Bordeaux (1827-1828); Madrid, Prado.

GOYA
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Maurizia Tazartes
Un dossier dedicato a Francisco Goya. In sommario: Da Saragozza a Madrid attraverso l'Italia; Nobiltà "fin-de-siècle"; "Pintor del rey"; Stregonerie e capricci; Primo pittore di camera; Disastri, follie e Pitture nere. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione ricca di riproduzioni a colori, completa di un quadro cronologico e di una bibliografia.