stregonerie e
capricci

Il bisogno di libertà, che si stava insinuando sempre più fortemente in Goya e che emerge chiaro dai suoi scritti, lo spinge a lasciare la corte per un certo periodo e fare un viaggio in Andalusia.

A Siviglia si ammala gravemente, così viene ospitato a Cadice dall’amico Sebastián Martínez. Quale fosse la malattia non trapela dalle lettere degli amici, che alludono a un male «per scarsa riflessione», forse sifilide. Oggi si ipotizza un’intossicazione a causa del piombo dei colori. La conseguenza è un’irrimediabile sordità, tanto da chiedere nel 1793 all’Accademia «un permesso per recuperare la salute».

La ripresa è proficua. «Per occupare la mia immaginazione mortificata nella considerazione dei miei mali, e per risarcire in parte le grandi spese che ho affrontato, mi sono dedicato a dipingere un insieme di quadri da salotto in cui sono riuscito a fare osservazioni, che generalmente le opere commissionate non consentono, e in cui il capriccio e l’invenzione non hanno limiti», scriveva Goya in quell’anno al segretario dell’Accademia, don Bernardo de Iriarte.

Era l’inizio d’una nuova avventura pittorica, stilistica, tematica. Nasceva il pittore onirico e visionario, il fustigatore dei mali del mondo. Questi quadri di piccolo formato - “quadritos” - aprono a una serie di nuove sperimentazioni con scene di naufragio, incendi, interni di manicomio, morti violente, che sono il riflesso del regime del Terrore in Francia. Niente più toni gioiosi, ma una strada senza ritorno che porterà ai disegni e alle incisioni con Caprichos, Desastres, Disparates sino alle Pitture nere della Quinta del sordo. È l’altro lato della medaglia che Goya esplora con un’analisi spietata dell’uomo e della società, che anticipa addirittura il Novecento, come ha ben illustrato la mostra del 2010 a Palazzo reale di Milano (Goya e il mondo moderno).

Nel 1795 muore Francisco Bayeu. Goya è nominato direttore di pittura all’Accademia. Ha una relazione amorosa clandestina con la trentatreenne María Teresa Cayetana de Silva, duchessa di Alba, moglie di José Alvarez de Toledo, marchese di Villafranca e duca di Alba. La ritrae in celebri immagini, come quella dell’omonima collezione di Madrid, in cui la donna compare maestosa e iconica, vestita di mussola bianca con fascia e fiocchi rossi e una gran capigliatura nera. Imperiosa, l’indice destro puntato verso il terreno ai suoi piedi dove spicca la dedica appassionata del pittore. Goya la disegna anche in atteggiamenti intimi in un suo taccuino (Album A) durante un soggiorno con lei nella tenuta di Sanlúcar, dopo la morte del marito. Sembra sia stato un amore forte e burrascoso, come testimoniano le firme appassionate sui dipinti e le lettere agli amici.

Il recinto dei pazzi (1794); Dallas, Meadows Museum.


Gaspar Melchor de Jovellanos (1798); Madrid, Prado.


Josefa Bayeu de Goya (1795-1796); Madrid, Prado.

Negli anni Novanta e nei successivi Goya dipinge straordinari e penetranti ritratti di intellettuali, parenti, nobili. Dall’amico Sebastián Martínez, ricco commerciante e raffinato collezionista, ritratto nel 1792, all’ombroso cognato Francisco Bayeu, rappresentato in un dipinto eseguito nel 1795 dopo la sua morte, dal filosofo Juan Meléndez Valdés (1797) al baldanzoso ambasciatore francese in Spagna Ferdinand Guillermardet (1798), dalla Regina Maria Luisa con la mantiglia al consorte Carlo IV ancora in veste di cacciatore, entrambi del 1799, sino a Gaspar Melchor de Jovellanos (1798), il ministro illuminista, vissuto dal 1744 al 1811, immortalato pensoso alla sua scrivania. Sul volto dell’uomo, allontanato dalla corte di Carlo IV dal 1790 al 1797 per le sue idee all’avanguardia, sembra passare un velo di malinconica rassegnazione. Di grande bellezza nella sua semplicità è il ritratto della moglie di Goya Josefa Bayeu de Goya, del 1795-1796, al Museo del Prado. Intenso, quello dedicato a Martín Zapater, firmato e datato «Goya. A su Amigo Marñ Zapater. 1797».

Goya si è trasformato in un artista vestito con eleganza, lo sguardo acuto e concentrato, come si dipinge nell’Autoritratto nello studio del 1793-1795 (Madrid, Real Academia de San Fernando), pantaloni attillati, capelli sciolti sulle spalle alla francese e uno strano cappello munito di un cerchio con candele per dipingere di notte, come racconterà il figlio Javier. Espressione cupa e penetrante in un piccolo Autoritratto databile intorno al 1795, del Museo del Prado, firmato, appartenuto alla duchessa di Alba, probabile dono del pittore alla donna amata. Un vero e proprio intellettuale del tempo, occhiali, fazzoletto al collo, elegante giacca verde nell’Autoritratto del 1797-1800 del Musée Goya di Castres, il più rivelatore forse. Sul suo volto scorrono una sempre maggiore riflessione critica sull’esistenza e il tempo stesso che lascia i suoi segni. «Sono diventato vecchio con molte rughe», scriveva il 28 novembre 1787 a soli quarantun anni a Zapater.


Ritratto di Martín Zapater (1797); Madrid, Prado.

Nel 1798 realizza con uno stile grandioso il ciclo di affreschi che decorano l’eremo di Sant’Antonio de la Florida, fuori Madrid, rappresentando nella cupola il Miracolo del santo. In curioso contrasto nello stesso anno dipinge una serie di scene di stregoneria per l’Alameda, la residenza di campagna dei duchi di Osuna, nota anche con il soprannome di Il Capriccio. Si tratta di otto dipinti per lo studio della duchessa raffiguranti esorcismi, sabbe, voli di streghe, malocchi, temi di moda tra quei colti aristocratici, che provavano gusto a scoprire i lati oscuri della coscienza, facendo spesso ricorso alle superstizioni popolari. Nel salotto della duchessa, letterati e artisti sapevano coglierne i significati, spesso legati a rappresentazioni teatrali.

Goya è abilissimo nel rappresentare il sottile confine tra ragione e istinto, esplorando le paure primordiali dell’inconscio. Nell’Esorcismo del Museo Lazáro Galdiano di Madrid un uomo in camicia, esorcizzato da un dubbio individuo, prega in aperta campagna, in una notte da tregenda, vittima delle allucinazioni personificate da quattro creature diaboliche con tonache e copricapo inquietanti.


Autoritratto (1795 circa); Madrid, Prado.


Autoritratto (1797-1800); Castres (Francia), Musée Goya.

Autoritratto nello studio (1793-1795); Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando. Goya, come Rembrandt, si ritrae moltissimo in ogni momento della vita, in dipinti, disegni, stampe. Questo autoritratto al cavalletto, uno dei più noti e curiosi, permette di penetrare nel sistema di lavoro dell’artista. Lo strano cappello regge una struttura metallica, dentro cui sono collocate delle candeline che illuminano la tela. Il figlio di Goya, Javier, affermava che il padre «gli ultimi tocchi li dava di notte, con la luce artificiale». In questo caso, però, una grande finestra fa entrare nella stanza la luce del mattino. Il pittore è vestito con grande eleganza, calzoni attillati, giubbino di velluto bordato di rosso con ricami e camicia di seta.


Il grande caprone (1798); Madrid, Museo Lázaro Galdiano. Il dipinto appartiene alla serie di otto tele con Stregonerie destinate allo studio della duchessa di Osuna nella tenuta di campagna dell’ Alameda e pagate all’artista il 28 giugno 1798. Il caprone (Satana), con gli occhi “di bragia”, è circondato da un gruppo di streghe che gli offrono in sacrificio bambini. Il caprone inizia il rito alzando le zampe anteriori, mentre pipistrelli volteggiano nel cielo cupo e uno spicchio di luna diffonde un chiarore sinistro. La scena, inquietante, non è priva d’una divertita ironia, che scomparirà nelle Pitture nere della Quinta del sordo.

I lugubri individui, sul cui capo volteggiano demoni volanti, gli stanno facendo malefici attraverso corpi di neonati. Il grande caprone, conservato nello stesso museo, rappresenta un rito satanico in cui il caprone (Satana) alza le zampe circondato da streghe, che gli offrono bambini rapiti e ridotti a scheletri.

Stessi temi in Los Caprichos (I capricci), ottanta straordinarie incisioni raffiguranti vizi, superstizioni, abusi e menzogne della società spagnola, realizzate dal pittore e messe in vendita il 6 febbraio 1799 a Madrid. Lo stesso giorno Goya però, sul Diario de Madrid, ne smorzava la portata dichiarando che si trattava di un’opera di fantasia e che eventuali immagini scandalose non riguardavano persone specifiche. Non era vero, bastava uno sguardo ad Hasta la muerte (Fino alla morte, n. 55), per scoprire la regina nella vecchia cadaverica, che si agghinda davanti allo specchio tra irridenti cortigiani. Due giorni dopo, l’8 febbraio, l’Inquisizione toglieva le incisioni dalla circolazione. Le successive, circa millequattrocento, saranno pubblicate postume.

I Capricci colpivano tutte le classi sociali, dalle più povere ed emarginate al clero ai nobili. Nel frontespizio compariva un’immagine-simbolo intitolata Il sonno della ragione genera mostri, che alludeva alla caduta dei valori dell’illuminismo nei massacri della Rivoluzione francese. Goya esplora una vasta gamma di comportamenti umani. Dalla frivola furberia delle giovani che sperano di accalappiare un marito ricco alle condotte viziose degli uomini di potere coinvolti in vicende di corruzione, dalla vanità dei nobili sino alle complesse pratiche di malocchio. «Los Caprichos sono opera meravigliosa, non soltanto per l’originalità delle concezioni, ma pure per l’esecuzione », scriveva il 15 ottobre 1857, in Le Présent, il poeta Baudelaire che ammirava il connubio di comico e fantastico. E aggiungeva: «Goya è sempre un artista grande e spesso spaventoso. All’allegria, alla giovialità, alla satira spagnola degli anni di Cervantes, egli unisce uno spirito assai più moderno o se non altro molto più perseguito nei tempi moderni, l’amore dell’inafferrabile, il sentimento dei contrasti violenti, dei terrori della natura». Quella del pittore era infatti una delle prime incursioni dell’arte moderna nell’inconscio e nelle sue visioni spesso aberranti, che diventeranno l’oggetto di indagine privilegiato di artisti come Munch, Bacon, Lucian Freud.


Esorcismo (1798); Madrid, Museo Lázaro Galdiano.

dalla serie di incisioni I capricci (1798-1799): Fino alla morte (n. 55).


dalla serie di incisioni I capricci (1798-1799): Ne saprà di più l’allievo? (n. 37).


Il sonno della ragione genera mostri, dalla serie I capricci (n. 43), frontespizio.

GOYA
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Maurizia Tazartes
Un dossier dedicato a Francisco Goya. In sommario: Da Saragozza a Madrid attraverso l'Italia; Nobiltà "fin-de-siècle"; "Pintor del rey"; Stregonerie e capricci; Primo pittore di camera; Disastri, follie e Pitture nere. Come tutte le monografie della collana Dossier d'art, una pubblicazione ricca di riproduzioni a colori, completa di un quadro cronologico e di una bibliografia.